Buonsenso
Francesco Lamendola, in "Accademia Adriatica di Filosofia" – 26 Marzo 2022
Qualcuno – pochissimi, in verità – se n'era accorto e lo andava dicendo, come colui che grida nel deserto: abbiamo messo in cattedra l'irrazionale, il folle, il mostruoso, l'orrido, il demoniaco, e abbiamo distrutto quella cosa essenziale per la sopravvivenza degli uomini e della società che è il buon senso, vale a dire la percezione sana e realistica del reale e di tutto ciò che concerne la nostra esistenza. Più di mezzo secolo prima del nostro tempo, quando la cosa è ormai del tutto evidente (ma a percepirla continuano ad essere pochi: segno certissimo dell'avvenuta scomparsa del buon senso) qualcuno si era reso conto del capovolgimento del giudizio sui fatti essenziali della vita e sulla capacità di riconoscere e distinguere il vero dal falso, il bene dal male e il bello dal brutto, una facoltà senza la quale l'uomo, l'unico essere vivente che la possiede, è fatalmente destinato ad autodistruggersi e a scomparire. Per inguaribile idiozia. La vita, infatti, non sa che farsene degli idioti volontari: li abbandona al loro destino.
Uno di quei pochi è stato senza dubbio il filosofo belga Marcel de Corte (Genappe, 20 aprile 1905-Tilff, 19 giugno 1994), cattolico e neotomista, professore universitario all'Università di Liegi dal 1940 al 1975. Una mente così lucida e un modo di porsi così politicamente scorretto da affermare, da buon discepolo di Maurras, che la sua opera era profondamente reazionaria: nel senso che era una lotta contro la malattia della modernità, per il ritorno alla salute. Scriveva in Fenomenologia dell'autodistruttore (titolo originale: L'homme contre lui-même, Paris, Nouvelles Editions Latines, 1962; traduzione dal francese Roberto Antonetto, Torino, Borla Editore, 1967, pp. 67-69):
In questo nostro strano mondo, dire che il bianco è bianco, e che il nero è nero, è un atto che suscita la disapprovazione, se non l'ira, dei nostri contemporanei, e che pone l'autore al bando della società; rappresenta un'audacia che si paga talvolta con una pallottola nella nuca, e quasi sempre con un silenzio ostile dell'opinione pubblica, e degli intellettuali che la governano. Chi vien fuori con una affermazione così categorica, è considerato un povero di spirito, se non un antidiluviano, un disadattato alla sua epoca. Impossibile ottenere attenzione dagli uomini del nostro tempo, se non si volta la schiena al vero, al bello, al buono.
La strategia del caos o la distruzione del "Buon senso".
La prova? Guardiamo il panorama di foglie morte che cadono ogni giorno in abbondanza da quegli alberi di acciaio chiamati "tipografie": l'errore, l'orrore, l'impudicizia fanno da padroni; vi si sfogano l'inesistente, l'impossibile, l'incongruo, l'apparente, l'illusorio. Via libera all'impostura, alla dissimulazione, alla sfrontatezza, al belletto, alla panzana, alla falsità, all'iperbole, al romanzesco. E lasciamo da parte gli innumerevoli delitti contro il buon gusto ed i buoni costumi.
I cosiddetti moderati, gli spiriti aperti diranno che sto facendo delle caricatura, del "pamphlet": il nostro tempo – diranno – non è né migliore né peggiore di quelli che lo hanno preceduto. Ora, questo appello alla "misura" richiede due risposte. Primo: c'è da domandarsi prima di tutto se questa moderazione non sia in realtà il frutto d'una tolleranza talmente sproporzionata nei confronti della mancanza di limiti, da non aver neppur più coscienza di sé, sia pure più per debolezza che per complicità. Secondo: vorrei sapere come si possa spiegare il disordine del nostro tempo senza ricorrere all'ipotesi d'una malattia epidemica che ha colpito l'uomo d'oggi nel più profondo della sua sostanza umana.
Messe da parte queste obiezioni, bisogna dire che la nostra epoca si caratterizza per una perdita universale e massiccia del BUONSENSO, e chi s'ingegna a porvi rimedio, senza far altro che renderla più grave. Questo bisogna dire, per comprendere l'ampiezza, mai vista finora nella storia, del vuoto che si apre sotto i nostri occhi nella natura dell'uomo, e nelle attività che ne sono governate.
Il destino dell'uomo è un gioco oggi in tutto il mondo. Per essere così minacciato, bisogna pure che l'elemento che costituisce l'essenza dell'ANIMALE RAGIONEVOLE sia esso stesso colpito: e questo elemento essenziale è il buon senso. Tutti gli esseri, in natura, hanno un significato nel quale trovano il loro compimento, così come le cose inerti hanno delle proprietà fisiche e chimiche che le caratterizzano. Gli esseri viventi rivelano una tendenza che li muove verso la loro specie; il chicco di frumento non diventa quercia, l'uovo di gallina non genera un coccodrillo. Se gli esseri naturali non avessero un senso, da molto tempo la specie umana sarebbe scomparsa. A dispetto di tutti gli scetticismi, il mondo materiale, vegetale e animale non è un caos: l'uomo vi può riconoscere dei significati, delle direzioni e, in un certo modo, dei motivi musicali che si dispiegano in questo o quel senso, sempre o quasi sempre identico a se stesso.
