L'attualità pastorale del contributo carismatico degli originari Segreti De La Salette

"Carissimo mons. Galli, che il suo libro giovi al popolo cui è diretto, apra gli animi dei lettori alla speranza e le volontà ad una sincera conversione, asciugando le lacrime della Madre celeste con propositi generosi, tali da allontanare o almeno da attenuare i castighi meritati da una generazione sorda e cieca ai moniti del Cielo, e da affrettare il trionfo del Cuore Immacolato di Maria, finalmente annunciato ai tre pastorelli di Fatima" (Abbé Michel Corteville)

Dal libro di Antonio Galli "Scoperti in Vaticano I TRE SEGRETI de LA SALETTE", Sugarco Edizioni

Nella prefazione del libro I Tre Segreti De La Salette l'Abbé Mischel Coreteville offre l'orizzonte del quarto libro di Antonio Galli dedicati al mistero de La Salette, nonostante la sua inviolabile età: 99 anni!

"Esso ha per tema il ritrovamento dei due segreti inviati nel 1851 dai due pastorelli al papa Pio IX. È nota l'odissea   che li ha contraddistinti. Mai rivelati, sembravano svaniti nel nulla. Ma per me, impegnato a Roma nella stesura d'una tesi di laurea sulla grande Apparizione del 19 settembre 1846, era indispensabile scoprirli, perché li ritenevo una chiave troppo importante per gettar luce sulle troppe oscurità che avvolgevano quell'evento prodigioso e i fanciulli che ne erano stati protagonisti.

E la Provvidenza è stata con me veramente benevola. Lei sa come sono andate le cose e la vicenda è oggetto di una dettagliata narrazione nel suo libro. Quando ormai, dopo lunghe e accurate ricerche negli archivi vaticani, temevo di dover rinunciare all'impresa, proprio all'ultimo momento, mentre suonava la campana che imponeva la cessazione delle indagini, nella sala dov'è l'archivio della Congregazione per la dottrina della fede mi trovai fra le mani il sospirato incartamento. Era il 2 ottobre 1999.

Lei chiama quella scoperta "provvidenziale" e non a torto. Quanta luce ha gettato e quante ombre ha dissipato, quante prevenzioni ha demolito (soprattutto su Melania) e quante verità ha confermato!

Non si dirà più che le predizioni dei due veggenti non hanno alcun rapporto con l'Apparizione, ma sono posteriori ad essa imputabili all'influsso esercitato su di loro da spiriti inquieti e malati.

Non sarà più vero come è stato scritto che le gravi accuse mosse da Melania al clero siano una vendetta per il cattivo trattamento ricevuto da alcuni ecclesiastici.

Non sarà più vero, come è stato scritto, che Melania negli ultimi anni della sua vita, abbia aggiunto al testo, approvato dalla Chiesa, varie parti di stampo nettamente apocalittico.

L'Apocalisse è presente nel testo inviato da Melania al papa nel 1851, all'età di venti anni. E non è assente in quello di Masssimino che di anni ne aveva soltanto sedici.

Ma lasciamo gli spunti polemici, anche se a volte sono indispensabili per controbattere gli errori e sostenere la verità. E con piacere noto che sono presenti nel suo libro unicamente per giovare alla integrale conoscenza del messaggio di Maria, per la conversione del mondo.

Infatti lo scopo che soprattutto ella persegue è quello di obbedire all'ordine dato dalla Vergine ai pastorelli. Ossia far conoscere il suo messaggio "aux peuples", come dice la Madonna nel segreto di Melania, oppure, in altre parole, "a tout mon peuple", come lei ribadisce alla fine di tutta l'Apparizione.

Ella, continuando la missione affidata ai pastorelli, ha sentito il dovere di portare le parole della Vergine a conoscenza del popolo italiano. E pour cause. Melania ha amato l'Italia. Là si rifugiava quando era perseguitata in patria. Là trovò tre vescovi che l'accolsero, la protessero, la valorizzarono. Là il grande apostolo della carità, S. Annibale di Francia, l'ebbe per un anno direttrice del suo orfanotrofio a Messina e provvide a far erigere un monumento funebre nella chiesa di un altro suo orfanotrofio ad Altamura – dove la pastorella morì – pronunciando davanti a quella tomba un memorabile elogio funebre, che è tuttora stampato e letto con grande commozione". 

Melania beata fra i fiori, agnelli con l'apparizione del Fratellino Gesù…e dolori

"I miei genitori erano poveri, ma io ero più cattiva che povera, ecco perché molto presto mia mamma mi mise a servizio", così Melania nell'autobiografia del 1900, quattro anni prima di morire. Cara, piccola bugiarda! Non lei era cattiva, ma chi per sbarazzarsi della sua presenza, la mandava a soli sei anni a fare la pastorella da un'anziana donna, padrona d'un piccolo gregge.

Va detto peraltro che alla piccina non dispiaceva trascorrere le giornate sulle ampie e ventose praterie delle Alpi, mentre si sarebbe trovata a disagio sui banchi di un'aula scolastica, dove pure avrebbe dovuto essere.

