La libertà religiosa è a rischio nel mondo


Mauro Faverzani in "Corrispondenza Romana" 2021

 La libertà religiosa è a rischio nel mondo. L'allarme è giunto, forte e chiaro, dalla Comece-Commissione delle Conferenze episcopali dell'Unione Europea: tra gli Stati membri dell'Ue v'è una crescente tendenza a «trascurare il diritto fondamentale alla libertà religiosa», benché sia protetto dall'art. 9 della Convenzione europea dei diritti umani e dall'art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. A dichiararlo venerdì scorso è stato il presidente, il card. Jean-Claude Hollerich, che ha spiegato come, in particolare, le misure adottate per «prevenire la radicalizzazione e l'incitamento all'odio ed al terrorismo» abbiano «un impatto negativo sulle confessioni religiose». Francia docet.


Persino l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha sentito la necessità di approvare giovedì scorso una risoluzione sulla protezione dei siti religiosi, sempre più nel mirino di terroristi e milizie, avviando una conferenza internazionale per valutare i mezzi migliori con cui attuare un preciso piano d'azione in merito. Purtroppo sempre più all'ordine del giorno figura la distruzione deliberata di chiese e santuari, di reliquie e monumenti, oltre al conseguente traffico illecito di oggetti sacri. Da qui l'invito rivolto ai governi a tutelare tali luoghi come obiettivi vulnerabili e ad attuare misure di salvaguardia per proteggerli, senza sottovalutare i rischi. Oltre alle pietre, tuttavia, nel mondo sono sotto attacco i principi religiosi, tra i quali primario, perché non negoziabile, come disse Benedetto XVI, figura quello della vita, subito calpestato dal neo-presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che, appena insediato, si è subito sentito in dovere, assieme alla sua Vice, Kamala Harris, di celebrare il 48° lugubre anniversario della sentenza Roe vs Wade, che rese legale l'aborto negli Usa, promettendo di estenderne l'accesso a chiunque, «indipendentemente dal reddito, dalla razza, dal codice postale, dallo stato di assicurazione sanitaria o dallo stato di immigrazione». Non solo: dopo aver biasimato l'amministrazione Trump per aver sottoposto «la salute riproduttiva ed il diritto di scelta ad un attacco implacabile ed estremo», Biden ha promesso – come da programma – di voler trasformare quella (tristemente) storica sentenza in legge e di voler «nominare giudici, che rispettino sentenze fondamentali» come questa.


Immediata la reazione della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che, con un comunicato del proprio Comitato pro Vita, presieduto dall'arcivescovo Joseph Naumann, ha esortato «con forza» il nuovo inquilino della Casa Bianca, richiamandolo alle sue responsabilità di politico, «a rifiutare l'aborto ed a promuovere l'aiuto alla vita. È profondamente preoccupante e tragico che un presidente elogi e si impegni a codificare una sentenza della Corte Suprema, che nega ai bambini non nati il loro diritto più basilare, quello alla vita, mascherandolo eufemisticamente come servizio sanitario». Sentenza costata già la morte violenta nel grembo materno di oltre 62 milioni di bambini innocenti, senza tener conto del dolore inflitto ad innumerevoli donne pentitesi troppo tardi, rose dal dolore della perdita. Da qui il memento rivolto a Biden: l'insegnamento della Chiesa in merito è immutato, il che probabilmente non turberà il sonno di un presidente già di suo convinto abortista, al punto da essergli già stata negata per questo la Comunione, e la cui campagna elettorale è stata comunque cospicuamente sostenuta proprio dalle forze abortiste.


Gli effetti della nuova svolta pro-choice si sono già mostrati con l'irruzione di manifestanti abortisti nella cattedrale di San Giuseppe in pieno centro a Columbus, dove, proprio in concomitanza all'anniversario della luttuosa sentenza Roe vs Wade, il vescovo, mons. Robert Brennan, stava celebrando una santa Messa per il rispetto della vita. Santa Messa interrotta dalle urla e dagli slogan dei facinorosi militanti, scortati dalle forze dell'ordine verso l'uscita, dove altri loro compari li attendevano. Un deplorevole episodio, che mette già in chiaro quale futuro attenda purtroppo gli Stati Uniti d'America, all'insegna di un "nuovo" che sa già di vecchio. Come, ahimé, ha rivelato un'altra presa di posizione da parte del presidente Biden: nel pacco di ordini esecutivi firmato per tentare di cancellare compulsivamente l'era Trump, v'è anche quello teso a reinterpretare il concetto di discriminazione sessuale in tutti gli Stati Uniti d'America, includendo in essa anche l'identità di genere, transgender inclusi. Devastanti le conseguenze negli spogliatoi o nei servizi igienici di scuole, cliniche o palestre, sinora per un solo sesso, oppure sulle organizzazioni religiose beneficiarie di sovvenzioni pubbliche, tutte alla mercé ora di qualsiasi dipendente volesse attuare ritorsioni nei loro confronti, accusandole di atteggiamenti "discriminatori".


Il "nuovo corso" dell'amministrazione americana darà fiato alle trombe ed ai tromboni politically correct e gay-friendly di tutto il mondo, che troveranno in essa un alleato potente per le proprie guerre ideologiche. Nessuno dubitava che ci attendessero tempi foschi, è sconcertante però constatare quanto rapida sia stata la conferma…


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