Non cediamo mai alla tentazione di abbandonare la Chiesa anche di fronte a infedeltà

Monsignor Viganò: la cura contro la ribellione è l'obbedienza. La cura contro l'eresia è la fedeltà all'insegnamento della Tradizione. La cura contro lo scisma è la filiale devozione per i sacri pastori. La cura contro l'apostasia è l'amore a Dio e della sua Santissima Madre. La cura contro il vizio è la pratica umile della virtù. La cura contro la corruttela dei costumi è vivere costantemente alla  


presenza di Dio fino alla effusione del sangue per la vita veramente vita


Aldo Maria Valli in "Duc in altum" 2 settembre 2020


Caro dottor Kokx, ho letto con vivo interesse un suo articolo dal titolo Domande per Viganò: sua eccellenza ha ragione sul Vaticano II, ma cosa pensa che dovrebbero fare i cattolici ora?, apparso su Catholic Family News lo scorso 22 agosto (qui). Trattandosi di questioni molto importanti per i fedeli, rispondo volentieri alle sue domande.


Ella mi chiede: «Cosa significa "separarsi" dalla chiesa conciliare secondo l'Arcivescovo Viganò?». Le rispondo a mia volta con una domanda: «Cosa significa separarsi dalla Chiesa cattolica secondo i fautori del Concilio?» Pur essendo evidente che non è possibile alcuna commistione con coloro che propongono dottrine adulterate del manifesto ideologico conciliare, occorre precisare che il semplice fatto di essere battezzati e membra vive della Chiesa di Cristo non implica l'adesione alla compagine conciliare; questo vale anzitutto per i semplici fedeli e per i chierici secolari e regolari che, per varie ragioni, si considerano sinceramente cattolici e che riconoscono la Gerarchia.


Andrebbe invece chiarita la posizione di quanti, dichiarandosi cattolici, abbracciano le dottrine eterodosse che si sono diffuse in questi decenni, con la consapevolezza che esse rappresentano una rottura con il Magistero precedente. In questo caso è lecito mettere in dubbio la loro reale appartenenza alla Chiesa cattolica, nella quale tuttavia essi ricoprono ruoli ufficiali che conferiscono loro autorità. Un'autorità esercitata illecitamente, se lo scopo che si prefigge è di obbligare i fedeli ad accettare la rivoluzione imposta da dopo il Concilio.


Una volta chiarito questo punto, risulta evidente che non sono i fedeli tradizionalisti – ossia i cattolici veri, secondo le parole di san Pio X – che devono abbandonare la Chiesa nella quale hanno pieno diritto di rimanere e dalla quale sarebbe sciagurato separarsi; ma i modernisti, i quali usurpano il nome cattolico proprio perché esso è l'unico burocratico elemento che consente loro di non essere considerati al pari di qualsiasi setta eretica. Questa loro pretesa serve infatti ad evitare di finire tra le centinaia di movimenti ereticali che nel corso dei secoli hanno creduto di poter riformare la Chiesa a proprio piacimento, anteponendo il proprio orgoglio all'umile custodia dell'insegnamento di Nostro Signore. Ma come non è possibile rivendicare la cittadinanza di una Patria di cui non si condivide la lingua, il diritto, la fede e la tradizione; così è impossibile che chi non condivide la fede, la morale, la liturgia e la disciplina della Chiesa cattolica possa arrogarsi il diritto di rimanere al suo interno e addirittura di ascendere i gradi della Gerarchia.


Non cediamo quindi alla tentazione di abbandonare – pur con giustificato sdegno – la Chiesa cattolica, col pretesto che essa è invasa da eretici e fornicatori: sono costoro che vanno cacciati dal sacro recinto, in un'opera di purificazione e di penitenza che deve partire da ciascuno di noi.


È altresì evidente che vi sono casi molto diffusi in cui il fedele incontra gravi problemi nel frequentare la parrocchia, così come sono ancora poco numerose le chiese in cui si celebra la Santa Messa nel rito cattolico. Gli orrori che dilagano da decenni in molte nostre parrocchie e santuari rendono impossibile anche solo assistere ad una «eucarestia» senza essere turbati e mettere a rischio la propria fede. Così come è molto difficile assicurare a sé e ai propri figli un'istruzione cattolica, sacramenti celebrati degnamente e una guida spirituale solida. In questi casi i fedeli laici hanno il diritto e il dovere di cercare sacerdoti, comunità e istituti che siano fedeli al Magistero di sempre. E che alla lodevole celebrazione della liturgia in rito antico sappiano accompagnare la fedele adesione alla dottrina e alla morale, senza alcun cedimento sul fronte del Concilio.