A contatto con la natura avvertiva la presenza dell'Amore infinito, di Dio che è Amore, che aveva creato quelle bellezze. Stringeva sul petto gli agnellini, che le ricordavano l'Agnello il Dio diventato uomo nel grembo verginale di Maria, puro innocente, fattosi uccidere per i nostri peccati. Non si stancava di ammirare i fiori, d'esaltarne la bellezza e il profumo, invitandoli a lodare Colui che li aveva ammantati di quegli stupendi colori. A 69 anni, sarà ancora la pastorella che conversa con essi. Scrive il sac. Gilberto Combe nel suo diario: "Lascia la canonica passa davanti ai fiori del poggiolo. Si ferma come attratta da una calamita, contempla sorridendo un fiore, lo tocca, ma senza raccoglierlo, si vede che loda il Creatore per quella meraviglia. Lo sforzo che fa per distaccarne l'occhio e continuare il cammino è visibile".

Le solitudini alpestre sono veramente ideali per il raccoglimento lassù, dove la natura conserva l'innocenza e il candore dell'alba della creazione, la piccola guardiana d'armenti viveva in una dimensione celeste, premurosa d'osservare ciò che il Fratellino, il Bambino Gesù che era solito apparirle, le aveva detto: "Ti raccomando di chiudere il cuore ad ogni rumore del mondo".

"Com'ero felice quando custodivo le pecore e ignoravo che le creature possano offendere il Signore!", ricorderà, tanti anni dopo, riandando con la mente e con una coscienza chiara a quella felicità fatta di voli verso un mondo nuovo e diverso, che la penetrava dei suoi raggi dolcissimi. Il misterioso fanciullo, che la seguiva fin dall'infanzia, le appariva all'improvviso, s'intratteneva sull'erba del prato, raccogliendo con lei i fiori e facendole ghirlande, ma anche discorsi profondi, che s'imprimevano nella sua mente, allargando (l'anima) della sua coscienza benché piccola e angusta, per sempre.

Talvolta le pecore sconfinavano nei pascoli altrui, ma che ne sapeva lei dei confini che dividono la proprietà? Con pazienza l'amabile pedagogo le insegnava che la proprietà è sacra. La roba degli altri non va mai presa. I confini sono inviolabili, non solo quelli dei pascoli, ma anche quelli dei popoli, delle nazioni. Così "una chiara, irremovibile nozione della giustizia", scrive il Gouin, "s'imprimeva nel cervello piccino della fanciulla, elevando questa ad alti, universali concetti".

L'inverno lo trascorreva in famiglia. Poiché sua madre se ne disinteressava, fu il padre che la iscrisse alla scuola elementare di Corps, perché non crescesse analfabeta. Ma la scolara rimpiangeva l'aria libera delle praterie. Si sentiva spaesata in mezzo ad una scolaresca rumorosa, che talvolta la molestava per la sua natura selvatica. Si aggiunga che le lezioni erano tenute in francese ed ella capiva soltanto il dialetto. La maestra provava un senso di pietà per quella piccina, vestita alla meglio e sempre spettinata. Un giorno volle ravvivarle i capelli, e soltanto con le buone maniere riuscì a convincerla, ma quando mise il pettine in quella capigliatura inestricabile, trovò i capelli appiccicati da grumi di sangue e non poté far altro che raccoglierli in un ciuffo che legò con un nastro sulla fronte. Non poteva sapere era prodotto dalla corona di spine della Passione.

Mamma Giulia, scorgendo la figlia con quell'acconciatura, uscì dai gangheri. Le diede della civetta, che col ciuffo mirava ad attirare l'attenzione dei giovanotti, e, afferrato un paio di forbici, lo tagliò.

Immaginare, la mattina dopo, le risate degli scolari nel vederla conciata in quel modo. La maestra invece non si dava pace, pensando che per farle dispetto si fosse lei stessa tagliati i capelli. Soltanto più tardi venne a sapere che la colpa era della madre.

Anche il babbo, Pietro Calvat, ritornato in famiglia dal lavoro, volle vederci chiaro in quella brutta faccenda. Interpellò Melania, interpellò la moglie e poiché nessuna delle due gli diceva la verità, interrogò la maestra, dalla quale seppe come erano andate le cose. La sua ira si appuntò sulla sposa. I rapporti fra i due coniugi, già tesi, si deteriorarono ulteriormente. Bastava un nonnulla per dare origine a scenate, che affliggevano Melania.

Convinta che la brutta situazione creatasi in famiglia dipendesse dal suo cattivo carattere, la poveretta pregava il Signore che allontanasse da lei ciò che poteva concorrere a fomentare i rancori fra suo padre e sua madre, e a donarle lo spirito di carità e di mitezza. La risposta le arrivò dalla lontananza dei cieli. "In un attimo mi trovai davanti al Trono di Dio, davanti alla sua eterna Potenza. Vidi come l'Essere increato crea, conserva, governa per mezzo della sua infinita Sapienza, pur restando immutabile. Più guardavo il gran Dio, più mi sentivo portata ad amarlo. […] La sua Immensità mi rapiva. Solo e indipendente da tutto. L'uomo è pazzo, mille volte pazzo a non amare questo Bene infinito".

