Se la Chiesa si separasse per un determinato tempo dalla sua lunga storia, non tarderebbe a smarrirsi

Pubblichiamo alcuni stralci da “Si fa sera e il giorno ormai volge al declino”, il libro del cardinale Robert Sarah con Nicolas Diat. Il volume è edito a Cantagalli (400 pp., 24,90).

Da “Il Foglio” 4 ottobre 2019
Nicolas Diat: Come considera lo scetticismo della modernità nei confronti del passato e delle tradizioni?
Cardinale Robert Sarah: L’uomo moderno occidentale disprezza il passato. E’ fiero della propria civiltà che ritiene superiore a tutte quelle che l’hanno preceduta. I progressi nei campi scientifico e tecnologico alimentano questa sua illusione; le ultime rivoluzioni nell’ambito della tecnologia e della comunicazione, in particolare in Internet, rafforzano tale pretesa. L’uomo moderno è smemorato. Aspiriamo alla rottura con il passato, mentre il nuovo si trasforma in un idolo. Esiste a mio avviso una sorta di aggressiva ostilità nei confronti della tradizione e, più in generale, di ogni eredità. Ora, vivendo un continuo mutamento, l’uomo moderno si priva della bussola. I giovani però possono condannare gli errori delle generazioni precedenti. Capisco certamente che essi vogliano voltare pagina: come biasimare i giovani tedeschi del dopoguerra di non voler più pensare ai fantasmi del passato nazista? Non vanno però dimenticate nemmeno le pagine più nere della storia. E’ fondamentale conservare la memoria della Shoah.
L’uomo moderno ha paura che le proprie radici diventino un vincolo. Preferisce misconoscerle. Si crede libero quando invece è più vulnerabile
Sostanzialmente, la tradizione è un patto con il futuro che rintracciamo nel passato. Rimango purtroppo allibito davanti all’amnesia degli occidentali. Siamo lontani dalla piccola scuola primaria del mio villaggio guineano dove ho imparato che i miei antenati erano dei galli… Questo insegnamento poteva sembrare strano, ma non traumatico. Dipendeva da una reale volontà di apertura dell’identità francese verso i guineani, in un’epoca in cui il paese era una colonia francese. La crisi della memoria non può che generare una crisi culturale. Il requisito per il progresso consiste nella trasmissione delle acquisizioni del passato. L’uomo è fisicamente e ontologicamente legato alla storia di coloro che l’hanno preceduto. Una società che rifiuta il passato si preclude il proprio futuro. E’ una società morta, una società senza memoria, una società spazzata via dall’Alzheimer. Questa dinamica attuale vale anche per il cristianesimo. Se la Chiesa si separasse per un determinato tempo dalla sua lunga storia, non tarderebbe a smarrirsi. Ne L’affrontamento cristiano, Emmanuel Mounier spiega come la volontà di rottura con il passato abbia provocato un decadimento congiunto della civiltà occidentale e del cristianesimo. Il cristianesimo fu sostenuto ai suoi esordi dal “vigore della civiltà”; oggi ne starebbe subendo il crollo. Secondo lui, però, la crisi è anzitutto interna al cristianesimo. Esiste una certa asperità tra la civiltà e la religione cristiane. Se il cristianesimo scende a patti con il mondo invece di illuminarlo, significa che i cristiani non sono rimasti fedeli all’essenza della propria fede. La tiepidezza del cristianesimo e della Chiesa provoca il crollo della civiltà. Il cristianesimo è la luce del mondo. Se il cristianesimo smette di risplendere, contribuisce a far sprofondare l’umanità nelle tenebre.
Come giudica il complicato rapporto dei moderni con il concetto di radici?
Come possiamo trasmettere ciò che non c’è più? Sta per scomparire tutto? Il cristianesimo, la storia, la civiltà, gli uomini stessi spariranno?
Le radici costituiscono la base e l’alimento della vita. Innestano la vita in un terreno fertile e la irrorano di una linfa nutriente. Si immergono nell’acqua perché la vita sia lussureggiante in ogni stagione. Permettono la crescita della chioma e la comparsa di fiori e frutti. Una vita senza radici richiama la morte. Il complicato rapporto dei moderni con il concetto di radici sorge dalla crisi antropologica che abbiamo menzionato prima. L’uomo moderno ha paura che le proprie radici diventino un vincolo. Preferisce misconoscerle. Si crede libero quando è invece più vulnerabile. Diventa come una foglia morta staccata dall’albero, in balìa del vento. Questa difficoltà è un fenomeno tipico dell’occidente. In Africa e in Asia restiamo aggrappati alle nostre radici, esse tuffano le nostre vite e la nostra storia nelle nostre più profonde origini ancestrali. Le etnie, le religioni e le culture hanno storie antiche di cui si nutrono di continuo. Il passato e il futuro sono imbricati con esse, sono inseparabili. Questo ancoraggio non è determinismo, ma è la condizione della nostra libertà. Il rifiuto delle radici cristiane nella Costituzione europea è il sintomo più evidente di questo atteggiamento. Le istituzioni europee oggi sono ridotte a una struttura economica e amministrativa. Al di fuori degli interessi finanziari, sostenuti da una piccola oligarchia, l’Europa produce ideologie, le nutre di utopie e perde la propria anima. L’Europa si è tagliata fuori da ciò che essa è in profondità. Ha rinnegato sé stessa.