Anche l'uomo ha un senso; inoltre, unico in tutta la natura, è dotato anche di BUONSENSO, vale a dire d'una facoltà conoscitiva che lo rende capace di orientare il suo essere verso un ordine propriamente umano, in sé e nei diversi campi della sua attività. L'uomo soltanto ha il privilegio di sapere dove va, dove può e deve andare. Non è per caso che si dice: AVER DEL BUONSENSO, per fruire della pienezza delle proprie facoltà intellettuali. È proprio questo, il buonsenso: la percezione sana, diretta e sicura nella direzione che bisogna tenere per essere uomini e per non uscire da questa prospettiva. Se è vero che la nostra intelligenza è la facoltà del reale, il buonsenso coincide con l'intuizione dell'autentica realtà umana, che ciascuno di noi è chiamato a perfezionare in sé e con i suoi atti, Per questo, come dice Bossuet, il buonsenso è «il maestro della vita degli uomini». Alla sua forza, alla sua vitalità si appoggiano e s'articolano tutti i momenti della nostra esistenza, perché è la pietra angolare, il fondamento, la radice dell'edificio umano che portiamo avanti, ciascuno per proprio conto. Senza di lui, ogni cosa si riduce a fragile ed effimera quinta da teatro. Il buonsenso, l'ordine immanente, nascosto, difficilmente afferrabile, chiarificatore, e non chiarificabile, che portiamo in noi e che sostiene con la sua potente presenza l'organizzazione della nostra vita.
Il filosofo cattolico e neotomista Marcel de Corte, sessant'anni fa e ben prima del'68 osava affermare che il bianco è bianco e il nero è nero: l'equivalente dell'affermazione di san Tommaso d'Aquino: questa è una mela; chi non è d'accordo può uscire!
Se si pensa che queste parole furono scritte sessant'anni fa, addirittura prima del'68, non si può non restare colpiti dalla preveggenza e dalla chiarezza d'idee del loro autore. In piena ubriacatura relativista, solipsista e nichilista, in pieno dadaismo concettuale e surrealismo speculativo, egli osava affermare che il bianco è bianco e il nero è nero: l'equivalente dell'affermazione di san Tommaso d'Aquino: questa è una mela; chi non è d'accordo può uscire; ed era perfettamente consapevole del destino che attendeva lui e quelli come lui. Infatti: quanti studenti di liceo, o anche di università, hanno mai sentito parlare di Marcel de Corte, fosse pure una volta sola, fosse pure di sfuggita, dai loro professori o dai libri sui quali sono chiamati a studiare? Nessuno o quasi nessuno, crediamo. In compenso, essi sono tenuti a conoscere perfino quanti peli aveva Karl Marx sulla barba e quanti capelli crescevano in testa a Sigmund Freud; ma di Marcel de Corte, di Cornelio Fabro, di Antonio Livi, niente di niente: neppure una parola. E in fondo è giusto così, o quantomeno logico. Essi non solo hanno visto e riconosciuto per tempo la grande impostura e l'hanno denunciata, ma hanno denunciato anche tutto il clima complessivo instaurato nella cultura e nella società dagli pseudo intellettuali: quelli che andavano in estasi davanti a uno dei brutti spettacoli di Dario Fo, ai bruttissimi film di Pier Paolo Pasolini, ai pessimi romanzi di Alberto Moravia e agli inutili romanzi di Umberto Eco, alla cattiva filosofia di Jean-Paul Sartre, alla grottesca "arte" di Piero Manzoni e alla insulsa psicologia di Umberto Galimberti; quelli che si sgolavano a tuonare contro l'intervento americano nel Vietnam e che oggi si sgolano per sollecitare l'intervento americano (ed europeo) contro la Russia, colpevole di aver invaso la povera, piccola e nobile Ucraina, bandiera della libertà e della civiltà, e ciò dopo avere assistito impassibili o consenzienti all'aggressione contro l'Afghanistan, l'Iraq, la Libia, la Siria e la Serbia; quelli che protestavano per la mancata parificazione, piena e totale, dei giochi olimpici per disabili a quelli degli atleti "normali", ma ora trovano cosa buona e giusta che un campione mondiale di tennis venga bandito dai giochi in diversi Stati "democratici", e addirittura gli sia negato il visto d'ingresso, perché non accetta di farsi inoculare; quelli che reclamavano la libertà di drogarsi, abortire, fare sesso coi bambini (vedi il manifesto pro pedofilia di Sartre, De Beauvoir, Foucault e Althusser) e adesso non fiatano davanti alla proibizione di uscir di casa e al licenziamento dei lavoratori non vaccinati secondo le pretese e i ricatti del governo.
