'In Ucraina la libertà religiosa a rischio'

Luca Mariolivo, in "La Nuova Bussola" -  3 Marzo 2022

Il rischio più grande per la libertà religiosa in Ucraina, lo corrono soprattutto le comunità delle repubbliche di Lugansk e Donetsk, recentemente riconosciute dalla Federazione Russa. In Crimea, prima dell'occupazione russa, le organizzazioni religiose operative nella penisola erano 50, mentre già nel 2019 il loro numero era sceso a 9. La Nuova Bussola Quotidiana intervista Alessandro Monteduro, direttore della sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che Soffre.

Il rischio più grande per la libertà religiosa in Ucraina, lo corrono soprattutto le comunità delle repubbliche di Lugansk e Donetsk, recentemente riconosciute dalla Federazione Russa. Quanto alla Crimea, prima dell'occupazione russa, le organizzazioni religiose operative nella penisola erano 50, mentre già nel 2019 il loro numero era sceso a 9. La Nuova Bussola Quotidiana ne ha parlato con Alessandro Monteduro, direttore della sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che Soffre. La fondazione pontificia ha appena impegnato un milione di euro per l'emergenza.

 

Dottor Monteduro, che tipo di aiuti sta fornendo Aiuto alla Chiesa che Soffre all'Ucraina?

Aiuto alla Chiesa che Soffre è presente in Ucraina dal 1963 e, da allora, sostiene le comunità cristiane dei vari riti, con particolare riguardo, ovviamente di quello cattolico. Abbiamo una rete articolata in tutte le diocesi, comprese quelle dell'Ucraina orientale. In Ucraina, ci sono 4879 tra sacerdoti e religiosi e 1350 religiose. In questo senso, ci siamo mossi già da venerdì scorso, stanziando un milione di euro come primo intervento per le chiese ucraine. Già in passato avevamo contribuito con diverse decine di milioni di euro a sostegno della formazione dei seminaristi. Negli ultimi dieci anni, gli aspiranti al sacerdozio hanno ricevuto sei milioni e mezzo da Aiuto alla Chiesa che Soffre. Dal 1994, abbiamo sostenuto la costruzione e la manutenzione dei seminari latini e greco-cattolici, con oltre 9 milioni di euro, cui sono seguiti 15,6 milioni di euro per la costruzione e il restauro di monasteri e conventi. Confidiamo di proseguire quest'opera, anche grazie alla generosità dei benefattori, che si stanno prodigando in questi giorni dall'Italia e non solo.

 

In base alle informazioni che state ricevendo, di cosa hanno più concretamente bisogno le Chiese ucraine?

Lo scenario è molto eterogeneo. Ci sono aree del Paese, dove, grazie a Dio, il conflitto non è ancora arrivato e mi riferisco ai confini con l'Unione Europea (Moldavia, Romania e Polonia). Diverso è il discorso per altre città centro-orientali, a partire dalla capitale, dove stiamo riscontrando una splendida opera di generosità e di fratellanza, con numerosi luoghi di preghiera e formazione – chiese, seminari, conventi – che hanno aperto le loro porte a chi cercava un rifugio, nella speranza di poter rimanere zone franche e non aggredibili.

 

Venendo alla sua domanda, ho appena parlato con il direttore di un seminario a Horodok, a 180 chilometri dalla Romania, che mi ha detto. "In questo momento non necessitiamo di molto", nel senso che hanno ancora scorte disponibili. Altre comunità religiose non si erano premunite e ora cominciano ad aver bisogno di beni di prima necessità. Stesso discorso per chi vive in aree dove vige il coprifuoco. Prima ancora che di sostegno materiale, comunque tutte le comunità chiedono un sostegno spirituale e la preghiera comunitaria per il futuro del Paese. Sentono concretamente la straordinaria vicinanza e solidarietà delle comunità cristiane e cattoliche provenienti dall'Europa e ne traggono giovamento. Ci fanno giungere i loro ringraziamenti e, assieme a noi, pregano affinché questa situazione possa terminare nel più breve tempo possibile.

 

La situazione più drammatica dove si registra?

Probabilmente a Kharkiv, dove le strade sono deserte e le persone sono nascoste negli scantinati, nei bunker, nei garage. Lo stesso vescovo di rito latino di Kharkiv-Zaporižžja ha trascorso gli ultimi giorni in un bunker con diverse famiglie, così come il suo omologo ortodosso.

 

La crisi che si trascina ormai dal 2014, che impatto ha avuto sui rapporti ecumenici catto-ortodossi?

Gli ultimi otto anni sono stati certamente difficili. Dal 2014, si sono palesati in maniera fin troppo evidente, problemi correlati alle comunità di fede non facenti riferimento al patriarcato di Mosca: parlo, quindi, di comunità cattoliche, pentecostali ma anche ai Testimoni di Geova. In particolare, nell'area delle due autoproclamate repubbliche riconosciute alcuni giorni fa dalla Federazione Russa, in questi anni la stessa libertà religiosa è stata messa a serio rischio: l'impatto burocratico (ovvero tutto il sistema di registrazioni e autorizzazioni) ha fatto sì che le comunità religiose si riducessero a poche unità. Prima del 2014, in Crimea, erano più di 50, oggi sono solo 9.

 

In questi otto anni, nell'area orientale dell'Ucraina, si è arrivati a impedire le aggregazioni per ragioni di fede. Le organizzazioni religiose che al 15 ottobre 2018 non risultavano registrate sono diventate infatti oggetto di ritorsioni. Nel 2019, ad esempio, sono state tagliate le forniture di gas agli edifici non registrati in cui si svolgevano funzioni religiose, con la minaccia di ulteriori tagli, per limitare l'accesso, anche alle forniture idrica ed elettrica. Tante testimonianze giunteci in questi anni, ci confermano che, in questi anni, la libertà religiosa è stata in forte sofferenza. La cosa è stata oggetto della nostra denuncia: anche nel momento in cui vi era una sorta di liason con la Federazione Russa, non abbiamo mai smesso di indicare che le comunità di fede che non si riconoscevano nel patriarcato ortodosso di Mosca, in realtà, soffrivano molto più di una mera discriminazione.

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