“Dopo di me il diluvio”, sembra esclamare l’uomo del XXI secolo. Questo salto nel vuoto non si accompagna a una volontà quasi suicida di non-trasmissione?
Occorre riuscire a liberare l’uomo contemporaneo da questa dannosa idolatria dell’immediatezza, la cultura dell’istante
La nozione di eredità è morta. Il vuoto è la norma. Per i sommi sacerdoti del nuovo ordine mondiale, la cultura, i valori, la religione e le tradizioni non possono essere trasmesse. Devono rimanere sepolte nell’oblio, e per essere certi di non sentirne più parlare, se ne sigillerà la tomba eliminandoli dai programmi scolastici. La volontà di non trasmettere procede da un desiderio di morte. Come possiamo decidere di non trasmettere ciò che il passato ci ha dato? Questo orgoglio autosufficiente è terribile, opprimente, asfissiante. Le società occidentali sono incapaci di garantire e di farsi carico della trasmissione dell’eredità culturale e dell’esperienza del passato, dopo che hanno fatto della rottura il motore della modernità. Rifiutare ogni eredità, fare tabula rasa del passato e della cultura che ci precede, disprezzare i modelli e le filiazioni, rompere in modo sistematico con la figura del padre: azioni moderne che invischiano le società nella dittatura del presente, provocano le peggiori catastrofi, umane, politiche e anche economiche. Ho la sensazione che la storia dei paesi occidentali sia diventata una distesa di rovine. Come possiamo trasmettere ciò che non c’è più? Sta per scomparire tutto? Il cristianesimo, la storia, la civiltà, gli uomini stessi spariranno per essere sostituiti dai robot? Le nuove generazioni sono prive di un’eredità plurisecolare che avrebbe consentito loro di costruire la propria vita. Un adolescente che vede un presepio ne comprende a malapena il significato. Un adolescente che vede un quadro in un museo è incapace di riconoscerne le grandi figure bibliche. Un adolescente che legge un romanzo del XIX secolo non comprende più nulla della vita e della cultura dell’epoca. Senza storia, senza radici, senza riferimenti, egli si perde nelle paludi del virtuale. In queste condizioni, il passato è una terra incognita e il presente una tirannia.
La rottura, dunque, è il motore della modernità?
Per risultare moderni gli occidentali si ritengono oggi costretti ad assumere un atteggiamento di continua rottura. Le élite globalizzate vogliono creare un mondo nuovo, una cultura nuova, uomini nuovi, un’etica nuova. Le uniche cose che non possono fare sono un sole nuovo, una luna nuova, montagne nuove, un’aria nuova, una terra nuova. La rottura è il motore del loro progetto politico. Non vogliono più fare riferimento al passato. Gli uomini che continuano a proclamare i valori del mondo antico, volenti o nolenti, devono sparire. Sono emarginati e ridicolizzati. Per i fautori del nuovo ordine mondiale, questi sub-umani appartengono a una razza inferiore. Questa volontà di rottura è tragicamente puerile. L’uomo saggio è cosciente e fiero di essere erede. Osservo, talvolta, con sgomento, atteggiamenti analoghi in seno alla Chiesa. Che Chiesa sarebbe quella dalla quale venissero eliminati quanti si aggrappano ai tesori della tradizione cristiana e restano fedeli all’insegnamento immutabile di Colui che “è lo stesso, ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8)?
La nostra epoca vive in un eterno presente?
