In ricordo di Monsignor Antonio Livi

Danilo Quinto

 

Mons. Antonio Livi è morto alle 13.30 del 2 aprile 2020, dopo un lungo periodo di sofferenza, durato un anno e mezzo. Lo stesso giorno della morte di Giovanni Paolo II, un papa che lui ha molto amato. Chi crede, del resto, sa che il "caso" non esiste.

 

Non fu un caso neanche per me la conoscenza che feci di lui. Cinque anni fa decisi di andare ad una sua conferenza. Era stata da poco pubblicata l'Esortazione Apostolica "Amoris Laetitia" e Livi fu il primo a demolirla alla luce del Magistero perenne della Chiesa, con il rigore filosofico e teologico che ha sempre contraddistinto la sua opera.

 

 

 

Quella conferenza fu una "Lectio Magistralis", come solo Livi sapeva fare, con quel suo incalzare di argomentazioni serrate e lucidissime, limpide e cristalline, inattaccabili e coerenti rispetto agli insegnamenti di Gesù, alla Sacra Scrittura e alle più alte pagine dei Padri della Chiesa.

 

 

 

Alla fine della conferenza, lo andai a salutare. Non ci eravamo mai incontrati. Da parte mia, per anni avevo letto tutti i suoi illuminanti interventi e scoprii che conosceva la mia storia. Mi chiese di fargli avere qualche mio libro, compreso quello che avevo scritto l'anno prima su Bergoglio per le Edizioni Radio Spada, che si intitolava "Ancilla hominis".

 

 

 

Qualche settimana dopo, ricevetti una sua telefonata. "Ho bisogno di parlarti", mi disse. Prendemmo appuntamento nella Facoltà di cui era decano di Filosofia, la Lateranense. La sua idea era quella di affidarmi la scrittura di un libro per la sua casa editrice, la "Leonardo da Vinci". Avrei dovuto occuparmi di Bergoglio e della sua Nuova Chiesa.

 

 

 

Trascorremmo un intero pomeriggio insieme. Di fronte a me avevo un vero Soldato di Cristo, addolorato di come gran parte della gerarchia e della teologia post-conciliare avevano ridotto la Sposa di Cristo, ma che esprimeva nel contempo la certezza granitica che solo nella Chiesa c'è salvezza.

 

 

 

Nacque così "Disorientamento pastorale – La fallacia umanistica al posto della Verità rivelata?". Il lavoro fu durissimo e impegnativo: avrei dovuto consegnarlo a Mons. Livi! Lui ne fu entusiasta e il regalo più bello fu la sua Introduzione Teologica, che Vi proporrò alla fine di queste righe.

 

 

 

Molti furono coloro che si rifiutarono di scrivere le recensioni di quel libro, così come molti non ci invitarono a presentarlo. Altri, dopo averci invitati, cancellarono le presentazioni. Mi dispiacque molto per Livi, ma lui mi disse che era abituato a questo tipo di ostracismi nei suoi confronti. Potemmo presentare il libro solo a Perugia e a Firenze (potete vedere la conferenza qui www.youtube.com/watch).

 

 

 

Negli anni successivi siamo rimasti sempre in contatto. Avevamo in progetto un altro libro, prima che si ammalasse. Ho cercato di stargli vicino, con discrezione, nel lunghissimo periodo della sua sofferenza, sentendoci all'inizio telefonicamente e poi seguendo costantemente quello che stava soffrendo e offrendo per la salvezza di molti e per la Gloria di Dio.

 

 

 

Ha combattuto la malattia con grande forza interiore, scegliendo di sottoporsi ad un'operazione difficilissima, perchè sapeva che la sua voce poteva essere di aiuto ancora a molti fedeli, immersi in una fase avanzata di protestantizzazione della Chiesa Cattolica.

 

 

 

Mi rammarico molto di non averlo potuto rivedere, ma so che da lassù custodirà e sarà accanto ai suoi amici ed io mi onoro di essere stato tra questi. Mi consola il fatto di sapere che in questo momento Gesù chiama a sè i Suoi amici più fedeli, per preservarli e custodirli nel Paradiso.

 

 

 

Ti ho voluto bene, caro mons. Livi.

