Parolin a Mosca, mediatore tra Putin e gli Stati Uniti di Trump

Iacopo Scaramuzzi, 05 Luglio 2019

 

Il cardinale Pietro Parolin, che dal 20 al 24 agosto prossimi si recherà in visita in Russia, «si può proporre come mediatore che avvicina due mondi che non devono essere considerati contrapposti». Ne è convinto don Stefano Caprio, in passato missionario in Russia, ora docente di Storia e Cultura russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma, che in questa intervista analizza gli scenari politici ed ecclesiologici della visita del Segretario di Stato vaticano a Mosca, dove dovrebbe incontrare tanto il patriarca ortodosso Kirill quanto il presidente Vladimir Putin, in un frangente nel quale, oltre a riprendere la Ostpolitik del cardinale Agostino Casaroli, del quale è l'erede, il principale collaboratore di papa Francesco deve fare i conti, con Donald Trump alla Casa bianca, con una inedita questione di «Westpolitik».

 

Che cosa si attende da questa visita?

 

«La Chiesa cattolica in questo momento non ha interessi diretti in Russia. Sono abbastanza superati i discorsi che si facevano anni fa sulla possibilità di una visita del Papa in Russia o sulla situazione dei cattolici in Russia: questi ultimi sono una presenza tranquilla ma ridotta, mentre una visita del Papa non è particolarmente attuale o interessante. Questioni più scottanti sono semmai l'Ucraina, dove il Vaticano tiene una posizione abbastanza mediana, più mediatore tra russi e greco-cattolici che schierato con questi ultimi, e il Medio Oriente, sul quale c'è una consonanza tra la politica di Putin e quella del Vaticano. Più in generale si può dire che il Vaticano si propone come mediatore tra la Russia e il resto mondo».

 

Analizziamo i primi due temi scottanti, dunque, innanzitutto il Medio Oriente: sulla Siria e in generale sul Medio Oriente a suo avviso c'è totale convergenza di vedute tra Mosca e Roma? La Santa Sede sembra più attenta del Cremlino, per esempio, a non fare della difesa dei cristiani mediorientali una bandiera ideologica.

 

«Non c'è totale convergenza ma c'è convergenza di fondo. I cristiani perseguitati in Medio Oriente sono maggioritariamente ortodossi e la Santa Sede capisce che deve mettersi in linea con la Chiesa ortodossa. Cerca di evitare i toni esagerati con il mondo islamico che l'ortodossia ha meno timore di adottare, anche perché la Russia si propone come modello dicendo: l'islam qui lo abbiamo integrato e così vogliamo fare anche in Medio Oriente. Non dimentichiamo che la Siria era quasi la 16esima repubblica dell'Unione Sovietica, ancora oggi molti dei laureati siriani sono laureati a Mosca. C'è un interesse diretto della Russia in Siria, così come sulla Terra santa. La Santa Sede si mostra dalla parte degli ortodossi, cercando di trattenere un po' i toni».

 

L'Ucraina rimane a suo avviso una pietra d'inciampo nei rapporti tra Santa Sede e Russia? Come prevede che evolverà questa questione in futuro, sia per quanto riguarda il conflitto con la Russia che la vicenda dei cosiddetti uniati?

 

«Sulla questione politica, come dicevo, la Santa Sede ha una linea di mediazione tra gli interessi in campo. La proposta vaticana credo che sia quella di sostenere una conferenza di mediazione con tutti i paesi interessati, in cui definire lo status particolare dell'Ucraina orientale ed eventualmente ridefinire la situazione della Crimea, un passaggio che peraltro porterebbe anche alla la fine delle sanzioni nei confronti della Russia. Quanto al tema dei cristiani, il panorama è molto articolato. Oltre ai greco-cattolici, per esempio, c'è una forte minoranza di latino-cattolici polacchi, che sono antirussi ma sono anche contro i greco-cattolici, vorrebbero separare le parti occidentali dell'Ucraina mentre i greco-cattolici vorrebbero riprendersi persino la Crimea… Potrebbe crearsi una situazione nella quale i greco-cattolici, gli ortodossi sotto la giurisdizione di Kiev e una parte degli ortodossi fedeli a Mosca costituiscano insieme una Chiesa ortodossa ucraina indipendente, in comunione sia col Papa che con Mosca che con Costantinpoli: che poi era l'ideale iniziale per gli uniati. Certo è che questo tema non trova una soluzione da molto tempo. Bisogna riprendere la questione e trovare il modo per far parlare gli uniati con gli ortodossi. Il Vaticano potrebbe tentare di facilitare questo confronto, assumendo un ruolo meno ingenuo che in passato. Non bisogna perdere di vista, a ogni modo, che quasi la metà dell'ortodossia russa, in termini di parrocchie e diocesi, è in Ucraina, e se il patriarca russo Kirill perdesse l'ortodossia ucraina perderebbe anche la leadership che ha nel mondo ortodosso».

 

Perché, dalla lettera che il Papa gli scrisse in qualità di presidente del G20 e che fu seguita poi da una Veglia di preghiera tesa a scoraggiare un già titubante Barack Obama dal bombardare la Siria di Assad, il Papa ha un rapporto costruttivo, se non cordiale, con Putin, un uomo politico dal quale pure lo dividerebbero non pochi aspetti, sia personali che politici?

 

«Perché la politica di Putin finisce con essere abbastanza compatibile con certi interessi della politica vaticana. Innanzitutto la posizione della Russia sullo scenario internazionale, già da molti anni, è di contestazione della globalizzazione intesa come dominio unilaterale americano e occidentale sul mondo. La Russia vi si è sempre contrapposta e il Vaticano, ancora prima di papa Francesco ma ancor più con papa Francesco, è allineato a questa posizione, com'è per esempio evidente in Medio Oriente. La Chiesa cattolica, inoltre, ha un grande interesse verso la Chiesa ortodossa russa, principale interlocutore nel mondo cristiano, vero rappresentante del mondo orientale e ortodosso. E la politica di Putin è strettamente legata all'esaltazione del ruolo dell'ortodossia, un fatto che il Vaticano non può non guardare con interesse».