Come Dio grande e immenso che, senza suo merito, si era degnato di innalzarla fino al trono della sua gloria, si sentiva anch'essa "sola e indipendente. Libera dalla schiavitù delle cose caduche, arroccata in sé come in una fortezza assediata, i cui baluardi respingevano i dardi nemici, felice di naufragare nell'oceano infinito di quella luce senza origine e senza fine, da cui traeva volontà e forza per affrontare le prove più ardue.

Trascorre l'inverno del 1842 alle Serre, un inverno rigido, contrassegnato da grandi nevicate. Tocca a lei spalare la neve, attingere acqua alla fontana, lontana un quarto d'ora di cammino, governare le mucche nella stalla, cercare un tizzone acceso dai vicini per accendere il fuoco nel camino, se le brace, sepolte sotto la cenere, si erano spente durante la notte, giacché alle Serre non si conosceva l'uso dei fiammiferi.

È per lei una festa il giorno in cui suo padre sale a trovarla e, quando riparte, si stacca da lui con vivo dolore, ma pienamente "uniformata alla volontà di Dio".

Le sue padrone, madre e figlia, ammirano la sua umiltà e la sua docilità, l'impegno che mette nel lavoro. Non di rado la sorprendono assorta in preghiera e la chiamano "la piccola santa". L'alta considerazione in cui la tengono è per lei motivo di confusione. Si considera tutt'altro che santa. Sta attraversando un momento difficile. Pensa che Dio l'abbia abbandonata, perché non si sente abbastanza crocifissa. Priva delle "care sofferenze", la vita per lei non ha senso. Indubbiamente il demonio l'assale, infondendole quei timori, per fiaccare la sua volontà. "Vattene!" gli grida. "Sei il nemico della mia anima!". E si rifugia fra le braccia della sua Mamma celeste, provando un senso di sollievo. Si sente spronata a seguire il Maestro sulla via della sofferenza – la vera via della vita -, dovesse attraversare il mondo, lo stesso inferno, per fissarsi in Lui, centro unico del suo amore.

E dolori ben più grandi erano in agguato. Essa chiamò il 1845 una "buona annata". In che senso? "lei cercava così ardentemente la croce", scrive il Gouin, "fu servita a dovere".

Era andata a servizio a St. Michel da due giovani sposi, che avevano un bambino di due o tre anni. Poiché in tutta la casa vi era soltanto il letto nuziale, essi pretendevano che dormisse con loro. Melania, già quattordicenne, non poteva che respingere una proposta tanto sconveniente, ma, dietro le loro insistenze, stava quasi per acconsentire. Fu soltanto un attimo di disorientamento, perché "era risoluta a morire piuttosto che cedere alla loro richiesta". Per due notti si adattò a dormire sul pavimento. Il terzo giorno le fu procurato un letto. Era il trogolo dove mangiavano i maiali, talmente corto che non poteva allungare le gambe. Tuttavia si sentiva felice d'offrire al Fratellino i suoi scomodi sonni. Quel supplizio sarebbe durato chissà quanto se un ragazzo di Corps, che faceva il garzone s St. Michel, essendo andato a trovarla una domenica mattina, non avesse constatato come la pastorella trascorreva la notte. In un baleno si sparse la notizia che Melania dormiva nel trogolo dei porci e l'accusa cadde su Giulia Barnaud, che permetteva uno sconcio simile. Benché inviperita, Giulia fu costretta riprendersi quella figlia che non amava. Ma se ne sbarazzò la domenica seguente, mandandola a Quest-en-Beaumont dai Moine, una banda di criminali.

Lo scontro avvenne anche lì a motivo del letto. Il padrone voleva che lei dormisse assieme ai suoi figli, un maschio e una femmina. "Lei era piccola – disse – ed il letto era grande" Rifiutò, ma non sapeva che davanti le stava un bruto, capace di ogni eccesso. Poiché persisteva nel rifiuto la prese per i capelli e le fece più volte battere il capo sul pavimento. Ciò nonostante, ella continuava a ripetere: "Non dormirò mai con i vostri figli". Allora egli si fece consegnare una scure e la levò sul capo della poveretta, che si preparò alla morte, pronunciando l'atto di fede. L'energumeno però ignorava che esiste una virtù capace di vincere ogni arroganza, d'annientare ogni prepotenza. Se ne rese conto quando il soprannaturale irruppe in quel covo di malviventi. Si trattò del fenomeno che i maestri di spirito chiamano "traslazione". In esso "la persona è trasferita corporalmente da un luogo all'altro, senza lasciare traccia di sé, sicché il luogo da cui è partita resta completamente vuoto".

Un esempio di traslazione sarebbe avvenuto recentemente a Medjugorje. Jakov e Viska sarebbero stati portati in paradiso dalla Madonna, riapparendo dopo venti minuti. La madre di Jakov fu testimone dell'evento.

Anche Melania fu "traslata" in cielo.