 

 

 

INTRODUZIONE TEOLOGICA DI MONS. ANTONIO LIVI A "DISORIENTAMENTO PASTORALE"

 

 

 

Che cosa succede con papa Francesco?

 

 

 

Molti discorsi e molte iniziative di papa Francesco sono visti dall'opinione pubblica come una radicale riforma, se non proprio una rivoluzione, della Chiesa cattolica, con l'apparente rifiuto del magistero precedente al Vaticano II, l'adozione sistematica del linguaggio proprio del progressismo teologico e la definitiva rinuncia all'annuncio del Vangelo in termini dogmatici (con la conseguente decisione di non pronunciare più alcun tipo di condanna, sia riguardo alle eresie che si possono diffondere all'interno della Chiesa, sia riguardo agli errori dottrinali delle comunità cristiane separate e delle false religioni). Ora, noi cattolici sappiamo che i discorsi occasionali o informali di un Papa non possono che avere di per sé un significato e un senso di autentico "magistero", ossia di autorevole testimonianza resa alla verità rivelata, che la Chiesa ha il dovere di custodire e annunciare in ogni epoca e a ogni persona. Ma le parole di papa Bergoglio sono interpretate dai media di ispirazione anticattolica (cioè da quasi tutti i media purtroppo) come espressione della volontà di riformulare in modo radicale la dottrina cristiana. L'entusiasmo e l'apparente consenso che accompagnano e seguono i discorsi e i gesti di papa Francesco derivano proprio dall'immagine di "riformatore", anzi di "rivoluzionario" che i media pretendono di imporre all'opinione pubblica. In questa epoca travagliata della storia della Chiesa, quando viene meno tra i cattolici la certezza della fede e la stessa conoscenza dell'autentica dottrina della Chiesa, questa immagine di un Papa di "rottura" sta provocando un sempre maggiore sconcerto tra quei fedeli, che, privi talvolta di altre fonti di informazione, inevitabilmente prendono per buone queste interpretazioni forzate e interessate e finiscono per credere (chi con rammarico, chi con soddisfazione) che davvero questo Papa stia mettendo da parte la tradizione dogmatica della Chiesa e stia dando ragione ai "teologi del dissenso" e ai "profeti" di una nuova Chiesa, non più gerarchica ma edificata "dal basso". I fedeli vedono con grande sconcerto che, mentre quasi tutti i non cattolici (dagli ortodossi ai protestanti, dagli ebrei agli islamici, dai buddisti agli atei veri e propri) hanno sempre più unanimemente plaudito alle riforme di papa Bergoglio, che a loro avviso toglie alla Chiesa cattolica ogni presunzione di verità assoluta e di supremazia religiosa, molti osservatori cattolici (filosofi, teologi, vescovi, cardinali) hanno manifestato perplessità e allarme, proprio per quelle stesse intenzioni di riforma che agli altri sembrano preludere a un "nuovo ordine mondiale" e al tanto auspicato superamento dei conflitti religiosi. Questi critici della prassi pastorale di Francesco scorgono, nelle sue iniziative di "dialogo" con i non cattolici (dialogo ecumenico) e con i non cristiani (dialogo interreligioso), assieme alla "comprensione misericordiosa" nei confronti dei «peccati sociali» che contraddicono frontalmente la legge morale naturale (le leggi permissive e/o promotrici del divorzio, dell'aborto, dell'eutanasia, dell'omosessualità e delle tossicodipendenze), l'intento, più o meno esplicito, di rendere la Chiesa del tutto conforme alla cultura secolare e alla "religiosità" di stampo deistico (massonico), sempre più egemone in Occidente. Questi rilevamenti