La situazione è certamente più complessa per i chierici, che dipendono gerarchicamente dal proprio vescovo o dal superiore religioso, ma che allo stesso tempo hanno il diritto sacrosanto di rimanere cattolici e di poter celebrare secondo il rito cattolico. Se da un lato i laici hanno più libertà di movimento nello scegliere la comunità alla quale rivolgersi per la Messa, i sacramenti e l'istruzione religiosa, ma meno autonomia per il fatto di dover comunque dipendere da un sacerdote; dall'altro lato i chierici hanno meno libertà di movimento, essendo incardinati nella diocesi o nell'ordine e sottoposti all'autorità ecclesiastica, ma più autonomia per il fatto di poter legittimamente decidere di celebrare la Messa e amministrare i sacramenti nel Rito Tridentino e di predicare conformemente alla sana dottrina. Il motu proprio Summorum Pontificum ha ribadito che fedeli e sacerdoti hanno il diritto inalienabile – che non può essere loro negato – di avvalersi della liturgia che più perfettamente esprime la nostra fede. Ma questo diritto va oggi usato non solo e non tanto per conservare la forma straordinaria del rito, ma per testimoniare l'adesione a quel depositum fidei che solo nel rito antico trova perfetta corrispondenza.


Ricevo quotidianamente lettere accorate di sacerdoti e di religiosi che vengono emarginati o trasferiti o ostracizzati a causa della loro fedeltà alla Chiesa: la tentazione di trovare un ubi consistam lontano dallo strepito dei novatori è forte, ma dobbiamo trarre esempio dalle persecuzioni che subirono molti santi, tra i quali sant'Atanasio, che ci offrono un modello di come comportarci dinanzi all'eresia dilagante e alla furia persecutoria. Come ha ricordato più volte il mio venerato confratello, monsignor  Athanasius Schneider, l'arianesimo che afflisse la Chiesa all'epoca del Santo Dottore di Alessandria d'Egitto era talmente diffuso tra i vescovi, da lasciar quasi credere che l'ortodossia cattolica fosse completamente scomparsa. Ma fu grazie alla fedeltà e all'eroica testimonianza dei pochi vescovi rimasti fedeli, che la Chiesa seppe risollevarsi. Senza quella testimonianza, l'arianesimo non sarebbe stato sconfitto: senza la nostra testimonianza odierna, non verrà sconfitto il modernismo e l'apostasia globalista di questo pontificato.


Non è quindi questione di lavorare dall'interno o dall'esterno: i vignaioli sono chiamati a lavorare nella Vigna del Signore, ed è lì che devono rimanere anche a costo della vita; i pastori sono chiamati a pascere il Gregge del Signore, a tenere lontani i lupi rapaci e a scacciare i mercenari che non si preoccupano per la salvezza delle pecore e degli agnelli.


Quest'opera spesso silenziosa e nascosta è stata compiuta dalla Fraternità San Pio X, alla quale va riconosciuto il merito di non aver lasciato spegnere la fiamma della Tradizione, in un momento in cui celebrare la Messa antica era considerato sovversivo e motivo di scomunica. I suoi sacerdoti sono stati una salutare spina nel fianco nel corpo ecclesiale, considerati come un insopportabile termine di paragone per i fedeli, un rimprovero costante al tradimento compiuto ai danni del popolo di Dio, un'alternativa inammissibile al nuovo corso conciliare. E se la loro fedeltà ha reso inevitabile la disobbedienza al Papa con le consacrazioni episcopali, grazie a esse la Fraternità ha potuto proteggersi dall'attacco furioso dei novatori e ha permesso, con la sua stessa esistenza, di rendere possibile la liberalizzazione del Rito Antico, fino ad allora proibito. Così come ha consentito di far emergere le contraddizioni e gli errori della setta conciliare, sempre ammiccante nei confronti degli eretici e degli idolatri, ma implacabilmente rigida e intollerante nei confronti della Verità cattolica.


