Morto Pell, subì la persecuzione, difese la verità anche di fronte alla Chiesa

È morto improvvisamente a 81 anni il cardinal George Pell. È stato arcivescovo di Sidney e prefetto della Segreteria per l'Economia. Subì un casodi persecuzione giudiziaria, conobbe il carcere e venne privato della possibilità, la sofferenza più grande, di dire la Messa per 400 giorni. Poi fu assolto e completamente riabilitato.

Nico Spuntoni in "La Nuova Bussola"  11 gennaio 2023

Dieci giorni dopo Benedetto XVI, la Chiesa perde un altro leone della fede del nostro tempo. È morto improvvisamente ieri a Roma a 81 anni il cardinale George Pell, già arcivescovo di Sidney e in seguito prefetto della Segreteria per l'Economia della Santa Sede. Sembra che il decesso sia dovuto alle complicazioni relative ad un intervento chirurgico all'anca. Nel momento in cui scriviamo, l'entourage del porporato non ha ancora notizie sul funerale e si limita a confermare la triste e inaspettata notizia. Pell, però, aveva confessato tempo fa ad alcuni amici in contatto con La Nuova Bussola Quotidiana la sua preferenza per una sepoltura all'interno della cripta della cattedrale di Santa Maria a Sidney, lì dove era stato arcivescovo per tredici anni. Il suo nome rimarrà inevitabilmente legato ad una delle pagine più nere della storia mediatico-giudiziaria del XXI secolo.

 

Di recente, nel discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Francesco aveva ricordato che la libertà religiosa e le discriminazioni contro i cristiani sono in aumento anche in quei Paesi dove, almeno sulla carta, questi sono la maggioranza. Ebbene, il quasi ottuagenario Pell dovette sopportare più di quattrocento giorni senza la possibilità di celebrare Messa nelle celle in cui era stato rinchiuso per una condanna che venne annullata dall'Alta Corte nell'aprile 2020. Non accadde in Corea del Nord, ma nell'Australia in cui il cristianesimo continua ad essere la religione più diffusa. E della cui vita pubblica George Pell fu un protagonista assoluto, non solo perché primate d'Australia in quanto arcivescovo di Sidney dal 2001 al 2014, ma perché non ebbe paura di prendere posizioni coerenti con gli insegnamenti della Chiesa e dunque scomode nelle società sempre più scristianizzate dell'età contemporanea. Schietto com'era, il porporato di Ballarat non fece mistero della convinzione maturata che a mandarlo alla sbarra fu proprio la sua difesa della visione giudaico-cristiana su famiglia, vita, sessualità. 

 

Nel 2017 accettò di lasciare Roma, farsi congedare da prefetto della Segreteria per l'Economia, e tornare in Australia per affrontare un processo da cui l'opinione pubblica non si aspettava nient'altro che una sua condanna. Lui avrebbe potuto trincerarsi dietro allo status diplomatico, ma non lo fece. Finì con una condanna a sei anni e tredici mesi in carceri di massima sicurezza, senza alcun occhio di riguardo.

 

Pell venne prosciolto nell'aprile del 2020 dall'Alta Corte e rilasciato poco dopo dalla prigione in un'Australia alle prese con la pandemia. Un finale non scontato di una brutta storia mediatica e giudiziaria nella quale, però, spiccarono dimostrazioni di coraggio ed amore della verità come quella data dal giudice Mark Weinberg che pur messo in minoranza nella sentenza della Corte d'Appello produsse un corposo parere dissenziente mettendo in evidenza la debolezza dell'impianto accusatorio su cui poi la difesa riuscì ad ottenere il proscioglimento davanti all'Alta Corte.

 

Allo stesso modo, fecero un grande lavoro quegli organi di stampa di Oceania, America ed Europa che non si accodarono alla linea forcaiola della maggioranza dei media ed analizzarono i documenti del processo con obiettività in un momento in cui a difendere Pell era rimasta soltanto la sua piccola ma agguerrita cerchia di amici e collaboratori.

 

La Nuova Bussola Quotidiana fece la sua parte ed il cardinale non lo dimenticò, esprimendo la sua gratitudine personale non solo per gli articoli ma anche per le intenzioni di preghiera dei lettori. Il processo a Georg Pell resterà per sempre una macchia non nella vita di questo carismatico uomo di fede, ma del sistema giudiziario di uno dei Paesi occidentali più evoluti. Sul caso che lo aveva riguardato, diceva: «La mia opinione è che più verosimilmente la giuria mi avesse ritenuto riprovevole, meritevole di essere punito per questioni estranee al processo, e che (...) sono stato vittima della politica dell'identità: bianco, maschio, in una posizione di potere, appartenente a una Chiesa i cui membri avevano commesso atti vili e i cui leader, fino a poco tempo fa, avevano messo in atto un vero e proprio insabbiamento».

 

La sua esperienza è stata raccontata in un Diario di prigionia (edito da Cantagalli in Italia) che – ora sappiamo grazie al libro di monsignor Georg Gänswein – venne apprezzato molto da Benedetto XVI a cui venne letto nel Monastero Mater Ecclesiae. Il Papa emerito non abbandonò Pell nel momento più difficile e gli inviò una lettera in prigione rivelandogli che aveva pregato per lui e scrivendogli significativamente: «temo che adesso dovrà pagare anche per la sua incrollabile cattolicità, ma in questo modo sarà molto vicino al Signore». Nonostante ciò, il cardinale australiano a cui non faceva difetto un carattere a tratti un po' brusco, non lesinò critiche alla scelta di Ratzinger di rinunciare e poi a quella di scegliere il titolo di Papa emerito.

 

Le spigolosità di Pell lo portarono anche ad attaccare pubblicamente un suo confratello finito in disgrazia, il cardinale Angelo Becciu con il quale c'erano stati screzi ai tempi in cui entrambi lavoravano in Curia. Ma lui stesso, pur continuando a non amare l'ex sostituto, aveva espresso in colloqui privati le sue perplessità per le modalità di svolgimento del processo vaticano che vede quest'ultimo ancora imputato. Francesco, comunque, che lo aveva chiamato a Roma dall'Australia per gestire la riforma delle finanze vaticane, ne ha riconosciuto più volte in questi ultimi anni i meriti e nella recente intervista a Fabio Marchese Ragona su Mediaset aveva parlato esplicitamente di lui come di una «vittima di calunnia» in patria in riferimento al processo per abusi. Ma «è un grande uomo e gli dobbiamo tante cose», ha anche aggiunto il Papa. Un atto di stima – e di riabilitazione definitiva anche agli occhi dei tanti avversari interni – arrivato a ridosso di Natale che avrà fatto piacere persino al cardinale Pell, uno abituato spesso a reagire infastidito ai complimenti.

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