critici sono aumentati in misura allarmante in occasione dell'indizione dei due sinodi dei vescovi sulla famiglia e della pubblicazione dell'esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, oggetto di severe critiche, prima da parte di alcuni laici e di ecclesiastici, tra i quali io stesso (1), preoccupati per i riflessi pastorali negativi del documento, e poi soprattutto da quattro autorevoli cardinali (Carlo Caffarra, Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke e Joachim Meisner) che ne deprecavano la «voluta ambiguità» su temi delicatissimi riguardanti la dottrina dei Sacramenti (il Battesimo, il Matrimonio, la Penitenza, l'Eucaristia) e chiedevano rispettosamente al Papa dei chiarimenti in merito: chiarimenti che però papa Francesco non ha voluto fornire. Anche questa chiusura del Papa al dialogo con i cardinali (che sono istituzionalmente i suoi più stretti collaboratori nel governo della Chiesa universale) ha diviso visibilmente l'opinione pubblica cattolica: mentre, da una parte, non sono mancati il plauso e il sostegno al Papa da parte di quei cardinali che lo hanno sempre spinto in questa direzione (a cominciare da Walter Kasper, per finire con Christoph Schönborn), dall'altra parte si sono moltiplicati gli appelli al Papa perché ascolti finalmente il fraterno e filiale suggerimento di chi gli chiede di dissipare gli equivoci del documento e di evitare una prassi pastorale sconcertante per i cattolici, sia Pastori che semplici fedeli (si segnalano tra gli altri, per la profondità filosofico-teologica del discorso, gli appelli di due illustri pensatori laici cattolici, il tedesco Robert Spaemann e il polacco Stanislaw Grygiel). Ma la situazione non è poi affatto cambiata, e il risultato di tutto ciò è stato quello di un inevitabile "disorientamento pastorale", termine che ho suggerito a Danilo Quinto come titolo del libro che ha scritto per la mia collana di saggi "Ermeneutica pastorale". Il disorientamento di cui parlo consiste nella sensazione che l'episcopato mondiale e il Papa stesso siano ormai divisi sulle questioni più importanti riguardanti il dogma e la morale della Chiesa, e anche sull'autorità stessa del Papa. Di conseguenza, i fedeli non si sentono guidati in modo fermo e unanime, nella pratica della fede, dai loro Pastori (conferenze episcopali, singoli vescovi, parroci, cappellani). Il disorientamento di cui parlo, però, non è stato provocato tanto dalle discussioni tra i vescovi nel corso delle due sessioni del Sinodo, e nemmeno dalla Amoris Laetitia, quanto piuttosto dal modo con cui l'opinione pubblica cattolica è stata informata. Purtroppo, i media hanno presentato il dibattito sinodale come una battaglia (ideologica o di potere ecclesiastico) tra conservatori e progressisti, con la vittoria finale dei progressisti e il tentativo dei conservatori di frenare la "riforma". Questo non corrisponde affatto a ciò che in realtà è avvenuto, perché si è trattato in realtà di quella dialettica delle opinioni e degli orientamenti pratici che inevitabilmente accompagna l'esercizio collegiale del governo della Chiesa. Ma lo scopo, il valore e i risultati dei lavori sinodali – ivi compresa l'esortazione post-sinodale scritta dal Papa – non sono stati apprezzati sufficientemente dai fedeli, frastornati dalle interpretazioni politiche che ne hanno dato i giornalisti, e purtroppo anche dalle interpretazioni faziose che spesso ne hanno dato i vescovi, sia progressisti che conservatori.

