Online non è sacramento

I vescovi agli ordini dell'Unione europea. "Pronti alla messa online", ma non è sacramento, comunione del naturale con il soprannaturale

Aldo Maria Valli in "Duc in altum" 2 Dicembre 2020

In questo Natale 2020 è Gesù Bambino il pericolo pubblico numero uno, l'untore da evitare o, per lo meno, da tenere a bada il più possibile. Così, almeno, stando alle indicazioni che arrivano sia dal governo italiano sia, ancor più, da Bruxelles.


Mentre infatti in Italia si discute sulla possibilità di far nascere nostro Signore due ore prima, come se il virus alle ventidue potesse diventare meno minaccioso rispetto a mezzanotte, l'Unione europea invita gli Stati membri a "evitare servizi di grandi dimensioni" e a "utilizzare trasmissioni online, televisive o radiofoniche". Raccomanda poi di "assegnare posti specifici per le famiglie vicine (bolle domestiche)" e "vietare il canto collettivo". "L'uso delle mascherine è particolarmente rilevante durante questi tipi di incontri".


Dopo aver appreso che il ministro Boccia (secondo il quale "Gesù bambino può nascere due ore prima") aspira al ruolo di teologo di Conte, e di corte, ecco dunque che anche i satrapi dell'Ue si ingeriscono senza tanti complimenti nelle scelte che dovrebbero essere di pertinenza della Chiesa.


Stay Safe Strategy, Strategia per stare sicuri: questo il nome del documento dell'Ue.


E i nostri pastori come replicano?


"Il Natale sobrio e solidale che si preannuncia quest'anno è il vero Natale" si è affrettato a proclamare il vescovo di Campobasso Giancarlo Bregantini, come se tutti i Natali vissuti finora fossero stati falsi, o meno veri. E dalla Cei ecco la solita acquiescenza nei confronti dei diktat governativi: "È desiderio della Conferenza episcopale italiana continuare la valida collaborazione, in ascolto reciproco, con la presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero degli Interni e il Comitato tecnico-scientifico". Un atto di obbedienza in piena regola, confermato, al Consiglio permanente della Cei, dalla prolusione del pro-presidente Mario Meini, un testo che in perfetto clericalese benedice il coprifuoco per le ore 22 del 24 dicembre, lasciando che sia lo Stato a stabilire gli orari delle celebrazioni e a prendere qualunque altra decisione relativa alla sfera religiosa e spirituale dei cittadini. E poco importa che non esista alcuna fondata ragione tale da consigliare l'anticipo. Ciò che conta è allinearsi.


Viene da chiedersi: l'articolo 7 della Costituzione italiana ("Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani… I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi") è stato forse abolito senza che ce ne accorgessimo? E la stessa sorte è forse toccata al Concordato, il quale (articolo 2, comma 1) dice che "La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare, è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica"?


Meini afferma anche che "i tempi di Avvento e Natale costituiscono un'occasione favorevole per trovare spazi di preghiera, capaci di sostenere e dare senso alla vita quotidiana. Preghiera individuale e comunitaria, comunque intensa, eventualmente anche utilizzando alcune possibilità offerte dalle tecnologie digitali". Insomma, dalla Cei non solo un'accettazione delle direttive che arrivano dal potere civile, ma una legittimazione teologica che si traduce in un incitamento a essere ancora più governati dall'esterno.


Padre Antonio Spadaro, il gesuita tanto ascoltato da Francesco, scrive su "Il Fatto Quotidiano" che, in fondo, non importa quando nasce Gesù. D'altra parte, osserva il direttore della "Civiltà cattolica", nemmeno il giorno della nascita è sicuro, quindi perché fissarsi sull'orario e fare tante storie?


Ma mentre padre Spadaro, con tanto di citazioni tratte dai padri della Chiesa, si attarda in riflessioni tutte tese da un lato a negare il valore della tradizione e dall'altro a legittimare l'ingerenza del potere civile nelle scelte della Chiesa, ecco che, ormai, ciò di cui si discute non è più l'orario, ma la possibilità stessa di celebrare la santa Messa.


È una lezione che la Chiesa dovrebbe aver appreso da tempo, eppure certi suoi esponenti la ignorano: quando ci si mette a inseguire il mondo, il mondo, in un modo o nell'altro, trova sempre il modo di rilanciare.


Il caso della Messa di mezzanotte è solo l'ultimo. Ormai la Chiesa cattolica, ignorando la sua universalità, la sua autonomia e quella libertas Ecclesiae per la quale tanti suoi rappresentati si sono battuti, lungo i secoli, fino all'estremo sacrificio, ha scelto di trasformarsi nei fatti in Chiesa di Stato.


Il problema è non solo che cosa si decide in materia di celebrazioni liturgiche. Il vero problema è chi decide. Se la Chiesa lascia che sia lo Stato a determinare che cosa sia il bene comune e, di conseguenza, permette che sia lo Stato stesso a decidere in materia religiosa, la Chiesa si auto-emargina, ovvero relega se stessa al mero ruolo di collaboratrice dello Stato, di ancella del potere statale. E, così facendo, tradisce uno dei capisaldi della civiltà cristiana occidentale, quell'indipendenza della Chiesa che è garanzia della libertà non solo sua, ma di tutti, contro ogni pretesa egemonica dello Stato.


Se un qualsiasi presidente del Consiglio o ministro o la Commissione europea si mettono a pontificare e a decidere in campo religioso, la ferita che si apre non riguarda solo la Chiesa, vilipesa Sposa di Cristo, ma la nostra stessa civiltà. E certamente il precedente di questo Natale 2020 non porterà con sé nulla di buono.


Aldo Maria Valli


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