Meditazione. Gesù, ricordati di me
Meditazione/Gesù, ricordati di me
Di Eremita in "Duc in altum" – 24 novembre 2025
Immagina questa scena: un monte fuori dalla città, un cielo che sembra trattenere il respiro, tre croci conficcate come spine nella terra. Tutto sembra perduto. E nel mezzo, Gesù, il Figlio, l'Agnello innocente che non oppone resistenza, che non scappa, che non maledice. Intorno, il popolo guarda, i capi ridono, i soldati insultano. È un coro di derisione, come se tutta la storia dell'uomo – la sua ribellione, la sua paura, la sua incapacità di riconoscere l'amore – si concentrasse lì, in quell'ora.
"Ha salvato altri! Salvi sé stesso". È la tentazione antica: se sei Dio, mostra la tua potenza, imponiti, scendi, stupisci. È la voce del mondo, la voce che ognuno di noi porta dentro quando immagina un Dio forte, vincente, che ci toglie i problemi con un gesto di forza. Ma Gesù non risponde, non discute, non dimostra nulla. Rimane. Rimane lì, come un Agnello. Rimane lì perché l'amore vero non si difende, si dona.
E poi ci sono i due malfattori: due uomini che rappresentano l'umanità intera. Uno dei due ripete la voce del mondo: "Salva te stesso e noi!". Vuole un Messia secondo il suo schema, uno che risolva la situazione, che cambi le cose dall'esterno. Non vede chi ha accanto, non vede la dignità del volto di Gesù, vede solo la propria disperazione. L'altro invece, sorprendentemente, vede. Atrocemente crocifisso anche lui, eppure vede. Vede l'innocenza di Gesù, vede la sua mansuetudine, vede che quell'uomo non è come gli altri. E nasce in lui una parola semplice, povera, piena di fede: "Gesù, ricordati di me".
È una supplica che nasce dal fondo della miseria. Non chiede di scendere dalla croce, non chiede miracoli, non chiede che la vita cambi magicamente. Chiede solo di essere ricordato. Chiede un posto nel cuore di Gesù. È come dire: "Anche se la mia vita è stata un fallimento, anche se non posso più rimediare, anche se le mie mani sono inchiodate… non lasciarmi fuori. Ricordami nel tuo regno".
E Gesù, che per tutti tace, che per chi lo insulta non risponde, per questa supplica invece apre il cuore. Non gli dice: "Vedremo", non gli dice: "Dipende". No. Risponde subito, con una certezza assoluta: "Oggi con me sarai nel paradiso". Non domani, non quando tutto sarà finito, non quando avrai riparato il male commesso. Oggi. È il trionfo della grazia. È il trionfo dell'amore che non aspetta che tu sia giusto per abbracciarti. È la porta del cielo che si spalanca per un uomo che non ha nulla da offrire, se non il suo cuore ferito.
In questo brano si vede la verità più grande del cristianesimo: che Dio non salva chi è forte, chi è capace, chi merita. Dio salva il povero, il peccatore, l'ultimo. Dio salva chi riconosce la propria verità e si abbandona a lui. Il ladrone non fa opere, non cambia vita, non scende dalla croce per rimediare. Non può. Ma si fida. E la fede, nuda e povera, lo introduce nel paradiso.
Non è un racconto di condanna, ma di speranza. La croce non è il luogo in cui l'uomo perde, ma dove Dio vince. Alla fine, su quel monte, chi vede davvero non è chi giudica, non è chi insulta, non è chi si crede giusto. È un peccatore. Un uomo fallito, disperato, senza meriti. Eppure è lui ad aprire la porta della misericordia che tutti noi desideriamo.
E allora questo Vangelo ci dice: non temere la tua croce, non temere la tua povertà, non temere le tue cadute. Dio non ti chiede di essere forte, ti chiede di guardarlo e dirgli: "Ricordati di me". Lui ascolta. Lui risponde. Lui solo ti salva. Sempre.
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