 

 

 

Che cosa fare di fronte al disorientamento pastorale?

 

 

 

Come credente, e soprattutto come sacerdote in cura d'anime, mi sono sentito impegnato in coscienza a intervenire in tutti i modi possibili – avvalendomi della mia specifica competenza scientifica, che è quella della logica epistemica e quindi della teologia fondamentale -, non per fare pressioni sul Papa (non è compito di nessuno nella Chiesa, tanto meno lo è per me) e nemmeno per partecipare alla discussione tra conservatori e progressisti, prendendo posizione a favore degli uni o degli altri, ma solo per contribuire a ri-orientare l'opinione pubblica cattolica. Tra i miei interventi più recenti in questa direzione segnalo la pubblicazione di due volumi collettanei: uno, intitolato Dogma e pastorale. L'ermeneutica del Magistero dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia (2), e l'altro intitolato Inscindibili. Giustizia, verità e misericordia: se mancano le prime due, l'ultima non è tale (3). In precedenza ero intervenuto con le presentazioni che ho scritto per libri pubblicati da altri studiosi di buon criterio dottrinale, a cominciare da Enrico Maria Radaelli (4).

 

 

 

Che significato e che valore hanno le cose che qui scrive Danilo Quinto.

 

 

 

Quello che si legge in questo libro di Danilo Quinto, come negli altri che ho prima citato, non pretende di essere una verità assoluta. Sono opinioni ben argomentate e certamente fondate sulla fede della Chiesa, ma di per sé restano mere opinioni personali, rispondenti a determinati punti di vista, e per questo sono proposte convintamente, ma senza la presunzione di poter esigere, da parte di tutti, quel consenso che, in materia di fede, può essere richiesto solo dagli enunciati che ripropongono, sine glossa, quanto è contenuto nella rivelazione cristiana e ha la garanzia ecclesiale delle definizioni dogmatiche. Dunque, le tesi di Danilo Quinto (e anche le mie, come dopo dirò) sono incontrovertibili solo quando si rifanno direttamente ai dogmi della dottrina cristiana (per deprecare giustamente che siano troppo spesso contraddetti o dimenticati); invece, in tutti gli altri casi esprimono soltanto delle valutazioni opinabili sull'opportunità di talune iniziative pastorali o anche sul comportamento di taluni personaggi del clero e del laicato cattolico che innegabilmente suscitano scandalo e seminano confusione in mezzo al Popolo di Dio. Si tratta, ripeto, di mere opinioni, ma di opinioni che io – anche quando non le condivido del tutto – ritengo assolutamente legittime, e per questo le presento qui in questo libro come negli altri che ho citato più sopra. Anzi, sono certo che queste opinioni, vista la dialettica dottrinale in corso, siano utili per contrastare le opinioni illegittime. Insisto a precisare (perché non è un discorso usuale ai nostri giorni, visto il clima di fanatismo settario che regna in ogni ambito della cultura) che hanno il valore di mere opinioni anche le tesi espresse con convinzione e passione: infatti, la "forma" di ogni giudizio è necessariamente la certezza, ma la "materia" può essere tale da non consentire un'affermazione apodittica (5). E qui la "materia" delle valutazioni fatte da Quinto è quasi sempre la pastorale, ossi la prassi messa in atto pubblicamente dagli esponenti della gerarchia ecclesiastica (a partire dal Papa stesso) nell'esercizio delle loro funzioni di magistero, di legislazione canonica, di disciplina del popolo di Dio (clero, religiosi e laicato). Ora, la prassi, per sua natura, non è il dogma, pertanto non è assistita dal carisma dell'infallibilità. È fatta di atti prudenziali, che possono essere o doverosi o liberi, efficaci o inutili, giovevoli o dannosi. Criticare un atto prudenziale è lecito a un fedele della Chiesa cattolica: a patto che costui sia consapevole di esprimere – lui, un semplice fedele – un giudizio di opportunità o di convenienza sui giudizi di opportunità o di convenienza espressi dall'autorità ecclesiastica, che sappiamo non godere in queste materie del carisma dell'infallibilità ma sappiamo anche di essere forniti dalla Provvidenza della adeguata "grazia di stato". Come in precedenza presentai alcuni scritti di Enrico Maria Radaelli dove si denunciano gli equivoci della attuale prassi pastorale, guidata dalla rinuncia al magistero dogmatico, così adesso presento il saggio di Danilo Quinto che mette in luce, con abbondante documentazione, le premesse ideologiche (l'umanesimo ateo) che ispirano questa prassi pastorale. In entrambi i casi, anche se si citano atti e discorsi di papa Francesco e di alcuni vescovi e cardinali, queste non vogliono essere critiche irrispettose e di resistenza al governo pastorale della Chiesa ma criteri di valutazione che possono servire ai fedeli cattolici per ri-orientarsi in questi momenti di confusione, sapendo discernere, alla luce dell'autentico magistero dogmatico e morale della Chiesa, quella che è indubbiamente la verità da credere – in quanto rivelata da Cristo stesso – e quelle che invece sono le scelte di carattere pastorale operate negli ultimi tempi dai Pastori della Chiesa Cattolica, scelte che sono di per sé opinabili, ossia non garantite dal carisma divino dell'infallibilità, e non impegnano perciò i fedeli a un consenso che implichi l'abbandono (teorico o pratico) del dogma.