Il fatto di vivere in un presente che vorremmo fosse senza fine tradisce un rifiuto per le cose dell’eternità. Il presente diventa sovrabbondante e Dio invisibile. L’uomo cerca sempre più di fuggire in realtà parallele. Sono costernato nel vedere quante persone trascorrano un’infinità di tempo al cellulare, assorbiti dalle immagini, dalle luci, dai fantasmi. Il cellulare ci trasporta continuamente fuori da noi stessi; ci taglia fuori da ogni vita interiore. Ci dà la sensazione di essere sempre in viaggio attraverso i continenti, permettendoci di essere in contatto con tutti. In realtà, ci svuota della nostra interiorità e ci trasporta nel mondo dell’effimero. Il cellulare ci fa perdere il contatto con la realtà, ci proietta lontano, verso l’inaccessibile. Ci fa credere di generare lo spazio e il tempo, di essere degli dèi in grado di comunicare senza che niente possa fermarci. Le folli macchine della comunicazione rubano il silenzio, distruggono la ricchezza della solitudine e violano l’intimità. Spesso ci strappano dalla nostra vita amorosa con Dio per esporci alla periferia, all’esterno di noi stessi, in mezzo al mondo. Eppure, anche il presente appartiene a Dio. Il Padre abita tutte le dimensioni del tempo. Dio è. Se l’uomo conosce la propria identità e vive con ragionevolezza nel presente, potrà ancora radicarsi in Dio. Attraversiamo il tempo per trovare più intimamente Dio. Il tempo è un lungo cammino verso Dio. Il culto dell’hic et nunc e il rifiuto dell’eternità vanno di pari passo? Nel mondo moderno il presente è diventato un idolo. Ora, l’uomo è nato per l’aldilà. La vita eterna è inscritta in lui. La cultura dell’istante crea, dunque, una costante tensione nervosa. Occorre riuscire a liberare l’uomo contemporaneo da questa dannosa idolatria dell’immediatezza. L’uomo non può ritrovare la calma e la vera quiete a meno che non riposi in Dio. Il culto dell’hic et nunc è il frutto della crisi filosofica e della crisi della cultura dei tempi moderni. Come possiamo far capire che i tesori più preziosi non sono quelli che si possono toccare? L’apertura a Dio è un atto di fede che nessuno può quantificare. Credo sia necessario far comprendere al mondo occidentale che l’eccessivo attaccamento alle cose materiali è una trappola. La civiltà materialista postindustriale come la nostra è destinata a una morte imminente. E la civiltà transumanista sarebbe una catastrofe ancor più grande. L’umanità deve prendere coscienza della crisi materiale e spirituale in cui si trova. Non serve a niente stordirsi di piccole gioie egoiste, artificiali e fugaci. In una conferenza tenuta a Rio de Janeiro, il 22 dicembre 1944, Georges Bernanos dichiarava con ragione: “Non si arriva alla speranza se non attraverso la verità, a costo di grandi sforzi. Per ritrovare la speranza è necessario aver superato la disperazione. Alla fine della notte, si trova un’alba nuova”. Il nostro mondo non potrà fare a meno della verità e della speranza in Dio. Questo cammino di verità ci condurrà a enormi sofferenze. Impariamo a distanziarci dai beni materiali e dal potere. Restiamo scrupolosamente aggrappati a Dio e alla sua parola di vita. Arriveremo così tutti insieme all’unità nella fede e alla conoscenza della verità che si chiama Gesù Cristo.
Che messaggio vorrebbe lasciarci a conclusione di questo libro?
Voglio farvi una confidenza. Io penso che il nostro tempo viva la tentazione dell’ateismo. Non dell’ateismo duro e militante, che ha scimmiottato il cristianesimo con le sue pseudo-liturgie marxiste o naziste. Questo ateismo, una sorta di religione al contrario, si è fatto discreto. Intendo, invece, riferirmi a una condizione dello spirito sottile e pericolosa: l’ateismo fluido. Si tratta di una malattia insidiosa e nociva, anche se i suoi sintomi sembrano a prima vista innocui. Nel suo libro Notre coeur contre l’atheisme (Il nostro cuore contro l’ateismo), padre Jérôme, monaco cistercense dell’Abbazia di Sept-Fons, lo descrive così: “L’ateismo fluido, mai professato come tale, si mescola senza clamore ad altre filosofie, ai nostri problemi personali, alla nostra religione. Può permeare senza che ce ne rendiamo conto il nostro giudizio di cristiani. In ciascuno di noi possono penetrare infiltrazioni dell’ateismo fluido in tutti quei recessi che non sono occupati dalla fede teologale e dalla grazia. […] Ci riteniamo indenni, e tuttavia applaudiamo stupidamente a ogni sorta di ipotesi, di postulato, di slogan, di presa di coscienza che pregiudicano il nostro credo. Pubblicizziamo delle idee senza curarci del loro marchio di fabbrica. La