Cos'è la democrazia - La versione liberale

Riccardo Zenobi, in "Van Thuan" – 18 Gennaio 2022

Nel dibattito relativo la gestione governativa dell'emergenza pandemica in Italia molto spesso viene toccato il tasto delle misure restrittive, le quali vengono impugnate in quanto "non democratiche" o "indegne di una nazione democratica", e mentre da parte dei critici del governo si ricorre al pericolo che esse rappresentano per la libertà degli italiani, da parte governativa si ventila lo stato di emergenza e si sostiene che tutto questo è finalizzato al bene della popolazione. La questione "democrazia in pericolo" è stata sollevata anche quando si discuteva del Ddl Zan, e questo paradossalmente sia dalla parte ad esso favorevole che dalla parte contraria.

 

Tutto ciò mostra quanto siano confuse le idee sull'argomento democrazia non solo nella percezione popolare ma anche nella mente dei politici, poiché molte volte nei dibattiti vengono tra loro sovrapposte e identificate democrazia, partecipazione popolare, sovranità popolare e libertà senza definire in cosa consistano ognuna di esse, spesso confondendo questioni di principi con i mezzi utilizzati per realizzarli (ad esempio la divisione dei poteri o il voto). Il tutto ha notevoli implicazioni anche quando si parla di bene comune perché da alcune parti viene mossa una critica individualista a tale nozione e non manca chi lo ritiene un concetto ideologico stabilito a tavolino senza un riferimento concreto e intersoggettivamente verificabile nella realtà.

 

In questa sede tralascio volutamente ogni questione su quale sia il vero significato che deve assumere la democrazia e su cosa le sia contrario; volgerò invece la mia attenzione a dirimere i diversi contenuti dei quali è investita nel dibattito pubblico, mettendo così in mostra i diversi significati ai quali è associata nelle diverse teorie politiche e gli effetti che ne derivano sulla realtà umana e sociale.

 

Il termine democrazia ha connotazioni differenti a seconda della teoria politica a cui fanno riferimento gli interlocutori, arrivando ad assumere aspetti molto diversi e spesso non conciliabili tra loro. Vi è chi vede in essa la possibilità da parte di quante più persone possibile di prendere parte alle decisioni del governo tramite rappresentanti, chi vede in essa l'espressione del potere del popolo sovrano di decidere per sé stesso, e chi invece la vede come un progetto da compiere tramite l'implementazione di diritti per poter "rendere libero" il popolo. Nel primo caso la democrazia si confonde con la partecipazione popolare, nel secondo con la sovranità popolare e nel terzo con la libertà.

 

La prima formulazione ha molti aspetti in comune (senza coincidere) con il pensiero liberale classico, il cui progetto è lasciare le decisioni politiche alla libera azione delle varie parti sociali senza che si imponga qualcosa al di fuori della volontà della maggioranza. È fondamentale rilevare che la partecipazione necessita per definizione una realtà alla quale poter prendere parte, e nell'ambito politico della modernità la realtà ultima a cui afferiscono "in parte più e meno altrove" tutti gli aspetti della vita politica è lo Stato. Dagli albori della modernità esso costituisce il riferimento ultimo di ogni tipo di potere politico, del quale detiene il monopolio insieme a quello dell'uso legittimo della forza per far rispettare le leggi. In questo modo per poter avere rilevanza nella vita politica ogni gruppo e parte sociale deve poter partecipare alle decisioni dello Stato, influenzandole con il voto o con qualche altro mezzo legalmente riconosciuto. Altra possibilità non è semplicemente possibile, in quanto si troverebbe al di fuori del diritto e non avrebbe rilevanza legalmente riconosciuta.