 

 

 

Che cosa penso io

 

Una volta chiarito perché ho accolto nella collana "Ermeneutica teologica" le critiche che in questo volume Danilo Quinto rivolge a taluni aspetti dell'azione pastorale di papa Francesco, passo a esporre qual è il mio personale punto di vista sull'attuale momento della vita pastorale della Chiesa. Trattandosi di un punto di vista teologico, ed essendo la teologia l'elaborazione razionale di ipotesi di interpretazione del dogma – è questa la tesi che convintamente sostengo nel mio trattato su Vera e falsa teologia (6) – riconosco volentieri che anch'esso rientra nel novero delle opinioni, motivo per cui nemmeno intendo certamente assumere toni dogmatici. È quello, peraltro, che già ebbi modo di chiarire in un altro mio lavoro su questo medesimo argomento (7). Ma in un altro mio trattato (8), ho spiegato esaurientemente la norma di logica epistemica che prima ho enunciato sinteticamente, ossia che l'esternazione di un parere personale può essere fatto con asserzioni chiare e decise (questa è necessariamente la "forma" interiore della certezza che motiva un qualsiasi giudizio), pur nella piena consapevolezza che la "materia" di ciò che si asserisce è relativa, parziale, non definitiva, e dunque aperta a completamenti o anche a rettifiche. Ciò vale innanzitutto per il rilevamento della situazione di fatto che ispira il titolo di questo volume: Disorientamento pastorale. A me sembra assolutamente evidente, in un'ottica di sociologia religiosa e di esperienza pastorale, sulla base di dati largamente condivisi negli ambienti nei quali opero, che il Popolo di Dio sia attualmente disorientato da tante diverse e contrastanti interpretazioni dell'azione pastorale dell'attuale pontefice, a cominciare dagli ambigui pronunciamenti nei riguardi degli omosessuali e dall'apparente consenso nei confronti di esponenti della politica anticristiana (comunisti e massoni), per finire con la convocazione e la direzione dei due sinodi dei vescovi sulla famiglia e la successiva esortazione apostolica Amoris laetitia, volutamente aperta ad applicazioni pastorali in contrasto l'una con l'altra, sia dal punto di vista dei criteri dottrinali che dal punto di vista della prassi consigliata dai vescovi nelle diversi diocesi o da intere conferenze episcopali. Il fatto che molti, nella Chiesa (oltre naturalmente agli interessati applausi di chi alla Chiesa non crede e la Chiesa da sempre combatte) siano contenti, anzi addirittura entusiasti dell'azione "riformistica" di papa Francesco non è un motivo per negare che il Popolo di Dio sia attualmente molto disorientato: anzi, il prevalente o pressoché egemonico consenso dell'opinione pubblica alle azioni e ai discorsi di papa Francesco fa risaltare ancora di più la sostanziale discontinuità degli indirizzi pastorali del papa attualmente regnante rispetto a quelli dei suoi predecessori (da Paolo VI a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI), oggetto di aspre contestazioni da parte di Pastori e di teologi e oggetto anche di continue campagne denigratorie da parte dei mass media mondiali. I fedeli cattolici, indipendentemente dal fatto di approvare o di disapprovare certe iniziative di papa Francesco, avvertono tutti, certamente, il disaccordo, anzi la profonda divisione pastorale tra gli stessi Pastori. Gli elementi di fatto per un giudizio circa lo stato di disorientamento della coscienza cattolica ci sono tutti: ma sono dati di fatto rilevati – in modo parziale e contingente – da osservatori sempre molto limitati nelle possibilità di effettuare seri sondaggi di opinione e degli accurati calcoli statistici. Si tratta insomma dell'incertezza, della relatività e della soggettività connaturate alla sociologia della cultura e alla sociologia religiosa, che sono saperi la cui affidabilità scientifica è, nel migliore dei casi, assolutamente scarsa, e nel peggiore dei casi è addirittura nulla. Ben consapevole di questo limite cognitivo, io parlo dell'attuale problema del "disorientamento pastorale" – delle sue apparenti cause e dei suoi possibili rimedi – con la convinzione di dire cose certamente vere e di fare valutazioni certamente giuste, proponendole, per gli opportuni interventi, a tutti coloro che nella Chiesa sono e si sentono responsabili: ma senza la presunzione di dire le sole cose vere e di fare le sole valutazioni giuste, perché altri punti di vista e altri criteri di valutazione sono altrettanto legittimi. Lungi da me ogni atteggiamento assolutistico, che è tipico della polemica ideologica, che in ambito ecclesiale isterilisce il dibattito tra le persone che hanno a cuore le sorti dell'evangelizzazione, rinchiudendole negli schemi dialettici del progressismo e della conservazione.