Tutto sparì intorno a lei. Le sue orecchie non udivano più le urla e le bestemmie del suo carnefice, ma melodie angeliche che la riempivano di dolcezza. I suoi occhi non vedevano più i ceffi dei suoi aguzzini, ma si posavano su un mare di cristallo, ove si specchiavano le vesti vermiglie dei martiri, i candidi pepli delle vergini. Da quel mare partivano riflessi di una luce nuova, sconosciuta, la cui intensità non abbagliava la vista. L'estatica si trovò accanto a Maria e a lei donò il mazzo di gigli che le era stato offerto. Ed ecco apparire Gesù, candido Agnello, il quale le offre la palma dei martiri. Il suo martirio era avvenuto sine sanguinis effusione, ma non per questo era meno meritorio.

Cessata la traslazione, la vittima si ritrova sul pavimento della vecchia cucina. Accanto a lei c'è una sedia fatta a pezzi con la scure dal Moine nella sua follia sanguinaria. Egli guarda esterrefatto, come gli altri, la fanciulla. Come ha potuto scomparire e riapparire a porte e finestre chiuse? Dove è stata quel tempo? Una certezza si insinua in qui cervelli rozzi. Sotto le vesti ruvide di quella pastorella si nasconde una strega. Da allora la trattano con un certo riguardo e non poca diffidenza, temendo i suoi poteri occulti.

Quando il figlio lasciò la casa, la pastorella poté dormire nello stesso letto con la figlia del padrone, ma questa, per evitare ogni contatto con la maliarda eresse sul letto una specie di steccato. 

Altre angherie subì la poveretta da quei malviventi, nel cervello dei quali, col normalizzarsi della situazione, si era attenuta la paura verso la "strega". Il padre, informato dalla gente del paese della vita grama e meschina che conduceva la figlia a Quet – Beaumont, andò a riprendersela il giorno di Ognissanti.

Così la contadinella uscì dall'incubo di due terribili esperienze. Eppure per lei – come si è detto- quel 1845 fu "la buona annata". Non aveva accettato il suo annientamento "per riparare ingiurie e le ingiustizie fatte al tanto buono e amabilissimo Gesù?". Il suo desiderio era stato appagato, la sua sete di crocifissione soddisfatta; come una Voce "dolce e rassicurante" le disse: "Ciò che hai voluto fare è stato accolto. É…* Hai svuotato il tuo cuore dalle cose corruttibili. Dio l'ha reso capace di sé stesso".

Sì, ormai a quell'anima angelica era aperta la strada a voli ancora ancora più alti. Bussava alla porta il fatidico 1846 preparato da un lungo cammino pur con piccoli e grandi difetti.

Durante l'inverno del 1845-46, trascorso in famiglia, Melania avrebbe dovuto prepararsi alla prima comunione, ma sua madre preferiva mandarla nel bosco a raccogliere legna, anziché al catechismo. Il cappellano della parrocchia avvertì il fratello della pastorella, Enrico, che non era possibile ammettere sua sorella all'eucarestia, data la sua assoluta impreparazione. Il buon prete non sapeva che quell'anima innocente era già stata ammessa al banchetto eucaristico da colui che giudica le disposizioni dei cuori con parametri diversi da quelli umani.

Il fatto era avvenuto alcuni anni prima in un bosco, dove una madre spietata aveva cacciato la bambina. La fanciulla vi aveva vissuto la stessa esperienza mistica che a Fatima nel 1917 arricchirà i tre pastorelli: la comunione eucaristica amministrata da un angelo. E in quel bosco Melania riceve anche le stigmate.

Quella minaccia addolorò profondamente la fanciulla, ma una voce interiore le sussurrò: "Corrispondi con fedeltà alle celesti ispirazioni e prega!".

Quanto a pregare, essa lo fa di continuo! Prega in casa, prega nel bosco, mentre raccoglie la legna, necessaria a vincere i rigori dell'inverno, prega in chiesa quelle poche volte che frequenta il catechismo e il cappellano la rimprovera perché non ha saputo la lezione. Sì, prega, benché si senta una povera peccatrice, indegna di ricevere il corpo e il sangue del Signore. 

Ma Gesù la guarda con estrema compiacenza e le rivela che è arrivato il momento di darle il premio più ambito.

Poco lontano da Corps una cappella, dedicata a S. Rocco, sorge su un poggio, ai piedi del quale si estendono le acque cristalline di un laghetto, cui fa da sfondo la catena maestosa delle Alpi con le cime innevate.

 Un giorno irrompono in quel luogo i rampolli di Pietro Calvat, festosi e chiassosi. Ve li ha mandati mamma Giulia, infastidita dal loro fracasso. Si saltano e si rincorrono, riempiendo la silenziosa cappella delle loro risate argentine. Melania invece si ferma, assorta in preghiera, davanti ad essa.

"Pregavo", ella scrive, "questo buon Santo [San Rocco] d'ottenermi dal mio amabile Signore la guarigione dell'anima, per non procurare più pena al mio beneamato Gesù e alla sua Madre. Io la vedo sempre corrucciata con me e questo mi addolora. Ed ecco sentii la dolce, consolante voce del mio amatissimo e buon Fratellino che mi diceva: "Mia cara sorella, sorella del mio cuore, eccomi da te". Io mi volsi all'istante: il mio cuore sussultava di gioia. Era proprio il mio desiderato Fratello, col suo volto angelico ed i suoi occhi di Paradiso".

