La messa del cardinale Burke a favore di telecamere
La messa del cardinale Burke a favore di telecamere. Su gentile concessione della chiesa sinodale, che va per la sua strada
Chris Jackson in "Duc in altum" – 28 ottobre 2025
Uno spettacolo al tempo stesso glorioso e vuoto: il cardinale Raymond Burke, affiancato dai tedofori, in processione con centinaia di fedeli dalla basilica dei Santi Celso e Giuliano a San Pietro. L'incenso si leva sotto le nuvole di bronzo del Bernini mentre il cardinale celebra la santa messa pontificale in rito antico all'Altare della Cattedra: per la prima volta in due anni il pellegrinaggio Summorum Pontificum è consentito all'interno della basilica.
La folla esulta. Le telecamere sono in funzione. E quasi alla stessa ora, Leone XIV presiede il "Giubileo delle équipe sinodali e degli organismi partecipativi", predicando che nessuno "possiede tutta la verità" e che la Chiesa deve "camminare insieme".
La giustapposizione è perfetta: su un altare, l'antica fede espressa in latino e in silenzio; su un altro, la nuova religione del dialogo proclamata in prosa tra gli applausi.
Il messaggio arrivato da Roma è chiaro. La messa antica può tornare in scena, ma solo su concessione, a sostegno dell'unità per una Chiesa che ha ridefinito l'unità stessa. Quello che un tempo era il culto quotidiano della cristianità è ora una mostra occasionale, allestita per dimostrare inclusione.
I sostenitori lo chiamano disgelo. Ma una dispensa di un giorno non annulla il gelo che ancora attanaglia le diocesi di tutto il mondo. Francesco permise le messe tradizionali durante il pellegrinaggio più di una volta – nel 2014 e nel 2021 – ma poi le porte furono chiuse per il 2023 e il 2024. Leone XIII le ha riaperte quanto basta per una singola processione, lasciando intatto lo stesso meccanismo che consente ai vescovi di soffocare il rito tradizionale ovunque.
Sì, lo spettacolo è stato meraviglioso. Ma anche la bellezza può essere usata come arma. La messa tradizionale a San Pietro non è stata il segno di una nuova era; è stata l'occasione per scattare una foto di una nuova era. Un momento che non può cancellare un programma che riformula la dottrina come "discernimento", l'autorità come "partecipazione" e il Rito Romano come un pezzo da museo riacceso brevemente per i turisti. L'incenso si è levato, ma il fumo della repressione aleggiava ancora nell'aria.
Nella sua omelia per il giubileo sinodale, Leone ha dichiarato che la Chiesa "non è semplicemente un'istituzione religiosa… Essa è il segno visibile dell'unione tra Dio e l'umanità". Le équipe sinodali, ha affermato, incarnano tale unione, perché "le relazioni non rispondono alla logica del potere, ma a quella dell'amore".
In questa teologia, l'"amore" diventa un solvente. La gerarchia si dissolve a favore del sentimento; la definizione viene sostituita dal dialogo. Leone mette in guardia contro il "potere mondano", chiedendo al contempo che "nessuno imponga le proprie idee" e che "nessuno venga escluso". Sembra una proposta clemente, finché non si nota che gli unici esclusi sono coloro che ancora credono che la Fede debba escludere l'errore.
La sua interpretazione della parabola del fariseo e del pubblicano riformula l'ortodossia stessa come arroganza. Il fariseo è colui che crede di possedere la verità; il pubblicano, che non sa nulla e lo confessa, è la vera immagine dell'uomo sinodale. La lezione diventa chiara: meglio sbagliare insieme che avere ragione da soli.
La stessa logica è emersa nella catechesi giubilare di Leone XIII su Nicola Cusano. Citando l'idea di "dotta ignoranza" del cardinale del XV secolo, Leone ha detto: "Sperare non è sapere". La Chiesa "non ha tutte le risposte", ma "cammina con l'umanità, ascoltando le sue domande". Qui l'"ignoranza" non è più una condizione da guarire, ma un atteggiamento da imitare. La speranza sostituisce la conoscenza; l'incertezza viene santificata.
Questa non è umiltà, è paralisi travestita da fede. Quando la verità diventa qualcosa che "cerchiamo insieme", il magistero smette di insegnare e inizia a simpatizzare. La Chiesa si trasforma da Arca della Salvezza in una zattera di viaggiatori che non sanno bene in che direzione scorre il fiume.
In tutti questi indirizzi viene mostrato un modello.
Autorità decentrata: le équipe sinodali sostituiscono la gerarchia.
Verità relativizzata: il "non sapere" diventa virtù.
Identità pluralizzata: unità attraverso la diversità, non attraverso la dottrina.
Missione socializzata: sacerdozio e diplomazia fusi in un unico ministero di "servizio".
In questo senso, Leone XIV sta perfezionando la rivoluzione conciliare. Parla il linguaggio dell'umiltà mentre propugna la più completa inversione dell'ordine cattolico dai tempi del Vaticano II. La sua "Chiesa che si china a lavare i piedi dell'umanità" ora lava via il proprio volto.
Il fine settimana del 25-26 ottobre 2025 riassume la contraddizione della Chiesa postconciliare. A un'estremità della basilica, il cardinale Burke ha celebrato la santa messa tradizionale per una folla di fedeli, mentre l'incenso saliva sotto le volte. All'altra estremità, Leone XIV ha predicato che "nessuno possiede tutta la verità" e che "l'autorità deve cedere il passo alla partecipazione".
Il coltello è nascosto nel guanto di velluto. L'antica liturgia è consentita giusto il tempo necessario a rassicurare il gregge che nulla di essenziale è cambiato, mentre i meccanismi che la proibiscono ovunque continuano a funzionare.
Francesco permise messe simili più di una volta; Leone ripete il gesto e lo chiama guarigione. Ma la guarigione senza pentimento è solo cosmetica. Il cuore della rivoluzione rimane intatto.
Cos'è stato, dunque, il Giubileo dei gruppi sinodali se non l'immagine speculare della messa celebrata da Burke? Due riti della stessa religione: uno orizzontale, uno verticale; uno sacrificale, uno sentimentale. Il primo guarda verso l'alto; il secondo guarda intorno.
La Chiesa può "camminare insieme" solo se prima sa dove sta andando. Altrimenti cammina di traverso, dolcemente, in modo inclusivo, verso il nulla. La vecchia messa permane, luminosa, ma solo come reliquia a cui è permesso brillare un fine settimana all'anno, mentre la nuova Chiesa si congratula con sé stessa per averlo consentito.
Roma ha padroneggiato l'arte della contraddizione: benedire i fedeli tradizionali mentre smantella la fede che li ha formati. Lo spettacolo nasconde la repressione. Il fumo dell'incenso può salire ancora una volta in San Pietro, ma il fumo che pervade la Chiesa è ancora quello della confusione.
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