 

Una domanda di fondo: perché alla Santa Sede, e a questo Papa in particolare, interessa la Russia?

 

«L'interesse della Chiesa cattolica verso la Russia è plurisecolare, non è una novità, era presente anche con i papi precedenti. La situazione negli ultimi 25, trent'anni si è sviluppata in modo complesso. Dopo la Ostpolitik della seconda metà Novecento, dapprima vi è stato un grande interesse da parte del papa Giovanni Paolo II, polacco, che però è stato visto da Mosca come una forma di ingerenza. All'inizio degli anni 2000, cioè dall'inizio del governo di Vladimir Putin, i rapporti si erano raffreddati, la Chiesa ortodossa aveva messo un blocco a qualunque iniziativa della Chiesa cattolica in Russia. Un gelo dei rapporti che ha cominciato a sciogliersi con il cambio di politica promossa in particolare dal nunzio Antonio Mennini, rappresentante della Santa Sede in Russia dal 2002 al 2008, che ha ripreso la linea della Ostpolitik: cedere ideologicamente quanto possibile, promuovere una ecclesiologia più orizzontale, sia per riavvicinare Mosca e Roma, sia per una visione politica globale che mira, senza il predominio di una parte sull'altra, a un mondo cristiano che difende insieme i suoi interessi. Questa tendenza si è accentuata ulteriormente perché il patriarca Kirill ha portato avanti una linea che si può definire di reazione russa alla degradazione morale dell'Occidente globalizzato, ed ha cercato di coinvolgere il Vaticano in questa lotta su valori etici, sui valori tradizionali, sul tema per esempio della famiglia. Ciò è stato molto evidente con Benedetto XVI, che su questi temi era in grande consonanza con l'ortodossia russa, sebbene da un punto di vista politico fosse meno propenso a una Ostpolitik attiva. Ora con papa Francesco per un verso la consonanza è minore: il patriarcato russo guarda con un po' di sospetto alle aperture di Bergoglio. Per un altro verso, però, il Papa argentino promuove più attivamente la Ostpolitik, ha una concezione ecclesiologica che si spoglia del primatismo e promuove rapporti più orizzontali con le altre Chiese cristiane, ed è in consonanza con una visione antiglobalista degli equilibri mondiali».

 

Il cardinale Parolin è erede proprio della Ostpolitik del suo predecessore Agostino Casaroli, ma in questo momento sembra che la Santa Sede abbia piuttosto un problema di «Westpolitik» con Donald Trump…

 

«Certo quella attuale della Santa Sede è una Ostpolitik diversa rispetto a quella di Casaroli, si tratta di una Ostpolitik 2.0. Gli interessi in ballo sono diversi, ora c'è forse da parte della Santa Sede il tentativo di posizionarsi dalla parte della Russia non perché sia un avversario, ma al contrario perché può essere un alleato contro il "comune avversario" Trump. Ma è tutto da verificare. Bisogna ancora vedere quanto Trump sia avversario o alleato di Putin, perché il presidente degli Stati Uniti adotta sanzioni contro la Russia per un verso, ma per un altro verso lascia intravedere un desiderio di accordo. C'è un gioco delle parti. Anche il Vaticano è critico nei confronti di Trump, questo è evidente, ma anche qui c'è un po' di gioco delle parti, perché Trump risolve un po' il rapporto con i cattolici conservatori e toglie così alcune castagne dal fuoco alla Santa Sede. C'è insomma una convenienza di tutti e tre in questo triangolo di Ostpolitik che è anche Westpolitik. E il cardinale Parolin, in questo senso, si può proporre come mediatore che avvicina due mondi che non devono essere considerati contrapposti».

 

Come valuta, infine, i rapporti del Papa con il patriarca ortodosso Kirill? L'incontro a Cuba è stato storico, i rapporti «fraterni», eppure la sensibilità riformatrice di Jorge Mario Bergoglio sembra distante, su temi come il rapporto con la modernità e la relazione tra religione e politica, da quella del patriarca russo.

 

«A Cuba il Vaticano, per raggiungere l'obiettivo dell'incontro, ha evidentemente ceduto sulla dichiarazione finale. Vi sono affermazioni sui valori tradizionali e sulla famiglia poco abituali in Bergoglio, ma evidentemente un po' pretesi da Kirill; in merito all'Ucraina non viene detto niente in difesa dei greco-cattolici in quanto vittima della Russia, ma piuttosto si parla della necessità che le parti in causa cessino le ostilità, una posizione favorevole alla visione russa; mentre delle tesi sulle quali insiste il Papa argentino c'è poco: un po' di argomenti ecologisti che non interessano Kirill semmai il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, qualche riferimento alla solidarietà nei confronti dei rifugiati. Il giorno dopo quell'incontro, poi, il primo ministro russo Medvedev ha partecipato a una conferenza internazionale sulla Siria, e quanto meno la coincidenza temporale si prestava a giustificare la posizione sostenuta da Mosca, cioè l'intervento russo in Siria. E ancora, è vero che l'incontro si è svolto su un terreno neutrale, a Cuba, nell'America Latina di Papa Bergoglio, ma è altrettanto vero che il contesto, la presenza di Raul Castro, l'aeroporto molto sovietico… sembrava di essere in Russia più che in Occidente. Ecco, quell'incontro è un esempio perfetto di Ostpolitik di cui Parolin è grande portatore».

 

©RIPRO

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