Altro è l'amore anche per la razza ebraica altri sono i vignaioli omicidi del Likud, della Cabala, altro è l'amore per gli arabi musulmani, altro è l'islamismo

Nell'omelia della XXVII Domenica del tempo ordinario di Francesco Lamendola troviamo il giusto commento alla parabola dei vignaioli perfidi, distinguendo l'amore ai "fratelli maggiori" del popolo ebraico ben distinto dagli scribi del Talmud e della Cabala, analogamente all'amore agli arabi islamici e non all'islamismo

Omelia di Francesco Lamendola in www.accademianuovaitalia.it 12 ottobre 2020 

CHI SONO I VIGNAIOLI OMICIDI?

La parabola dei vignaioli omicidi, riportata da Matteo, 21,33-34, da Marco, 12,1-11, e da Luca,  20,9-18, è probabilmente la più vivida, la più impressionante e la più severa di tutte quelle narrate nei Vangeli: non solo per il suo andamento altamente drammatico e per la conclusione sanguinosa, coi vignaioli omicidi che vengono fatti sterminare dal padrone giustamente indignato contro di essi, ma perché evidenzia la rottura dell'Antica Alleanza fra Dio e il popolo ebreo, e, più ancora, perché predice chiaramente la Passione e la Morte di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che, come il figlio del padrone della vigna, viene catturato e ucciso dai vignaioli malvagi, decisi a divenire gli eredi indiscussi di quella proprietà.


Eccola nella versione di Matteo, così come l'abbiamo udita nella liturgia della sanata Messa di domenica 4 ottobre scorso: 


33. Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. 34 Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. 35 Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. 36 Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! 38. Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. 39. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. 40 Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». 41. Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». 42 E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:


La pietra che i costruttori hanno scartata


è diventata testata d'angolo;


dal Signore è stato fatto questo


ed è mirabile agli occhi nostri?


43. Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.


44. Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà».


Si noti che Matteo inserisce questa parabola nel suo Vangelo dopo un episodio quanto mai significativo del rapporto irrimediabilmente deteriorato fra Gesù e il Sinedrio, quello della cacciata dei mercanti dal tempio, e un altro dall'intenso significato allegorico, la maledizione del fico sterile; e fra due altre parabole del medesimo tenore e con la stessa finalità didattica: quella dei due figli, uno dei quali dice di obbedire alla volontà di suo padre, ma non lo fa, e l'altro che si rifiuta di obbedire, ma poi si pente e lo fa; e del banchetto di nozze, dove gli invitati non solo disprezzano l'invito, ma addirittura uccidono i messi del re, il quale, sdegnato, manda le sue truppe, li fa passare a fil di spada e fa invitare al loro posto altre persone, che inizialmente non facevano parte della lista degli amici e dei parenti, e infatti sono dei perfetti sconosciuti. All'interno di essa c'è un'ulteriore parabola, perché fra i nuovi invitati ce n'è uno che ha osato presentarsi al banchetto senza indossare l'abito nuziale, al che il re lo fa gettare fuori, nelle tenebre, legato mani e piedi, dove sono pianto e stridore di denti. A sottolineare che se i primi invitati si sono rivelati indegni dell'invito, i secondi non sono tutti buoni, e il fatto che siano stati chiamati a sostituirei primi non significa che saranno tutti automaticamente premiati, né che la loro chiamata li rende migliori degli altri, senza che vi sia un loro particolare impegno e una conversione personale. Ciò detto, è impossibile non vedere il filo conduttore che lega le tre parabole: il ripudio del Messia da parte degli ebrei (e non viceversa) e perciò la nascita d'una nuova Alleanza, fondata su nuove basi.


