Non infangare San Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II disse a don Giussani: siamo senza patria. Il santo è uno straniero in questo mondo, e il mondo con i suoi agenti non lo può capire, tantomeno le sue "quinte colonne" continuamente infiltrate nella Chiesa e che non sempre avvertiamo

Marco Tosatti rilancia un articolo che mons. Nicola Bux ha scritto per l'Occidentale 25 Novembre 2020

E' necessario che accadano gli scandali, ha detto Gesù Cristo, ma guai all'uomo a causa del quale avviene lo scandalo (Mt 18,8). Si tratta di opera e colpa umana, tuttavia esiste in esso una disposizione divina. Non sapeva Cristo che Giuda l'avrebbe tradito? Eppure lo ha scelto. Un mistero. Il salmo 120 afferma: una persona fidata chi può trovarla? A chi gli faceva presente che taluni suoi collaboratori erano discussi, Giovanni Paolo II rispondeva: lo so bene, ma pensi che gli altri siano migliori? Conosceva in profondo l'uomo, e sapeva che senza la conversione del cuore, la nomenclatura non serve.


 


La fama di Karol Wojtyla, da arcivescovo di Cracovia, era diffusa tra i giovani di Comunione e liberazione che, in controtendenza alla gioventù cattolica filo-sessantottina, negli anni Settanta scrutavano i fermenti del samizdat, il dissenso sotterraneo oltre la 'Cortina di ferro' e in Russia, e, su indicazione di don Francesco Ricci, grande sacerdote romagnolo, e incoraggiati da don Luigi Giussani, si recavano in pellegrinaggio alla Madonna di Czestokowa. Ero tra questi. Perciò abbiamo esultato la sera del 16 ottobre 1978 all'elezione di Giovanni Paolo II. Abbiamo trepidato al momento dell'attentato il 13 maggio 1981.


 


Il 26 marzo del 1982, al termine del convegno teologico in Vaticano, sullo Spirito Santo, nel diciassettesimo centenario del concilio di Costantinopoli del 381, sono stato ricevuto da lui. L'ho incontrato nuovamente in udienza privata il 14 marzo 1991, insieme ad alcune personalità di Gerusalemme, esponendo le difficoltà della presenza cristiana in Terrasanta. Dopo che m'aveva nominato, su proposta del cardinale Ratzinger, consultore alla Congregazione dei Santi, poi della Congregazione per la Dottrina della Fede, e infine perito al sinodo sull'eucaristia, l'ho visto l'ultima volta nell'udienza al Consiglio della Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi, non senza commuovermi al vederlo sulla sedia mobile ormai debilitato; era il 16 novembre 2004, meno di cinque mesi dalla morte. Tutto questo non mi ha impedito di essere imparziale, proponendo approfondimenti ulteriori, allorché fui annoverato tra i consultori della causa di canonizzazione. A mio sommesso avviso, meritava il Servo di Dio una Positio super virtutibus migliore. Però, chi ritiene che sia stata troppo frettolosa, dimentica che nella storia delle cause dei santi, non sono stati pochi i processi di canonizzazione veloci.


 


I santi, come i grandi padri, non sono i meno difettosi, hanno fatto errori in persone e cose, ma l'errore non è un peccato, invece sono stati i più coraggiosi nel seguire Cristo: ma questo il mondo non lo può capire. Gli interventi dei giornali laicisti, sono moralistici, perché abituati a tollerare peccati ben peggiori, ma davanti alla Chiesa lo dimenticano e diventano inflessibili. Ho detto all'inizio, che Gesù, pur sapendo chi era Giuda, ha permesso che entrasse nel collegio apostolico: mistero del rapporto tra la grazia di Dio e la libertà dell'uomo. Non diciamo che l'uomo è sempre recuperabile?


