Comunione

Don Marco Boato ha inviato una riflessione ad Aldo Maria Valli sul modo di accostarsi all'Eucaristia e sul rischio che la Comunione sulle mani ci porti verso l'apostasia

"Duc in altum" 5 Dicembre 2020

Ho letto con piacere e edificazione la lettera del cardinale Bassetti, in cui si esorta a rimettere l'Eucaristia al centro della vita cristiana. Alla luce di tale invito, mi sento di condividere una preoccupazione personale che va crescendo negli ultimi tempi, quella cioè di essere incamminati verso una sorta di apostasia eucaristica.


L'apostasia, in senso teologico-giuridico, è un atto di rifiuto formale di una realtà e in tal senso non mi pare di vedere all'orizzonte un moto di rifiuto della Santa Eucaristia. D'altro canto, stando alle radici greche della parola, l'apostasia è un "collocarsi lontano da" e tale allontanamento sembra invece possibile.


Userò un parallelo, perché chiarisce la cornice del problema. Parlando di totalitarismo, vari autori da anni hanno ipotizzato che, qualora dovesse ripresentarsi una tendenza autoritaria in politica, essa non avrebbe più le forme esplicite e militari rese note dai dittatori del XX secolo, bensì si presenterebbe in modalità più leggere e quasi impercettibili alla popolazione. Mi chiedo se qualcosa di simile non possa avvenire con la fede. L'apostasia della fede, e quindi l'apostasia eucaristica, potrebbe avvenire in forme non più eclatanti – quali se ne ricordano nelle dichiarazioni di rottura ereticali dei secoli passati – bensì in modalità blande e a tratti impercettibili per i fedeli? Potrebbe addirittura accadere non per volontà esplicita e dichiarata, bensì per l'imporsi di tendenze quasi inconsce, ma per sé stesse secolarizzanti?


Condividerò le mie riflessioni su tale tema secondo tre prospettive: pastorale, teologica e filosofica. Inizio oggi dalla considerazione di apprensione pastorale.


Muovo da un elemento concreto, che mi turba e che riassume bene gli estremi del discorso: l'imposizione della comunione sulle mani.


Brevemente: stando alla Tradizione, recepita in modo aggiornato dalla Memoriale Domini (Paolo VI 1969), la prassi della comunione eucaristica prevede di norma la comunione sulla lingua. La scelta di comunicarsi sulle mani è presentata dal Magistero come un atto eccezionale e riservato. In ogni caso l'accesso all'Eucaristia deve essere accompagnato da gesti di adorazione, sia pur sobri ma espliciti.


Da anni però assistiamo all'offuscamento di tale prassi. Ricordandoci – come insegnava Benedetto XVI – che il Concilio dei mass media ha prevalso su quello dei Padri, mi chiedo se non sia avvenuto che anche la Comunione dei media abbia prevalso su quella dei Padri. Non solo l'eccezione è divenuta abitudine, ma in vari luoghi è insegnata come scelta preferenziale, oppure imposta come unica opzione possibile, e in ogni caso di segni di adorazione se ne vedono sempre meno, quando non vengano essi stessi scoraggiati dai pastori.


I protocolli siglati col governo negli ultimi mesi hanno complicato la situazione, rendendo obbligatoria la comunione sulle mani per tutti e pressoché ovunque. In realtà il protocollo non lo specifica, ma lo lascia intendere. E le curie italiane inclinano ut in pluribus per tale interpretazione.


Alla luce di ciò cresce la mia preoccupazione pastorale: ammesso e concesso che la situazione sia normale e giustificata, temo seriamente che il popolo di Dio venga in tale frangente diseducato alla retta devozione eucaristica, e per conseguenza perda la fede e la debita adorazione dovuta al Santissimo Sacramento.


Quali che siano le ragioni dei pastori, il rischio di fissare nei nostri fedeli un senso di paura per l'Eucaristia, unito a un crollo della percezione di sacralità della stessa, è molto alto. E potrebbe essere semi-irreversibile.


Questo anche perché l'indicazione a comunicarsi sulle mani, stando alla mia esperienza e a quanto ho trovato sul web, non è accompagnata da inviti pressanti a mantenere in qualche modo la devozione e ad alimentare la pietà eucaristica. Si insiste casomai sull'apprensione sanitaria.


I casi di scontro tra sacerdoti e fedeli si moltiplicano. Le forme di devozione improvvisata dilagano (Comunione sul fazzoletto; Comunione sulle mani ma in ginocchio; Comunione regolare ma extra Missam o post Missam). E insomma la percezione che raccolgo è un misto di anarchia sacramentale e di clericalismo, di abbandono e durezza, di insofferenza e di indifferenza, di frammentazione complessiva.


Se non il contenuto, i modi certamente sono deleteri. E per questo mi spaventa moltissimo quanto vedo e prevedo. Essendo un sacerdote, poi, come potrei tacere o voltarmi altrove?


Fin qui l'appunto pastorale, ma il buon senso dice che se i frutti nascono marci forse il problema va cercato nella pianta. E dunque: se il problema non fosse pastorale, ma teologico? Se cioè andasse criticata in radice la scelta di tale imposizione? Dovremo tornare a parlarne e sarà la mia seconda prospettiva sul tema.


Don Marco Begato

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