Ora, proviamo a lasciar perdere tutti i funambolismi, le contorsioni, i doppi e tripli tuffi carpiati dei biblisti e dei teologi post-conciliari, i quali hanno disperatamente cercato di dimostrare ciò che è indimostrabile, ossia che in questa parabola, come nelle altre due, Gesù non parlava dei giudei, ma chissà, degli uomini in generale; affidiamoci al nostro semplice buon senso, anzi, meglio ancora, al nostro sensus fidei, superiore al comune buon senso perché dono esclusivo del battezzato, che, se ha l'anima in grazia di Dio, risulta pressoché infallibile. Chi sono i vignaioli omicidi, che dopo aver cacciato o messo a morte gli inviati del padrone, alla fine decidono lucidamente e consapevolmente di assassinare anche il suo stesso Figlio? Chi sono costoro, se non i rabbini, la parte di quel popolo eletto, che rompe radicalmente, con ciò stesso, il Patto dell'Antica Alleanza? Inutilmente quei signori si affannano a ripetere che Dio resta fedele alle sue promesse e che, in conseguenza della sua coerenza, l'Antica Alleanza è sempre valida, perciò che tutti gli ebrei sono ancora e sempre il popolo eletto. Certo che Dio è coerente e che non si rimangia le sue promesse, così come è sempre misericordioso e quindi desideroso di salvare gli uomini; ma è necessario che anche il destinatario della Promessa sia fedele, e che anche il peccatore si penta dei suoi peccati. Come può Dio restare fedele a un patto che gli uomini, in piena lucidità e consapevolezza, hanno deciso di rescindere? Come può salvare quelli che non vogliono assolutamente essere salvati, e che continuano a maledirlo e a maledire i suoi fedeli, anche duemila anni dopo l'orribile misfatto di aver messo in croce il Figlio unigenito? Per immaginare una cosa del genere, bisognerebbe ammettere che Dio salva gli uomini contro la loro volontà, facendo violenza al dono più bello e prezioso che ha fatto loro, la libertà; e quindi che considera valida l'Antica Alleanza a dispetto del fatto che chi tra i suoi destinatari non la considerino più tale, anzi la disprezzino dal profondo del cuore e la sconfessino, anche in questo caso calpestando il loro libero arbitrio e privandoli delle conseguenze della loro facoltà di scegliere tra il bene e il male. Ma Dio, infinitamente buono, è anche, o meglio è perciò stesso, infinitamente giusto: e quale giustizia sarebbe quella di dare agli uomini la libertà, e poi, di fatto, privarli di essa, ignorando le loro scelte e costringendoli a venire a Lui in Paradiso, dopo che lo hanno respinto con un atto inequivocabile della loro volontà?


«Eppure – obietterà qualcuno – la critica storica e filologica dei Vangeli ha dimostrato che l'Antica Alleanza si deve ritenere tuttora valida, dato che Iddio non l'ha mai formalmente revocata, né ha mai pensato di revocare agli ebrei lo statuto di popolo eletto; quanto alla conversione dei pagani, si è trattato in sostanza di un'intuizione estemporanea di san Paolo e alcuni altri, ma il mandato originario di Cristo riguardava solamente gli ebrei». Davvero? E invece noi diciamo che tale revoca, il cui logico corollario è l'estensione del Vangelo a tutte le genti, non solo è avvenuta de facto, per esplicita e convintissima volontà di quei  giudei (e il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli, dice la folla di Gerusalemme, esortando Pilato a far giustiziare Gesù (Mt 27,25), ma è stata anche predetta dai profeti: vedi Genesi, 22,18, ove Dio dice ad Abramo: «Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce». E se non basta, ecco la voce stessa di Gesù (con licenza di padre Sosa Abascal, vista la mancanza di registratori (Gv., 12,32): Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me». E san Giovanni, onde escludere qualsiasi possibilità di equivoco sul fatto che si riferiva a Se stesso, alla propria morte, e che con quel "tutti" intendeva proprio "tutti", chiarisce subito dopo (id., 33): Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire. Infatti, per la legge mosaica la morte di croce era talmente disonorevole, ma escludere di per sé che il crocifisso potesse trovarsi in grazia del Signore (Deut. 21,22-23; cfr. Gal. 3,12): Sia maledetto chiunque è appeso al legno. Al che san Paolo osserva, traendo le logiche conseguenze del fatto (Gal. 3,13-14): Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede.


La benedizione fatta da Dio al padre Abramo, pertanto, con l'evento drammatico e salvifico della Passione e Morte di Gesù, voluta dagli stessi giudei, e meramente eseguita dai romani (i quali, quanto a loro, non si erano neppure accorti di quel profeta) è passata alle genti, vale a dire ai pagani. Questo è quanto dice la Bibbia ad un cristiano, che piaccia o non piaccia a quei cardinali e vescovi figli del Concilio, i quali, in omaggio agli accordi segreti intercorsi fra Giovanni XXIII e il B'mai B'rtith, cercano di togliere il loro vero significato a quelle parole e di stravolgerlo nel senso di una alleanza tuttora perdurante fra Dio e tutti gli ebrei: la parte di quelli stessi che da duemila anni si compiacciono della condanna a morte di Cristo e che, col Talmud, pregano il loro Dio lanciando tutti i giorni  le più sconce bestemmie contro Gesù e le più  atroci maledizioni contro i suoi seguaci. Il che va, oltretutto, contro la logica: ma a chi importa la logica, quando si tratta di compiacere i "fratelli maggiori" ingiustamente colpevolizzati e discriminati? Così, per ragioni ideologiche le quali nulla hanno a che vedere col Vangelo, bisogna fare finta che la parabola dei vignaioli omicidi parli degli uomini in generale, e sorvolare sul preciso dettaglio che mentre essi, alla fine, vengono sterminati dal padrone giustamente sdegnato, la vigna viene data ad altri vignaioli, che gli consegneranno i frutti a suo tempo. Più chiaro di così…