 


Ha ragione il cardinale Ruini di fare appello alla vox populi davvero enorme – dai milioni di fedeli che gli resero omaggio alla morte, ai capi di stato provenienti da tutto il mondo ai funerali – qualcosa di simile non si ricordava dalla morte di Pio XII, che vide funerali imponenti e file interminabili per giorni in san Pietro, e fama di santità diffusa al punto che, a due mesi dalla morte avvenuta il 9 ottobre, l'8 dicembre, era già diffusa la preghiera per la canonizzazione; il processo fu avviato nel 1965 da Paolo VI. Forse per Giovanni Paolo II, Benedetto XVI avrebbe voluto più tempo, sì, ma c'erano già segnalazioni innumerevoli di grazie e presunti miracoli.


 


Giovanni Paolo II ha dato impulso all'evangelizzazione su scala mondiale, cosa necessaria si badi ad ogni generazione. Oggi si ritiene che ciò sia proselitismo: no, perché il confronto con le religioni non deve in alcun modo significare per la Chiesa l'abdicazione alla sua missione di far conoscere Gesù Cristo senza il quale non c'è salvezza. Giovanni Paolo lo aveva chiaro, anche perché venuto dalla generazione cresciuta in Polonia sotto il comunismo.


 


E' vera la sua capacità di guardare in profondo – colpiva il suo sguardo – e di sprofondare in preghiera come un pesce nell'acqua, direbbe il Curato d'Ars, in ginocchio, anche quando non ce la fece più: non si esagera dicendo che era un mistico. Mai attuò verso i critici e gli oppositori un atteggiamento vendicativo, o emarginando cardinali e vescovi, o punendo istituti religiosi, ma ribadì sempre la verità, come fece ad esempio, difendendo la Dichiarazione Dominus Iesus. In un Angelus, disse che il papa deve soffrire per introdurre la Chiesa nel nuovo Millennio.


 


Dal suo magistero si può attingere il vero umanesimo, quello cristiano, a partire dal "manifesto" della Redemptor hominis, dove l'antropologia attinge alla cristologia proposta in categorie fenomenologiche. Non ha mai ideologizzato i poveri o la pace, perché non era relativista, ma affermava Gesù Cristo al centro della storia e del cosmo.


 


Si dice che non si sia interessato molto della Curia romana: sapeva che senza la giustizia e la carità, le riforme ecclesiastiche non servono. La Costituzione Apostolica Universi Dominici gregis riguardo al Conclave, dimostra quanto fosse attento; ma è bastata ad impedire l'azione di lobby della "mafia di San Gallo"?  Proprio questo documento attesta che non era superficiale e accentratore, anzi: consapevole della sua responsabilità, non scavalcava i collaboratori, ma si sottoponeva alle diverse istanze dei dicasteri della Curia Romana per redigere documenti e apprestare nomine. Sul ruolo del segretario particolare si son dette tante cose, di sicuro però non si è sostituito al papa, ma lo ha aiutato, specialmente nei periodi frequenti di malattia e debilitazione. Come tutti gli ambienti, poi, la Curia assomiglia ad una corte, dove le voci e i sussurri tendono ad ingigantirsi e a trasformarsi in altra cosa rispetto a ciò che erano in origine. Giovanni Paolo era prudente, rispettoso: sapeva bene che non doveva credere alle accuse contro un sacerdote, se non sulla deposizione di più testimoni. E al tempo di Giovanni Paolo II le accuse contro Mc Carrick, da quel che sembra, non erano ancora conclamate.


 


Giovanni Paolo II, che aveva sfidato il regime di Jaruzelski e incoraggiato Solidarnosc – doveva avere paura di Mc Carrick? San Bernardo, che si intendeva di vescovi, anzi di papi, visto che Eugenio III era stato suo discepolo, affermava: si prudens regat (se è prudente, governi). Può questo sconfinare nell'equilibrismo? Certamente, se non si è guidati dalla verità. Il potere sta nella verità: quelli che hanno la verità hanno il potere.

Giovanni Paolo II disse a don Giussani: siamo senza patria. Il santo è uno straniero in questo mondo, e il mondo con i suoi agenti non lo può capire, tantomeno le sue 'quinte colonne' infiltrate nella Chiesa.


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