È venuto a premiarla delle vittorie che ha riportato. Ella non capisce di quali vittorie si tratti, allora egli le rammenta ciò che ha sofferto a St. Michel, a Quet-en-Beaumont. Ha dimostrato un coraggio superiore alla sua età, alle sue forze [fisiche che avviene quando la coscienza dell'anima cresce], ha saputo far tesoro  della sofferenza senza cedere alla debolezza umana, ai reclami della natura, da vera amante della croce, ed è giunta l'ora di ricevere il premio meritato.

Si tratta del bacio mistico, del fidanzamento spirituale.

"Lui mi bacia sulla fronte, sulle labbra, sul petto e, andandosene, mi benedice". Così ella rammenta quel momento di indicibile felicità".

Il fidanzamento spirituale, concesso ad anime molto addentro nella sfera del misticismo, avviene dolcemente "in una specie di deliquio", scrive S. Teresa d'Avila, "cagionando nell'anima una ferita dolorosa e deliziosa nello stesso tempo: lo Sposo le fa sentire la sua presenza, ma per un po'di tempo soltanto, mentre essa vorrebbe godere continuamente".

Da questa unione deriva all'anima un perfetto distacco dalle creature pur amate, un dolore immenso dei peccati commessi, la frequente visione di Gesù, di Maria, degli angeli, dei santi, una pazienza mirabile nel sopportare le prove anche più gravi.

Già Gesù era apparso alla pastorella, un giorno, sui pascoli alpini, tenendo fra le mani una colomba, alla quale davanti a lei strappò cinque penne, che procurarono alla graziosa bestiola cinque piaghe, prontamente rimarginatesi. Con una corona di spine le coprì poi il piumaggio per difenderlo da insulti esterni, e le mise al collo una collana sponsale.

Il simbolismo di questi gesti lo spiega S. Annibale di Francia.

"[La parabola] ci offre la chiave per scoprire il segreto del Signore su quella grande anima e spiegare perché appariva spesso piena di difetti. È incontestabile che molti difetti apparivano in Melania e che non si mai corretta da certe imperfezioni e da erti modi di agire da non accordarsi con la santità. Quei difetti che durarono per tutta la sua vita, furono la causa per cui molti la ritennero un'illusa, una cocciuta, troppo attaccata ai suoi giudizi e perfino disobbediente. E tuttavia non erano in lei che difetti naturali ed anche azioni rette che apparivano agli occhi degli uomini diverse da quelle che erano davanti al Signore. Erano le spine che circondavano quella splendida colomba senza toccarla. Così lo Sposo celeste le donò il rimedio insieme ai santi doni".

Per santi doni l'amabile canonico intende le cinque ferite, ossia le stigmate. E la collana di sposa. Sì, Melania, come S. Gertrude, come S. Caterina da Siena, come S. Teresa d'Avila, come S. Margherita Alacoque, come S. Gemma Galgani, come molte altre sante, ha beneficiato del carisma degli sponsali mistici. 

Ella riconosce tre stadi nell'unione da lei raggiunta con Dio, in quell'esperienza riguardo alla quale ha scritto pagine che potrebbero figurare in un trattato di teologia mistica.

Nel primo stadio, le presenze celesti, percepite con "gli occhi del corpo", la stimolavano a vivere il Vangelo, Cristo vivo, incarnandone i precetti e testimoniandoli, soprattutto l'amore verso i nemici, col distacco dalle caducità della vita presente, col convincersi della propria nullità, con l'accettare umilmente i rimproveri e le correzioni del Maestro divino. A questa scuola e a questo tirocinio, confessa Melania, quanto più si annientava, tanto più cresceva in lei il desiderio della sofferenza, la spinta a modellarsi sugli esempi, sulla vita, improntata alla croce e al martirio, di Gesù.

Nel secondo stadio, l'anima, rapita in estasi, si lascia spogliare senza violenza della sua volontà per immergersi nell'oceano della Volontà suprema, sicché altro non vuole, altro non desidera se non ciò che piace al suo Diletto. Soltanto lui ama, soltanto lui vive, e trema al pensiero di recargli la più piccola offesa. Nella dolcezza del vincolo che lega al Cuore del suo cuore, l'anima (pur impegnata) è così indifferente alle cose umane che brama di soffrire qualsiasi pena, di patire umiliazioni e disprezzi, perfino di morire, se necessario, per colui che è la Vita vera, indefettibile.

Nel terzo stadio cessano le visioni che nel primo stadio erano corporee e nelsecondo voce interiore "dolce, soave, armoniosa, potente e penetrante". Voce dell'Amato che domanda di poter disporre di lei, liberamente.

"In questo terzo stadio", scrive testualmente, "la divina Misericordia si fa vedere con chiarezza e conversa amorosamente con l'anima, l'istruisce, la invita ad amare più generosamente, più perfettamente". Seguono frasi che fanno pensare al rapimento cui l'anima non può resistere per l'impetuosità e la violenza che la investono. "È come se un'aquila ti rapisse sulle sue ali, senza sapere dove tu vada".