 

Ben altro è il discorso riguardante il contesto storico-dottrinale. Qui non si tratta più di incerti rilevamenti mutuati dalla sociologia ma di certissimi dati derivanti dalla teologia fondamentale. Si tratta del grande mutamento del paradigma pastorale per cui già il concilio ecumenico Vaticano II, dopo il celebre discorso inaugurale di papa Giovanni XXIII (9), ha deciso di privilegiare il linguaggio parenetico su quello dogmatico, il tono conciliante su quello polemico, il ricorso alle categorie filosofiche dell'esistenzialismo e dello storicismo piuttosto che a quelle della metafisica. Il risultato è stato che in alcuni documenti del Concilio (non in tutti, e nemmeno nella maggior parte di essi) il nuovo linguaggio del Magistero è risultato oggettivamente ambiguo, provocando quella ridda di opposte interpretazioni che tanto ha diviso la Chiesa cattolica negli ultimi cinquant'anni. Alcuni esponenti dell'episcopato, sotto la pressione della pubblicistica prodotta in quegli anni dalla maggior parte dei teologi (a cominciare a quelli che al Concilio avevano partecipato come "periti"), sostennero l'interpretazione "progressistica" (irenistica, storicistica, antimetafisica) dei testi conciliari, soprattutto per quanto riguarda, da una parte, la libertà religiosa, l'ecumenismo e il dialogo interreligioso, e dall'altra la collegialità e la sinodalità nel governo della Chiesa universale. Altri esponenti dell'episcopato, anch'essi ispirati da una minoranza di teologi anti-modernisti (convinti di dover resistere all'abbandono delle direttive dottrinali di san Pio X e di Pio XII), interpretarono in blocco i documenti conciliari come espressione di tendenze neo-modernistiche e finirono per non riconoscerne l'autorità propriamente magisteriale. Si tratta di quella opposta "ermeneutica del Concilio" che papa Benedetto XVI denominò «ermeneutica della rottura» in opposizione all'«ermeneutica della riforma nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa», chiedendo a tutti (inutilmente) di adottare questa e di respingere quella. La Chiesa post-conciliare soffre ancora di questa divisione nell'interpretazione del messaggio fondamentale del Concilio, e invano i papi che si sono succeduti sul soglio pontificio dopo la chiusura della grande assemblea nell'anno 1965 (da Paolo VI a Giovanni Paolo II, e poi da questi a Benedetto XVI) hanno tentato di sanare la frattura con insegnamenti e provvedimenti autorevoli (ricordiamo in particolare, di Paolo VI, l'enciclica Humane vitae; di Giovanni Paolo II la promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico e del Catechismo della Chiesa Cattolica, nonché le encicliche Veritatis splendor e Fides et ratio), senza peraltro riprendere la prassi magisteriale interrotta con il Vaticano II, ossia la rinuncia a ogni formale condanna degli errori dottrinali (le eresie) e a quei severi provvedimenti disciplinari che avrebbero potuto evitare che questi divenissero praticamente l'insegnamento ufficiale della dottrina cattolica nei seminari e nelle università pontificie. Dopo la rinuncia all'«esercizio attivo» del pontificato da parte di Benedetto XVI e l'elezione di papa Francesco, la deriva anti-dogmatica del magistero ecclesiastico ha assunto proporzioni tali da giustificare ampiamente, purtroppo, la diagnosi di "disorientamento pastorale" che molti lamentano e che anch'io riconosco, non tanto – come dicevo prima – su basi sociologiche quanto su basi teologico-fondamentali. Perché, dopo la definitiva rinuncia del magistero ecclesiastico alla sua naturale funzione dogmatica (con la connessa condanna degli errori che si oppongono alla verità della fede) e dopo la pratica legittimazione dell'«ermeneutica della rottura» da parte di papa Francesco con il suo programma di riforme "pastorali" (che contraddicono sostanzialmente i dogmi del concilio di Trento e gli insegnamenti irreformabili del magistero ordinario anche recente, come quello di Giovanni Paolo II), ciò che obiettivamente è in crisi è l'autorevolezza stessa del magistero ecclesiastico. In effetti, se ai motivi di fede autentica (il papa deve essere creduto e obbedito, non perché sia il leader di una comunità religiosa ma perché è assistito dal carisma dell'infallibilità per essere il testimone e l'annunciatore della verità rivelata, secondo la tradizione apostolica) si sostituiscono motivi di simpatia umana o di condivisione ideologica, l'unità nella fede del popolo di Dio non si ricostituisce ma è anzi sempre più deteriorata. Così come non si ricostituisce ma è anzi sempre più deteriorata l'«oboedientia fidei», ossia l'adesione convinta ed effettiva dei fedeli alle norme morali proposte dal Magistero attraverso i documenti tuttora in vigore. Nel corso dei dibattiti all'interno dei due Sinodi dei vescovi sulla famiglia, molti padri sinodali (appartenenti soprattutto all'episcopato centro-europeo) hanno chiesto insistentemente la definitiva rinuncia a rigide norme morali e canoniche sulla sessualità al di fuori e all'interno del matrimonio, e a questo scopo si sono serviti di loro rilevamenti socio-pastorali in base ai quali risulterebbe la crescente disobbedienza di massa dei cattolici, anche praticanti, alle norme morali contenute nell'Humanae vitae e in generale alla morale cattolica in materia di sessualità. Ebbene, la voluta ambiguità con cui papa Francesco ha fatto riferimento a tali norme nella Amoris laetitia , dando a intendere di accogliere implicitamente la proposta dei padri sinodali vescovi "lassisti" e di respingere esplicitamente quella dei padri sinodali "rigoristi" (tacciati di «legalismo», o peggio di «fariseismo») non sortirà certamente l'effetto di una maggiore «oboedientia fidei» in mezzo al Popolo di Dio: quelli che non hanno mai obbedito si sentiranno in coscienza ancora più giustificati; quelli che invece finora hanno obbedito si sentiranno, psicologicamente, come strumentalizzati da una Chiesa oppressiva, e troveranno adesso tra i vescovi e i confessori molti più incoraggiati a "liberarsi" dalle leggi.