cosa peggiore è che certe idee materialiste possono stabilirsi nella nostra mente senza affatto scontrarsi con le idee cristiane che dovrebbero essere presenti dentro di noi. Il che rivela che le nostre convinzioni cristiane non hanno una consistenza sufficientemente solida. E’ l’inizio della disfatta: il materialismo fluido coabita dentro di noi con il nostro cristianesimo che probabilmente è anch’esso fluido”. Dobbiamo prendere coscienza del fatto che questo ateismo fluido scorre nelle nostre vene. Non pronuncia mai il proprio nome ma si infiltra dappertutto. (…) Il suo primo effetto è una sorta di letargo della fede. Anestetizza la nostra capacità di reagire, di riconoscere l’errore. Si è diffuso nella Chiesa. Papa Francesco, nell’omelia della Messa del 29 novembre 2010, celebrata a Casa Santa Marta, ha pronunciato parole terribili. Ha commentato la distruzione di Babilonia città “del lusso, dell’autosufficienza, del potere di questo mondo, covo di demoni, rifugio di ogni spirito impuro”. “Questa distruzione incomincia da dentro – ha spiegato il Papa –e finisce quando il Signore dice: “Basta”. E ci sarà un giorno nel quale il Signore dirà: “Basta, alle apparenze di questo mondo”. Questa è la crisi di una civiltà che si crede orgogliosa, sufficiente, dittatoriale, e finisce così”. Poi il Papa ha proseguito denunciando “la paganizzazione della vita […] E concludendo, ci ha invitato a pensare alle “Babilonie” del nostro tempo: “così finiranno anche le grandi città di oggi e così finirà la nostra vita, se continuiamo a portarla su questa strada di paganizzazione. […] ”.
“Mi direte che così gira il mondo, che la Chiesa deve adattarsi o morire. Che dobbiamo essere elastici. No, con la menzogna non si scende a patti”
Che cosa dobbiamo fare? Mi direte forse che così gira il mondo. Mi direte forse che la Chiesa deve adattarsi o morire. Mi direte forse che, se il nucleo essenziale è salvo, dobbiamo essere elastici per quanto riguarda i dettagli. Mi direte forse che la verità è teorica e che i casi particolari le sfuggono. Tante affermazioni che confermano la gravità della malattia! Vorrei piuttosto invitarvi a ragionare in modo diverso. Nel romanzo autobiografico di Solženicyn, Il primo cerchio, il protagonista esita a conservare i privilegi che il sistema totalitario gli aveva concesso per comperare il suo silenzio. Una scoperta lo fa vacillare. Si imbatte nel diario della defunta madre e vi legge queste parole: “Che cos’è la cosa più preziosa del mondo? Essere consapevoli di non partecipare alle ingiustizie. Esse sono più forti di noi, ci sono state e sempre ci saranno, ma che almeno non avvengano attraverso di noi”. Anche noi cristiani dobbiamo lasciarci sconvolgere da queste parole. Non si scende a patti con la menzogna! La prerogativa dell’ateismo fluido è il compromesso con la menzogna. E’ la tentazione più grande del nostro tempo. Non lasciatevi ingannare, con questo nemico non si può combattere. Finisce sempre per prevalere. Si può combattere faccia a faccia con l’ateismo duro, colpirlo, denunciarlo e rifiutarlo. Ma l’ateismo fluido è viscido e sfuggente. Se lo si attacca, se si ingaggia contro di lui un combattimento fisico, un corpo a corpo con l’ateismo fluido, si rimarrà invischiati nei suoi compromessi sottili. È come una ragnatela, più ci si dibatte e più ha presa su di noi. L’ateismo fluido è l’ultima piaga del Tentatore. Ci attira sul suo terreno, se lo seguiamo saremo portati a fare uso delle sue armi: la menzogna e il compromesso. Fomenta attorno a sé la divisione, il risentimento, l’acredine e la rivalità. Abbiamo l’esempio della situazione della Chiesa! Essa è pervasa da dissenso, ostilità e sospetto. Con tutto il mio cuore di pastore, invito oggi i cristiani ad agire. Non dobbiamo creare partiti in seno alla Chiesa. Non dobbiamo proclamarci salvatori di questa o quella istituzione. Tutto ciò significherebbe fare il gioco dell’avversario. Viceversa, ciascuno di noi può prendere questa decisione: non mi lascerò più coinvolgere dalla menzogna dell’ateismo. Non voglio più rinunciare alla luce della fede, non voglio più che, per comodità, pigrizia o per conformismo, coabitino in me luce e tenebre. È una decisione molto semplice, al contempo intima e concreta. E trasformerà la nostra vita fin nei minimi dettagli. Non si tratta di andare in guerra. Non si tratta di denunciare dei nemici. Non si tratta di attaccare o criticare. Si tratta di rimanere saldamente fedeli a Gesù Cristo. Non possiamo cambiare il mondo, ma possiamo cambiare noi stessi.

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