Su questo volo mistico ella ha fatto la dolcissima e terribile esperienza. "IL raziocinio è incapace di qualunque cosa, mentre è in atto la comunicazione, solo il cuore sembra uscire dal petto, tanto è forte il suo palpito. Non so dire come ciò si svolga, ma una volta che l'anima mia è pienamente posseduta dal mio amatissimo Gesù, sembra che se ne vada nello spazio, che senta il canto degli angeli, che sgorga i paesi più lontani e legga i pensieri delle persone. […] Così anche i sensi incantati perdono le loro operazioni e l'anima prova l'ebbrezza del divin Amore, in cui trova l'unico suo riposo.

"Ma l'amore, questo amore insaziabile, non trova pace, chiama l'anima ad una unione sempre maggiore, e l'anima, senza essere forzata, corre, per gettarsi in seno a Gesù, bene amante e amato, mai stanca di pregare e di desiderare la consumazione dell'unione eterna".

"Unione trasformante", chiamano gli esperti quello che comunemente è detto "fidanzamento o matrimonio spirituale". E la descrizione che ne fa Melania la si ritrova identica nei grandi Maestri di spiritualità.

"È l'ultimo grado di perfezione classificabile che si può raggiungere in questa vita e costituisce un preludio e una immediata preparazione alla beata vita nella gloria".

"Una trasformazione totale nell'Amato, nella quale ambedue le parti si cedono a vicenda, trasferendo l'una l'intero possesso di sé all'altra, con una certa consumazione di unione amorosa, in ci l'anima diventa divina, [diventa] Dio in Cristo, per partecipazione, per quanto è possibile in questa vita".

Gli effetti derivanti da questa unione trasformante sono: morte totale al proprio egoismo, unica preoccupazione la ricerca della gloria di Dio, un grande desiderio di patire, ma tranquillo e interamente subordinato alla volontà di Dio, godimento nelle persecuzioni, zelo ardente per la salvezza delle anime, distacco dalle cose del mondo, ansia di solitudine, distacco dalle cose del mondo, ansia di solitudine, e quiete, ma senza turbamento.

Quasi sempre alle gioie del fidanzamento mistico segue la "notte dello spirito", stupendamente descritta da S. Giovanni della Croce, "quella notte fortunata che, se offusca l'intelletto, non fa che per illuminarlo, se l'umilia, non è che per esaltarlo ed affrancarlo, se l'impoverisce e lo vuota 'ogni possesso e d'ogni affetto naturale, è per farlo capace di divinamente godere delle dolcezze di tutte le cose di quaggiù e di lassù".

Anche Melania ai rapimenti inebrianti e dai voli estatici è fatta entrare nel tunnel della notte dell'anima. L'assale il timore che quanto succede in lei sia un inganno di Satana. Si fa il segno della croce ed invoca le Potenze celesti, perché mettano in fuga il nemico. Ed ecco apparire "in una visione intellettuale" Gesù che le dice: "Sorella mia, non aver paura. […] Non permetterò mai che il nemico infernale ti possa nuocere!" [pur attaccandoti].

"In questo stato", conclude la veggente, "si vedono più chiare le vie di Dio e, sebbene il vecchio serpente, per ingannare, scimmiotti ed imiti le apparizioni di santi e perfino di Gesù Cristo, non può mai ingannare l'anima in unione con Gesù l'anima umile e timorosa".

Il teologo tedesco K. Hock, citato da Karl Rahner nell'opera visioni e profezie, sottolinea l'importanza fondamentale del fidanzamento mistico nella fenomenologia soprannaturale caratterizzante la vita di molti santi.

"Tanto S. Giovanni della Croce quanto S. Teresa", egli scrive, "esprimono l'opinione che soltanto nel fidanzamento mistico vengono concesse all'anima rivelazioni e visioni "pure" e tale concezione è ora universalmente accettata dagli "scrittori mistici".

"Se un'anima non è ancora pervenuta al fidanzamento mistico, cioè non ha ancora goduto nell'estasi la mistica unione d'amore anche in modo transitorio, sarà da riguardarsi come illusione tutto quanto essa subirà di visioni e rivelazioni".

Leggendo quanto di straordinario abbiamo scritto finora della pastorella di Corps, è facile che in più di un lettore sia nato il dubbio che quelle manifestazioni, che l'hanno coinvolta fin dalla più tenera infanzia, altro non fossero che sogni, fantasie, allucinazioni, riconducibili ad una specie di compensazione più che naturale in una fanciulla come lei, frustrata e caratteriale. L'episodio della cappella di S. Rocco annulla questi dubbi. La stessa Melania era talmente convinta che si fosse compiuto, quel giorno, un fatto d'estrema importanza nella sua vita mistica, che con esso termina l'autobiografia del 1900, quattro anni prima della morte.

"Perché?", si domandò Paul Gouin. "Come mai la pastorella racconta soltanto i primi quattordici anni della sua vita? […]  È questo episodio a farcelo capire. Sul piano soprannaturale [la sua] è una vita completa: la narratrice non ha più nulla da aggiungere. Quel bacio che lei ha appena ricevuto, non segna l'inizio di comunicazioni divine, bensì le consacra".

Ed è il preludio necessario alla grande Apparizione che, pochi mesi dopo, segnerà una tappa decisiva nella sua difficile e straordinaria esistenza.