Chi sono i vignaioli omicidi? E che l'ordine che viene dall'alto sia quello di smussare, attutire, minimizzare ogni spigolo, ogni dato di fatto indicante che il cristianesimo non è affatto, come vorrebbero biblisti quali Francesco Rossi De Gasperis (del quale abbiamo già parlato), un evento intra-giudaico, e più precisamente la conseguenza di uno scisma intra-giudaico, ma l'Annuncio che scaturisce dalla vita, dalla morte e dalla resurrezione di Gesù, Dio incarnato, e perciò d'un radicale superamento dell'Antica Alleanza, che gli ebrei da parte loro avevano già rescisso, lo vediamo continuamente, da cento e cento segni, che vanno dalle continue visite dei papi post-conciliari alla Sinagoga, e dal ricevimento d'incessanti delegazioni in colloqui riservati con rabbini e altri esponenti del giudaismo, alla perfida e sfrontata manipolazione delle Scritture e alla manomissione del loro significato, per inculcare nei cattolici un senso d'inferiorità verso i "fratelli maggiori" e coltivare in essi, al medesimo tempo, un lacerante, inestinguibile senso di colpa a causa del loro passato atteggiamento antigiudaico. Laddove qualcuno dovrebbe spiegare a chi ancora è in buona fede che la Chiesa, la vera Chiesa, non la sua orribile contraffazione uscita dal Vaticano II, è sempre stata, è e rimarrà antigiudaica, così come rimarrà anti-islamica e nemica di tutte le false religioni, per la semplice ragione che un servo non può servire due padroni, e che se tutte le religioni sono belle e buone, allora devono anche essere tutte false, perché la Verità è una, e, per i cristiani, coincide con la Persona di Gesù: Io sono la via, la verità e la vita. Altra cosa è l'atteggiamento che il cristiano deve tenere verso le persone concrete che sono seguaci delle false religioni: perché Gesù ha predicato l'amore per tutti. Ma l'amore per gli uomini non può andare insieme con l'amore per i loro errori; esattamente come l'amore per il peccatore non può coniugarsi con l'amore del peccato. E così come il cristiano deve cercar di far recedere il peccatore dalla sua vita di peccato, prima di tutto con il proprio esempio, così deve anche offrire al seguace delle false religioni quel barlume di verità mediante il quale costui possa giungere alla salvezza. Ne ha il preciso dovere: rispettare il prossimo non equivale a rispettare ciò che di falso, sbagliato, immorale può esservi nella sua vita. 


Ecco perché non si sente quasi mai, nell'omelia della ventisettesima Domenica del tempo ordinario, il giusto commento alla parabola dei vignaioli omicidi: per non recare offesa ai "fratelli maggiori" del Talmud, della Cabala e non contraddire la Nostra aetate. Ed ecco perché, ugualmente, nella liturgia del 7 ottobre, ricorrenza della Beata Vergine Maria del Rosario, si stenta a udire qualche sacerdote che ricordi come la pratica di recitare il Rosario ebbe un impulso determinante da papa Pio V, il quale proprio all'intercessione della Vergine del Rosario attribuiva la vittoria di Lepanto delle flotte cristiane su quella ottomana, il 7 ottobre 1571: vittoria da lui conosciuta in visione ben prima che la notizia giungesse a Roma o in altri luoghi della cristianità, coi lenti mezzi di allora. In questo caso, l'omissione è dovuta a un riguardo verso gli islamici senza essere contro l'islamismo: non sia mai che i cattolici offendano anche loro. Pure qui gioca un oscuro senso di colpa: non furono i cristiani a scatenare le Crociate? ; tacendo però che i Luoghi Santi e molti altri Paesi erano stati strappati ai cristiani dalla scimitarra islamica. E non sia mai che si vada contro il documento di Abu Dhabi o, peggio ancora, contro Fratelli tutti, interpretandola a sottomettersi docilmente ai musulmani...




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