 

Alla base di questa visione, come anche di quelle che incontreremo nei prossimi post, vi è l'assunto cardine della filosofia politica moderna per cui lo Stato non è un modo di organizzare qualche realtà politica o prepolitica che esiste in autonomia e precedentemente, ma ne è il creatore in quanto – seguendo Hobbes – è l'accordo dei singoli che crea e definisce i tratti dell'ordine politico e sociale in mezzo ad una realtà che non ne ha alcuno, nella quale il bene e il male non hanno un contenuto concreto, e dove vige la legge della jungla. In quest'ottica non c'è, né può esserci un riferimento superiore allo Stato al quale questo debba prestare obbedienza o almeno riconoscere come realtà esterna a sé stesso: poiché si tratta di una creatura politica, esso viene dal nulla e assume i tratti decisi da chi lo porta all'esistenza, senza curarsi di altre realtà già esistenti. Forzando un po' il discorso si può dire che è lo Stato a creare la sfera politica, in quanto quest'ultima può legalmente trovare riferimento e poter agire sulla realtà umana solo all'interno della sfera statale.

 

Poiché nelle nazioni moderne lo Stato è il riferimento ultimo di ogni aspetto della vita politica e l'agente regolatore di molti aspetti della vita sociale, è giocoforza che la partecipazione popolare acquisti la sua piena importanza solo quando si ha accesso all'azione dello Stato, il quale riconosce l'esistenza di realtà sociali senza intervenire nella loro costituzione e nella loro evoluzione. Questi sono i punti in comune con il liberalismo classico, che discendono anch'essi dal fatto che la nozione di partecipazione implica una distinzione tra la vita politica statale e la vita dei vari individui e gruppi che ad esso afferiscono, i quali sono dotati di esistenza e capacità decisionale propria, portando tutto ciò nella realtà politica nella quale viene in tal modo calibrato ciò che può costituire il bene comune da perseguire. In questo equilibrio tra agenti politici non c'è nessun limite aprioristico su quali possano essere i contenuti da discutere e da decidere, poiché non esiste una realtà sostanziata che abbia un valore normativo che si può imporre sullo Stato: al momento giusto si può discutere di qualsiasi cosa, e una volta raggiunta la maggioranza si può prendere qualsiasi decisione all'interno delle stesse forme politiche liberali. Tale equilibrio riesce a mantenersi fintanto che i gruppi sociali "vanno così d'accordo che possono fare finta di essere in disaccordo" lanciandosi strali solo durante il periodo elettorale. In quest'ottica la democrazia non ha contenuti teoretici e valoriali, e il cambiamento di governi è a livello di contenuti politici poco più che il cambio di una targa d'ottone di uno studio notarile: se si va d'accordo si può parlare di tutto, ma solo perché non si crede fino in fondo a nulla, eccezion fatta per la libertà.

 

Ed è qui il punto debole del liberalismo: se la libertà non ha contenuti politici e sociali concreti, di cosa si tratta oggettivamente? Se al momento opportuno si può mettere in discussione qualsiasi cosa, tutto è indifferente e senza valore proprio, ma lo assume solo quando viene concretizzato dallo Stato tramite il riconoscimento della decisione della maggioranza. È questo il lascito hobbesiano allo Stato liberale: l'indifferenza ad ogni verità e in definitiva al bene e al male che non siano codificati nelle leggi. Tutto ciò si riflette anche nei valori proposti dal liberalismo, i quali non possono fare riferimento ad una fondazione nella realtà senza negarsi almeno in parte: se la libertà è fondata in qualche realtà è nocivo metterla in discussione, e deve giocoforza essere sottratta alla libertà d'opinione, pena l'inconsistenza di quest'ultima. Lo stesso bene comune diventa solo ciò che è deciso dalla maggioranza, e in momenti di tensione sociale si presta ad essere ferocemente criticato dalle minoranze che si trovano a dover contribuire ad un progetto politico che in coscienza rifiutano o che trovano dannoso.

 

La libertà è un bene, ma se non esiste né bene né male oggettivo, in base a quale realtà una forma di libertà è preferibile ad altre? A questa domanda il liberalismo classico non può rispondere se non tautologicamente: perché il liberalismo è la forma politica più liberale. Su questa vuotezza teoretica si sono poi innestati i vari tentativi socialisti di definire un contenuto concreto e dei valori sui quali lo Stato deve fondarsi e che deve perseguire per potersi definire giusto.

Questi due aspetti nel pensiero di Hobbes non si possono separare.

Espressione che dovrebbe appartenere a Christopher Dawson.

 

(1 - Continua) 

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