19 settembre 1846

   

 Ancora esaltata e commossa per il bacio sponsale ricevuto dal "Fratello" davanti alla cappella di S. Rocco, Melania, appena mette piede in casa, è aggredita dalla madre, furente perché non si è trattenuta con i fratellini. Sono stati loro a dirle che per tutto il tempo la sorella era rimasta sola davanti alla cappella di S. Rocco. Quando finirà d'essere la "mutta gaura"? Quando smetterà di comportarsi da bestiolina selvaggia? Pietro Calvat non vuole che essa ritorni a servizio, ma lui non ce l'ha fra i piedi quella "mutria" insopportabile, sempre imbronciata, sempre assorta in chissà quali fantasticherie. Ritorni fra le mucche, pecore e capre, la sola compagnia che le è congeniale. Lei, Giulia Bernaud, è risoluta. Darà la figlia al primo che verrà a chiedergliela. E il richiedente non tarda a bussare alla sua porta. Si tratta di un contadino degli Ablandins, una frazione del comune de La Salette.

Gli effluvi della primavera hanno già liberato dalla neve gli alti pascoli e a lui occorre un garzone che sorvegli il suo bestiame.

Anziché Agostino o Enrico, mamma Giulia gli affida Melania. Gente semplice, onesta, laboriosa i Pra. Oltre a Battista, il capofamiglia, il nucleo familiare è composto dalla sua vecchia madre, dalla sposa e da due figli. Dopo la triste esperienza di St. Michel e di Quet, la pastorella è meravigliata del trattamento che riceve. Tutti l'amano, tutti la rispettano. Da parte sua, ella mette ogni impegno nel custodire il branco delle mucche che ha in consegna. Ogni giorno, lo porta a 1800 metri di altezza, nelle grandi praterie che si estendono oltre i terreni coltivati e i boschi cedui.

Le giornate trascorrono tranquille e serene. Ella ama la solitudine e vive in simbiosi con la natura, in cui ammira la potenza e la magnificenza di colui che l'ha creata.

Ma ormai l'estate è al termine. L'aria frizzante e le prime brinate di settembre annunciano l'imminenza dell'autunno.

Il 18 di quel mese, Melania pascola l'armento a Sous-les- Baisses, sulle pendici del monte Planeau, quando le si avvicina un ragazzo piccolo e magrolino, il quale vorrebbe giocare con lei. Scontrosa com'è, lo allontana sgarbatamente e cambia posto, ma l'altro la segue. Nuova fuga e nuovo inseguimento. Quell'inopportuno non cede. Alla fine è lei ad arrendersi, ma evita di rivolgergli la parola e, com'è solita fare, si mette a chiacchierare con i fiori.

"Ma non hanno orecchie i fiori", le dice il ragazzo, ridendo, e declina le proprie generalità, come se fosse davanti ad un funzionario dello Stato Civile.

Si chiama Massimino Giraud, ma è conosciuto col nomignolo di Mémin.

Abita a Corps con suo padre, che fa il carradore, ed ha undici anni. Salta volentieri la scuola per il gioco, per questo suo padre per punizione l'ha mandato a guardare le vacche dei Selme, in attesa che guarisca il garzone in carica, che è a letto con la febbre.

Dalla chiesa de La Salette giunge il suono dell'Angelus. È mezzogiorno e Melania invita il ragazzo a pregare con lei. Egli assume un atteggiamento raccolto, ma rimane zitto. Finita al preghiera, Melania lo porta dov'è il suo tascapane con le provviste per il pranzo, tira fuori una pagnotta rotonda, per dividerla con il compagno; prima però incide sulla pagnotta rotonda col coltello una croce e un forellino e dice: "Se c'è il diavolo, se ne vada; se c'è il Signore, vi resti".

Queste parole suscitano l'ilarità del monello, che dà un calcio al pane, facendolo ruzzolare giù per il pendio. Per lui è così risolto il dilemma. Senza scomporsi, Melania estrae dal tascapane un'altra pagnotta e la mangia insieme a quel compagno occasionale.

Essi trascorrono, giocando, il pomeriggio e, verso sera, nel ricondurre le bestie alle rispettive stalle, si danno appuntamento per il giorno dopo.

Si ritrovano, infatti, l'indomani, sabato 19 settembre, vigilia della festa dell'Addolorata, sempre sulle pendici del Planeau.

Prima di mezzogiorno, portano le mucche ad abbeverarsi, quindi le menano oltre il torrente Sesia, sulle pendici del Gargas, alto 2213 metri. Essi non attraversano il torrente e mangiano pane e formaggio vicino alla fontana detta degli uomini, perché vietata al bestiame.  

Vi è un'altra fontana, ma versa acqua soltanto durante lo scioglimento delle nevi e in quel momento è secca. Tutt'intorno però vi sono molte pietre e, dopo aver mangiato, vanno là per il gioco che piace a Melania. Si tratta di costruire con i sassi una rudimentale casina a due piani che la pastorella chiama "il Paradiso". Il piano inferiore è per i beati, il superiore per il gli angeli, la Madonna e Gesù.