Considero monsignor Lefebvre un esemplare Confessore della Fede e penso sia ormai evidente quanto la sua denuncia del Concilio e dell'apostasia modernista sia fondata e quanto mai attuale. Non va dimenticato che la persecuzione di cui monsignor Lefebvre è stato oggetto da parte della Santa Sede e dell'episcopato mondiale è servita anzitutto come deterrente per i cattolici refrattari alla rivoluzione conciliare.


Concordo parimenti con quanto osservato da sua eccellenza monsignor Bernard Tissier de Mallerais, circa la compresenza di due entità in Roma: la Chiesa di Cristo è occupata ed eclissata dalla compagine modernista conciliare, la quale si è imposta nella stessa gerarchia ed usa l'autorità dei suoi ministri per prevalere sulla Sposa di Cristo e Madre nostra.


La Chiesa di Cristo – che non solo sussiste nella Chiesa cattolica, ma è a titolo esclusivo la Chiesa cattolica – è solo oscurata, eclissata da una strana chiesa, stravagante insediatasi in Roma, secondo la visione della beata Anna Katharina Emmerick. Essa convive, come il grano con la zizzania, nella curia romana, nelle diocesi, nelle parrocchie. Non possiamo giudicare i nostri pastori per le loro intenzioni, né supporre che tutti siano corrotti nella fede e nella morale; al contrario, possiamo sperare che molti di loro, finora rimasti intimiditi e silenti, comprendano, col dilagare della confusione e dell'apostasia, l'inganno di cui sono stati oggetto e si scuotano finalmente dal loro torpore. Numerosi sono i laici che stanno alzando la loro voce; altri seguiranno necessariamente, assieme a buoni sacerdoti, certamente presenti in ogni diocesi. Questo risveglio della Chiesa militante – oserei chiamarla quasi una resurrezione – è necessario, improrogabile e inevitabile: nessun figlio tollera che la propria madre sia oltraggiata dai servitori, né che il padre sia tiranneggiato dagli amministratori dei suoi beni. Il Signore ci offre, in questi dolorosi frangenti, la possibilità di essere suoi alleati e di combattere questa santa battaglia sotto il suo vessillo: il Re vincitore dell'errore e della morte ci permette di condividere l'onore della vittoria trionfale e il premio eterno che ne deriva, dopo avere con Lui sopportato e sofferto.


Ma per meritare la gloria immortale del Cielo siamo chiamati a riscoprire – in un'epoca svirilizzata e priva di valori quali l'onore, la fedeltà alla parola data, l'eroismo – un aspetto fondamentale per ogni battezzato: la vita cristiana è una militia, e con il sacramento della Confermazione siamo chiamati ad essere soldati di Cristo, sotto le cui insegne dobbiamo combattere. Certo, nella maggior parte dei casi si tratta di un combattimento essenzialmente spirituale; ma nel corso della Storia abbiamo visto quanto spesso, dinanzi alla violazione dei diritti sovrani di Dio e delle libertà della Chiesa, sia stato necessario anche prendere le armi: ce lo insegna la strenua resistenza per respingere le invasioni islamiche a Lepanto e alle porte di Vienna, la persecuzione dei Cristeros in Messico, dei cattolici in Spagna, ed ancor oggi la guerra crudele ai cristiani di tutto il mondo. Mai come oggi possiamo comprendere l'odio teologico dei nemici di Dio, ispirati da Satana: l'attacco a tutto ciò che ricorda la Croce di Cristo – la Virtù, il Bene e il Bello, la purezza – ci deve spronare ad alzarci, in un sussulto di fierezza, per rivendicare il nostro diritto non solo a non esser perseguitati dai nemici esterni, ma anche e soprattutto ad avere dei pastori forti e coraggiosi, santi e timorati di Dio, che facciano esattamente quello che i loro predecessori hanno fatto per secoli: predicare il Vangelo di Cristo, convertire i singoli e le nazioni, espandere in tutto il mondo il Regno del Dio Vivo e Vero.


Siamo tutti chiamati a compiere un gesto di Fortezza – virtù cardinale dimenticata, che non a caso in greco richiama la forza virile, ἀνδρεία – nel saper resistere ai Modernisti: una resistenza che si radica nella Carità e nella Verità, attributi di Dio.


