La santità, unica soluzione alla crisi oggi
Roberto De Mattei, in "Corrispondenza Romana" -12 Gennaio 2022
La crisi del nostro tempo è ormai passata dal campo culturale e morale a quello psicologico, intendendo la psicologia, nel suo significato etimologico, che è quello di "scienza dell'anima". Se la morale stabilisce le leggi del comportamento umano, la psicologia indaga la vita conoscitiva e affettiva dell'uomo. L'uomo è un composto di anima e di corpo e l'anima, che è il principio vitale del corpo, ha due facoltà primarie, l'intelligenza e la volontà. In quanto essere corporeo l'uomo è anche dotato di sensi interni ed esterni che partecipano al suo processo conoscitivo. Quando le facoltà primarie e secondarie dell'uomo sono ordinate, la sua personalità si sviluppa armoniosamente. Quando, invece, nell'oscura sfera umana in cui le tendenze sensibili incontrano le facoltà spirituali si sviluppano le passioni disordinate, l'anima conosce una situazione di squilibrio che può portare alla rovina morale e psicologica. L'uomo rischia il crollo psicologico quando perde di vista il vero e unico fine della sua vita, che è la nostra santificazione e la gloria di Dio.
Si potrebbe obbiettare che molti individui, pur avendo smarrito il fine primario dell'uomo, sembrano psicologicamente tranquilli e senza problemi. Tuttavia la stabilità psicologica che danno la salute, il denaro e gli stessi affetti è solo apparente. Gli individui apparentemente forti, ma privi di Dio, sono come le case costruite sulla sabbia di cui parla il Vangelo. Basta la perdita di uno solo dei falsi beni su cui essi si poggiano per scatenare in essi una crisi psicologica. Ma cosa accade quando a mettere a repentaglio la loro vita non è la perdita di beni individuali, ma sciagure sociali come una guerra o una pandemia che sconvolge la società? Allora più che mai che si realizzano le parole del Vangelo: «Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande» (Mt 7, 27).
Nelle epoche burrascose della storia dobbiamo comprendere che solo all'interno di noi stessi possiamo trovare la soluzione dei problemi che ci affliggono. Non stiamo combattendo una battaglia politica, sociale o sanitaria, ma siamo soldati di una lunga guerra contro la carne, il demonio e il mondo, che risale alle origini della creazione. In questa battaglia come spiega il padre Réginald Garrigou-Lagrange (1877-1974): «una vita interiore è per ciascuno di noi l'unica cosa necessaria» (Le tre età della vita spirituale, tr. it. Fede e Cultura, Verona 2020, p. 21). La vera vita dell'uomo non è infatti quella superficiale ed esteriore del corpo, destinata al deperimento e alla morte, ma la vita immortale dell'anima, che ordina nella giusta direzione le sue potenze.
Dio non ci chiede di salvare la società, ma ci chiede di salvare la nostra anima e di rendergli gloria, anche sociale, attraverso la testimonianza pubblica della verità del Vangelo. E' Dio solo che salva la società, e lo fa attraverso la Chiesa, che non perde mai le sue note distintive, a cominciare dalla santità che le è intrinseca. Per questo nei tempi di malessere e di smarrimento generale, scrive ancora il padre Garrigou-Lagrange, «c'è la necessità per ciascuno di noi di pensare all'unica cosa necessaria e di domandare al Signore dei santi che non vivano che di questo pensiero e che siano i grandi animatori di cui il mondo ha bisogno. Nei periodi più turbolenti, come nell'epoca degli albigesi e più tardi nel sorgere del protestantesimo, il Signore inviò moltitudini di santi. Il bisogno non si fa meno sentire oggigiorno» (Le tre età della vita spirituale, cit., pp. 23-24).
Non diversamente si esprime Dom Prosper Guéranger (1805-1875): «Nella sua infinita giustizia e misericordia, Dio elargisce santi alle varie epoche, oppure decide di non concederli, in modo che, se è lecito esprimersi in tal modo, è necessario il termometro della santità per saggiare la condizione di normalità di un'epoca o di una società» (Le sens de l'histoire, in Essai sur le naturalisme contemporain, Editions Delacroix, 2004, p. 377).
Ciò significa che ci sono secoli più avari ed altri più generosi, in termini di corrispondenza alle grazie che Dio elargisce per chiamare alla santità. Un secolo povero di santi fu il quindicesimo e un secolo generoso fu invece il sedicesimo; un secolo avaro è stato il Novecento, con poche luminose eccezioni; sarà il ventunesimo un secolo di generosa corrispondenza alla grazia? Quale è la temperatura che indica il termometro spirituale del nostro tempo?
Se ci guardiamo attorno non vediamo i grandi santi che vorremmo che sorgessero al nostro fianco per sostenerci. Forse, però, dimentichiamo che il criterio della santità non sono i miracoli sensazionali, ma la capacità delle anime di vivere abbandonate alla Divina Provvidenza giorno per giorno, come accadde a san Giuseppe, modello di santità, guerriero silenzioso e fedele, anima attiva e contemplativa, perfetto esempio di equilibrio di tutte le virtù naturali e soprannaturali.
Nessuno come san Giuseppe conosceva quanto fragile fosse dietro il velo delle apparenze l'Impero romano e nessuno più di lui era consapevole della perfidia del Sinedrio, eppure egli si attenne alla legge romana del censimento e alle prescrizioni ebraiche della circoncisione di Gesù, senza mai incitare alla ribellione violenta contro l'autorità. Non c'era rabbia, ma solo quiete nel suo cuore, e il solo odio che egli conosceva era quello verso il peccato. L'anno di san Giuseppe indetto da papa Francesco è ormai concluso, ma la devozione a san Giuseppe deve continuare ad animare i cattolici fedeli e a spingerli verso la ricerca della santità, che ha però il suo culmine in Gesù Cristo. E' Lui che, da solo, ha la pienezza assoluta ed universale della grazia ed è Lui, e solo Lui che fa i grandi santi. E oggi più che mai abbiamo bisogno di santi, uomini giusti ed equilibrati, che vivano secondo la loro ragione e la loro fede, senza mai scoraggiarsi, ma solo confidando nel soccorso della Divina Provvidenza e della Beata Vergine Maria.
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