Due film sul tema del perdono, per tornare a vivere
Non odiare, ben interpretato da Alessandro Gassman, sembra volerci consegnare un nuovo comandamento. In realtà ci offre una coraggiosa riflessione sul tema del perdono. La stessa tesi è proposta, con ironia, dalla commedia francese di Tristan Séguéla Chiamate un dottore, dove compassione e solidarietà rendono più umana anche una cinica e quasi disperata Parigi notturna
Chiara Pajetta in "La Nuova Bussola Quotidiana" 28 settembre 2020
Due film sul tema del perdono, per tornare a vivere
Non odiare, ben interpretato da Alessandro Gassman, sembra volerci consegnare un nuovo comandamento. In realtà ci offre una coraggiosa riflessione sul tema del perdono. La stessa tesi è proposta, con ironia, dalla commedia francese di Tristan Séguéla Chiamate un dottore, dove compassione e solidarietà rendono più umana anche una cinica e quasi disperata Parigi notturna.
Non odiare, una scena
In tempi di crisi, paura e violenza come quelli di oggi, il cinema "in sicurezza" (con controlli e cautele) è una insperata risorsa di bellezza e di riflessione, con il racconto di vicende forti ma anche con la possibilità di qualche sana risata. È quello che ci offrono le sale in questo momento con due interessanti pellicole, nel tentativo di ripresa coraggiosa di una certa normalità.
Ispirato a un fatto di cronaca accaduto in Germania, Non odiare ci presenta la storia di Simone Segre, un chirurgo di origine ebraica, ambientandola in una fascinosa Trieste dagli eleganti edifici aristocratici accostati a squallidi palazzotti popolari. Il medico non ci pensa due volte a prestare soccorso a un uomo gravemente ferito in un incidente automobilistico, ma quando scopre che sul torace del malcapitato è tatuata una svastica, si blocca di colpo e lo abbandona al suo destino di morte. Sono gli orrori del campo di concentramento in cui il padre è stato deportato che riemergono alla sua memoria, e lo spingono a pensare che quell'uomo non meriti di vivere, né tanto meno di essere salvato da lui. Con le mani sporche del sangue della vittima che voleva aiutare ma ha deciso di non curare, Simone torna nella sua bella casa, dove viene però travolto dal senso di colpa per la sua omissione di soccorso. Così il solitario chirurgo partecipa al funerale dell'uomo che ha lasciato morire e, vedendo i tre figli rimasti orfani, decide in qualche modo di sostenerli. Assume perciò come colf la figlia maggiore Marica, ignara del fatto che sia lui il responsabile della morte del padre. Anzi, tra datore di lavoro e dipendente nasce un rapporto di profondo rispetto che sfocia in un'attrazione vissuta con pudore e discrezione.
Tra i due si inserisce però la figura inquietante di Marcello, fratello di Marica, un convinto naziskin, che segue fedelmente le orme del padre e che non può tollerare la scelta di lavoro della sorella di servire "in casa di un giudeo". Si oppone con tutte le sue forze alla decisione della sorella, ricorrendo anche a quella violenza per lui così abituale, senza tuttavia riuscire a spezzare il legame che si è creato tra Simone e la ragazza. Anzi, accade che Marica si rivolgerà proprio al chirurgo per salvare il fratello, ferito gravemente in un conflitto mortale da lui stesso provocato. Marcello a questo punto, proprio in casa dell'ebreo tanto disprezzato, dovrà accettarne le cure e addirittura il sangue, con una trasfusione d'emergenza che mescola il suo, considerato puro, con quello ignominioso del dottore. E il medico salvandolo in qualche modo si riscatta, superando anche lui le barriere ideologiche che gli avevano impedito di aiutare il padre del ragazzo ferito nell'incidente. Marcello abbandonerà la sua vita e la sua scelta ideologica e di vita da testa rasata, trovandosi a lavorare all'estero addirittura con uno di quegli immigrati che lui rifiutava e dileggiava.
Ma nel film di Mancini il superamento delle divisioni politiche e sociali non ha i tratti di una facile retorica e un ingenuo buonismo. Nel finale Paolo, il fratellino più piccolo, sulla tomba del padre da cui aveva pur imparato anche valori importanti ripete il saluto nazista, in un'inconsapevole imitazione che ci spaventa. Il tormentato chirurgo rimane comunque solo, anche se riconciliato almeno con il cane del padre dentista, il cui abbaiare aggressivo rifletteva i modi scostanti e aggressivi del vecchio ebreo ormai scomparso, così cinico da curare quei nazisti che lo avevano torturato. La drammatica storia è narrata con toni sobri e rigorosi e si avvale dell'interpretazione misurata ma toccante di un Gassman che non conoscevamo: così intenso e tormentato, col suo volto affilato e lo sguardo profondo, capace di reggere silenzi e meditazioni sofferte. Perché dunque vedere questo film? Perché apre a interrogativi non scontati, propone temi importanti come il perdono, il senso di colpa, il rapporto col padre, l'amore rispettoso, l'amicizia vera, l'inganno delle schematizzazioni ideologiche.
Ma se vogliamo ridere un po', senza tuttavia rinunciare a pensare e comprendere il mondo in cui viviamo, vale la pena scegliere Chiamate un dottore di Tristan Séguéla, perché in tempi di Covid 19 ci permette di riflettere sulla figura del medico e sui diversi sistemi sanitari, al di là dei proclami scontati su una professione oggi in prima linea. Qui si racconta la storia di Serge, unico medico di guardia impegnato nelle emergenze proprio la vigilia di Natale, in una Parigi solo a tratti scintillante, ma per lo più squallida e derelitta, con i suoi abitanti multietnici spesso soli e abbandonati. L'anziano medico Serge, che fatica dopo anni a superare il dolore per la morte tragica del figlio, è oppresso e deluso dall'attività gravosa delle visite a domicilio; riesce in qualche modo a svolgere il suo compito solo grazie al conforto dell'alcool che rischia però, insieme con qualche errore commesso, di costargli la radiazione dall'albo dei medici.
Ma in quella notte speciale in cui è nato il Salvatore, il medico potrà vincere la malinconia e il cinismo di una città segnata dalla solitudine grazie a un incontro imprevisto e provvidenziale. Si imbatte infatti nel giovane Malek, un simpatico fattorino in bicicletta che effettua consegne a domicilio, che per una serie di vicende sfortunate, ma spesso divertenti, dovrà "curare" i malati al posto suo. Siamo sempre sull'orlo del disastro, con diagnosi creative ma azzeccate, opera dell'improbabile coppia, in un crescendo di confidenza, compassione e solidarietà. In quella notte magica e surreale ciascuno dei due alla fine troverà la sua strada e verranno gettate le premesse per un cambiamento positivo del destino di entrambi. Come dire che la speranza per un rinnovamento personale per tutti noi è sempre possibile, anche oggi, e non a caso nella notte di Natale. E con tante risate offerte da una commedia garbata che ci fa ridere, pensare, e un po' ci conforta.
Chiara Pajetta
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