Eugenetica malthusiana nuovo dogma e "problema uomo" la vita non sa che farsene degli "Idioti volontari" li abbandona al loro destino?
Noi oggi, trovandoci nel pieno della globalizzazione e nella fase strategica del Great Rest per l'instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale, abbiamo un vantaggio (un triste vantaggio) sui de Corte e i pochissimi altri che avevano visto, capito e denunciato la deriva della cultura e la distruzione dell'intelligenza, dello spirito critico e del buon senso; oggi possiamo vedere i veri registi di questa operazione, se non altro perché hanno deciso di firmarsi e di metterci la faccia, o almeno una parte di essi lo sta facendo. Lo dicono e lo scrivono, nei loro Forum di Davos e nelle loro riunioni del Bilderberg; lo dicono e lo affermano nei loro libri, come La quarta rivoluzione industriale di Klaus Schwab; lo dicono alcuni ministri di governi particolarmente asserviti alla grande finanza, come il nostro, che non torneremo mai più alla normalità di prima, che l'emergenza sarà permanente, che l'obbligo del green pass non decadrà mai, anche perché assumerà sempre nuove funzioni, giustificate dal succedersi di sempre nuove emergenze (ma loro, come lo sanno fin da ora?) e comunque dal fatto, ormai lo dicono senza peli sulla lingua, che il vecchio mondo, fatto d'identità personale e collettiva, di tradizioni, di storia, di passato, di arte, di bellezza, di filosofia e di pensiero, il vecchio mondo che riconosce il valore della ragione e che s'inginocchia davanti alla sublimità della Rivelazione di Gesù Cristo, deve scomparire, deve essere abbattuto, come si fa con un edificio vecchio e cadente sopravvissuto già fin troppo a lungo in un quartiere ultramoderno. Deve scomparire affinché essi, i padroni della globalizzazione, possano esercitare un controllo ancor più capillare sulle menti e suoi corpi e possono chiudere inesorabilmente ogni spazio di verità, di bontà e di bellezza. Il trinomio inseparabile che trova il suo coronamento in Dio: e a causa del quale anche Dio deve essere abolito ed archiviato. Se non fosse per quello, se cioè non fosse perché in Dio coincidono il sommo Vero, il sommo Bene e il sommo Bello, essi, i padroni universali, potrebbero anche lasciarlo vivacchiare, potrebbero tollerarlo purché se ne stia buono e tranquillo nel suo angolino, a ricevere ancora l'adorazione dei suoi ultimi credenti, sempre più simili a morti viventi. Ma il Dio vivente annunciato da Gesù Cristo, e che era Dio Egli stesso, quello no, quello non lo possono assolutamente tollerare. Anzi, uno degli obiettivi fondamentali, se non l'obiettivo fondamentale, era ed è proprio questo: eliminare la religione di Gesù Cristo, spazzar via la fede in Lui, pervertire e capovolgere la sua dottrina, asservire alle potenze infernali i suoi vescovi e i suoi preti.
Il Great Reset per un Nuovo Ordine Mondiale? Nessun animale può sopravvivere se diventa idiota. Perciò o rientriamo in noi o periremo!
La Pachamama, per esempio, non dà alcun fastidio, anzi, è decisamente funzionale alla strategia del globalismo: è un monito perenne alla sacralità della Natura, della Madre Terra, ed un incessante memento di quanto l'uomo, per il solo fatto di esistere e (incredibile sfacciataggine!) di riprodursi, costituisca un grave problema, un problema che bisogna pur affrontare e risolvere una buona volta, prima che il pianeta subisca dei danni irreparabili. I tempi, essi dicono, ormai sono molto stretti: il cambiamento climatico, causato (essi dicono, mentendo e sapendo di mentire) dall'inquinamento atmosferico, procede a passo di corsa: e dunque o si ferma l'uomo o bisognerà dire addio alla terra che lo ospita e gli dà la possibilità di vivere. Questa è una religione, o una sub-religione (perché la religione vera dovrà essere il satanismo, su ciò non si discute) che piace ai padroni universali; coincide coi loro programmi, con la loro visione dell'uomo, con il loro giudizio e la loro agenda per il futuro dell'umanità. Essi hanno deciso di assumersi la responsabilità di affrontare in maniera radicale il "problema uomo": hanno deciso di far crollare la crescita demografica, di spopolare intere regioni, di svuotare di abitanti interi stati, d'impoverire le popolazioni, rendere i singoli individui sempre più confusi, sempre più incerti, più nevrotici e depressi, oltre che più fragili e malati sul piano fisico, e perciò sempre più dipendenti da quella cosa orribile che è divenuta la sanità pubblica e privata, da quando essi sono riusciti a metterci le mani sopra, ad imporre i loro protocolli "sanitari" e a diffondere nella classe medica la loro filosofia, con l'autorevolezza e la perentorietà di un dogma che non ammettete deroghe: eugenetica, malthusiana, spietata e senz'anima.
Ripetiamo: nessun animale può sopravvivere se diventa idiota. Perciò o rientriamo in noi o periremo.
Del 25 Marzo 2022
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