Se celebrate solo la Messa tridentina e predicate la sana dottrina senza menzionare il Concilio, cosa potranno mai farvi? Cacciarvi dalle vostre chiese, forse, e poi? Nessuno potrà mai impedirvi di rinnovare il Santo Sacrificio anche su un altare di fortuna in una cantina o in una soffitta, come i preti refrattari durante la Rivoluzione francese, o come ancor oggi avviene in Cina. E se proveranno ad allontanarvi, resistete: la legge canonica serve per garantire il governo della Chiesa nel perseguimento delle sue finalità principali, non per demolirla. Smettiamola di temere che la colpa dello scisma sia di chi lo denuncia, e non di chi lo compie: sono scismatici ed eretici coloro che feriscono e crocifiggono il Corpo Mistico di Cristo, non coloro che lo difendono denunciando i carnefici!


I laici possono pretendere dai loro ministri di comportarsi come tali, preferendo quanti danno prova di non esser contaminati dagli errori presenti. Se una Messa diventa un'occasione di tortura per il fedele, se egli è costretto ad assistere a sacrilegi o a sopportare eresie e farneticamente indegni della Casa del Signore, è mille volte preferibile recarsi in una chiesa in cui il sacerdote celebri degnamente il Santo Sacrificio, nel rito che la Tradizione ci ha consegnato, e predichi conformemente alla sana dottrina. Quando i parroci e i vescovi si accorgeranno, che il popolo cristiano pretende il pane della fede e non le pietre o gli scorpioni della neo-chiesa, metteranno da parte le proprie paure e asseconderanno le legittime richieste dei fedeli; gli altri, veri mercenari, si mostreranno per quello che sono e sapranno raccogliere intorno a sé solo quanti condividono i loro errori e perversioni. Si estingueranno da soli: il Signore secca la palude e rende arida la terra su cui crescono i rovi; spegne le vocazioni nei seminari corrotti e nei conventi ribelli alla Regola.


I fedeli laici hanno oggi un compito sacro: confortare i buoni sacerdoti e i buoni vescovi, stringendosi attorno a loro come le pecore al loro pastore. Ospitarli, aiutarli, consolarli nelle tribolazioni. Creare comunità in cui non domini la mormorazione e la divisione, ma la Carità fraterna nel vincolo della fede. E poiché nell'ordine stabilito da Dio – κόσμος – i sudditi devono obbedienza all'autorità e non possono far altro che resisterle quando abusa del proprio potere, nessuna colpa sarà ad essi imputata per l'infedeltà dei suoi capi, sui quali invece pesa la responsabilità gravissima del modo in cui esercitano il potere vicario che è stato loro dato. Non dobbiamo ribellarci, ma opporci; non dobbiamo compiacerci degli errori dei nostri pastori, ma pregare per loro e ammonirli con rispetto; non dobbiamo mettere in discussione la loro autorità, ma il modo in cui essi la usano.


Sono certo, di una certezza che mi viene dalla Fede, che il Signore non mancherà di ricompensare la nostra fedeltà, dopo averci punito per le colpe degli uomini di Chiesa, concedendoci santi sacerdoti, santi vescovi, santi cardinali e soprattutto un santo Papa. Ma questi santi sorgeranno dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità, dalle nostre chiese: famiglie, comunità e chiese in cui la Grazia di Dio dev'esser coltivata con la preghiera costante, con la frequenza della Santa Messa e dei sacramenti, con l'offerta di sacrifici e penitenze che la comunione dei santi ci permette di offrire alla divina maestà per espiare i nostri peccati e quelli dei nostri fratelli, anche di quelli costituiti in autorità. I laici hanno in questo un ruolo fondamentale: custodire la Fede all'interno della famiglia, in modo che i giovani che sono educati nell'amore e nel timore di Dio possano un giorno esser padri e madri responsabili, ma anche degni ministri del Signore, suoi araldi negli ordini religiosi maschili e femminili, suoi apostoli nella società civile.


La cura contro la ribellione è l'obbedienza. La cura contro l'eresia è la fedeltà all'insegnamento della Tradizione. La cura contro lo scisma è la filiale devozione per i sacri pastori. La cura contro l'apostasia è l'amore di Dio e della sua Santissima Madre. La cura contro il vizio è la pratica umile della virtù. La cura contro la corruttela dei costumi è vivere costantemente alla presenza di Dio. Ma l'obbedienza non può pervertirsi in servilismo stolido; il rispetto dell'autorità non può pervertirsi in cortigianeria. E non dimentichiamo che se è dovere dei laici obbedire ai loro pastori, è ancor più grave dovere dei Pastori obbedire a Dio, usque ad effusionem sanguinis.


+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo


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