Non dalla vita procede il pensiero, ma dal pensiero la vita e, teologicamente, non dallo Spirito Santo il Verbo ma dal Verbo lo Spirito Santo

Rifacendomi a Romano Amerio Iota unum (pp.329-33) l'azione umana nasce dalla persuasione della verità. Per la dottrina della Chiesa la ragione prova non soltanto la possibilità dell'esistenza di Dio, ma la realtà di tale esistenza e quindi una realtà naturale della ragione al centro pubblico per la libertà e il bene di ogni persona.  



La Chiesa non insegna che l'esistenza di Dio è possibile cioè che non implica contraddizione. La non contraddittorietà è infatti condizione della possibilità di una cosa. Però la Chiesa non insegna che l'esistenza di Dio, giudice del bene e del male, è possibile, ossia non è assurda, ma che essa è reale e quindi il bene comune è teocentrico non antropocentrico. Di fronte alle verità naturali le quali sono il suo proprio oggetto intelligibile, la ragione apprende e vede. Di fronte invece alle verità soprannaturali la ragione non apprende, ma ha per officio di dimostrare che non ripugnano alla ragione cioè la loro ragionevolezza.

La ragione non può arrivare a dimostrare le verità soprannaturali come l'Unico Dio in tre Persone, l'uomo-Dio Cristo, la risurrezione della carne, la presenza reale nell'Eucaristia, il giudizio particolare e finale. Questi sono veri proposti dalla Rivelazione e apprensibili soltanto per fede. Ma l'atto di fede non rimane privo, per quella impossibilità, del suo carattere ragionevole. Esso rimane sommamente ragionevole. La ragione infatti, riconoscendosi finita, vede che al di là del suo limite possono esistere dei veri conoscibili (perché è del vero la conoscibilità) ma non apprensibili per evidenza razionale. A tali veri la ragione aderisce con un assenso; però questo assenso non è prodotto dalla necessità logica dell'evidenza come l'esistenza di Dio, bensì da una determinata soprannaturale che è la grazia.

La fede è la virtù soprannaturale, propria della primalità del conoscere, per la quale l'uomo, oltrepassando il proprio limite naturale comune a tutti, assente a quel che non vede perché sta oltre il limite naturale. Secondo la dottrina cattolica dunque la fede è una virtù dell'uomo, la quale risiede nell'intelletto, come la carità nella volontà, e la sua possibilità, come già dicemmo, è una conseguenza necessaria della finitudine dell'intelletto che apprende e vede l'esistenza di Dio.

Il motivo della fede nelle verità soprannaturali è da un lato il fatto della finitudine dell'intelletto (Ogni scienza infatti riceve da altre scienze cognizioni che essa non dimostra ma crede a quelle altre scienze da cui la riceve), dall'altro sull'autorità della parola divina rivelata. Il fatto della Rivelazione è di rilevanza storica e riceve una dimostrazione storica. L'autorità della parola divina è similmente un elemento razionalmente conoscibile. Non è infatti sull'autorità di Dio che lo spirito umano riconosce l'autorità di Dio (sarebbe un circolo vizioso), bensì da un'argomentazione che trova l'autorevolezza della Rivelazione esaminando analiticamente il concetto stesso di Dio. Ogni autorità, nel sistema cattolico, è dunque un fatto della ragione perché, se la ragione si sottomette, è però la ragione medesima che vede la necessità di sottomettersi. L'autorità divina poi è criterio che prevale a ogni criterio. Le cose credute dal cristiano sono certissime, perché il fondamento del crederle non giace in qualcosa della creatura bensì nella verità del divino pensiero.

Si crede alla Rivelazione perché naturalmente si apprende e si vede che Dio esiste ed è verace. Si spera l'eterna salvezza e il perdono dei peccati perché Gesù Cristo ce li ha meritati e sostiene il nostro volere. Si ama Dio perché è infinito bene infinitamente amabile e si ama il prossimo, che non è infinitamente amabile, perché si ama l'infinitamente amabile che ha fatto per amore  il non infinitamente amabile. Infine si prova dolore e pentimento dei peccati perché si è offeso Dio che ci ha creati con il libero arbitrio cioè con la possibilità di amare con il rischio di non amare perdendolo come felicità.

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