 

Antonio Livi

 

 

 

NOTE DELLA PREFAZIONE

 

(1) Cfr Antonio Livi, La gioia dell'amore va inquadrata in un ordine, oppure è anarchica come vuole il trascendentalismo post-kantiano?, Sacra Fraternitas Aurigarum, Roma 2016.

 

(2) Cfr Dogma e pastorale. L'ermeneutica del Magistero dal Vaticano II al sinodo sulla famiglia, a cura di Antonio Livi, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2016.

 

(3) Cfr Inscindibili. Giustizia, verità e misericordia: se mancano le prime due, l'ultima non è tale, a cura di Giuseppe Possedoni, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2016.

 

(4) Cfr Antonio Livi, Introduzione, in Enrico Maria Radaelli, Il mistero della Sinagoga bendata, Effedieffe Edizioni, Milano 2002, pp. I-IX; Idem, Introduzione, in Enrico Maria Radaelli, Romano Amerio. Della verità e dell'amore, Marco Editore, Lungro di Cosenza 2005, pp. VII-XXVIII; Idem, Prefazione, in Enrico Maria Radaelli, La bellezza che ci salva, Aurea Domus, Milano 2011; Idem, Introduzione, in Enrico Maria Radaelli, La Chiesa ribaltata. Indagine estetica sulla teologia, sulla forma e sul linguaggio del magistero di Papa Francesco, Gondolin Edizioni, Verona 2014, pp. I-XX.

 

(5) Cfr Antonio Livi, Le leggi del pensiero. Come la verità viene al soggetto, Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2016.

 

(6) Cfr Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l'autentica "scienza della fede" da un'equivoca "filosofia religiosa", Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.

 

(7) Cfr Antonio Livi, La verità rivelata, tra interpretazione del Magistero e interpretazione dei teologi, in Dogma e pastorale, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2016, pp. 27-40.

 

(8) Cfr Antonio Livi, Le leggi del pensiero, cit..

 

(9) Cfr Giovanni XXIII, allocuzione in occasione della solenne inaugurazione del concilio ecumenico Vaticano II, Gaudet Mater Ecclesia, 11 ottobre 1962.

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