Si mettono entrambi di buona lena al lavoro, ma le pietre sono pesanti e non è facile sistemarle, sicché a lavoro finito, si sentono stanchi e si addormentano sull'erba. Il sonno si protrae a lungo. La prima a svegliarsi è Melania. Non scorgendo le mucche chiama Mémin e tutt'e due corrono sopra un'altura, dalla quale vedono il branco sdraiato sulla prateria.

Rassicurati, ritornano alla fontana asciutta, dove hanno lasciato le loro bisacce e riprendono il viottolo che s'inerpica sulle pendici del Planeau, quando sono colti da una luce abbagliante. Qui cediamo la parola a Melania.

"Vidi una bella luce, più brillante di quella del sole ed ebbi appena il tempo di dire queste parole: "Massimino, vedi laggiù?". Ah, mio Dio! Nel medesimo istante lasciai cadere il bastone che tenevo in mano. […] Guardavo con molto coraggio quella luce, che era immobile, e come se si fosse aperta, scorsi un'altra luce ancora più brillante della prima, che si muoveva, e in quella luce una bellissima Signora, seduta sul nostro "Paradiso" con la testa fra le mani".

La Signora invita i due fanciulli ad avvicinarsi a lei senza paura e trasmette loro un messaggio di cui parleremo più avanti.

"La Madonna – prosegue Melania – pianse per quasi tutto il tempo in cui ci parlò. Le sue lacrime scendevano ad una ad una lentamente fino alle sue ginocchia, poi, come scintille di luce, sparivano. […] Avrei voluto consolarla, perché non piangesse più, ma mi sembrava che avesse bisogno di farci vede re le lacrime per meglio mostrare il suo amore dimenticato dagli uomini. […] Avrei voluto gettarmi fra le sue braccia e dirle: "Mia buona Mamma, non piangere! Ti voglio amare per tutti gli uomini della terra!". Anche Massimino, che all'inizio si era limitato a togliersi il cappello e a farlo girare sulla punta del bastone, di fronte a quel pianto dirotto s'intenerì".

Melania si diffonde nel descrivere il fascino che promana dalla misteriosa visitatrice.

"Era tutta bella, tutta fatta d'amore. Sembrava che la parola 'amore' uscisse dalle sue labbra purissime. Il suo sguardo era dolce, penetrante. L'abito era d'un bianco argentato. Non aveva nulla di materiale ed era composto d'una luce cangiante, scintillante. La corona di rose che aveva sulla testa era così luminosa che è impossibile formarsene un'idea. Dalle rose si levavano come raggi d'oro, che, uniti, formavano un diadema più splendido del sole".

E prosegue, toccando i minimi dettagli.

"Aveva un grembiule giallo. Ma che dico giallo? Brillava più di diversi soli messi insieme. Non era di stoffa materiale, ma un composto di gloria, d'una bellezza che rapiva.  Aveva due catene [al collo], una più grande e l'altra più piccola. A quest'ultima era appesa una croce luminosa. Il Crocefisso era di color carne naturale, rilucente d'un grande splendore. Aveva il corpo rilassato, il capo chino, come fosse per cadere, trattenuto soltanto dai chiodi. A volte però sembrava vivo, col capo eretto, gli occhi aperti, in procinto di parlare, di dichiarare ch'era venuto per noi, onde attrarci a sé, al suo amore sconfinato.

"Oh, quanto sono dispiaciuta d'essere così povera nelle mie espressioni, nel ridire 'amore del nostro Salvatore, per noi! D'altra parte come si è felici nel poter meglio sentire quello che non si riesce ad esprimere!".


Riflessione che non sorprende per la sua profondità. Alzandosi la Signore disse ai veggenti di far conoscere le sue parole "à tout mon peuple". Attraversata a Seize, salì sul poggio dal quale Melania e Massimino avevano scorte le mucche..

"Noi la seguimmo perché ci attirava col suo splendore e anche di più con la sua bontà. I suoi piedi sfioravano l'erba, senza piegarla".

Sul poggiolo, Melania si pose davanti all'apparizione. "Mi guardava" rammenta, "con tenera bontà. Avrei voluto lanciarmi fra le sue braccia".

Da quel giorno la fontana secca non ha più cessato di versare acqua, dimostratasi miracolosa.

Scrive Paul Gouin che, il 19 settembre, finì per Melania la fase misteriosa della sua iniziazione, e ciò che aveva conosciuto, ciò che aveva visto, ora dovevo viverlo. Era arrivato per la "muta" il momento di parlare.

Veramente prima di lei aveva parlato Massimino. Appena sceso agli Ablandins, egli non seppe trattenersi dal raccontare ai Selme quanto era accaduto sulla santa Montagna. I Selme gli fecero ripetere il racconto in casa dei Pra. Mamma Carron, la madre di Battista Pra, andò a chiamare Melania, che stava mungendo le mucche nella stalla, perché confermasse il fatto. Ma essa rispose sgarbatamente:

"Mémin vi ha già detto tutto, non è necessario che io venga a ripetere il suo racconto".

Ma poi cedette alle insistenze ella vecchia padrona e andò con lei nella grande cucina della casa colonica, dove narrò i fatti per filo e per segno. Non sembrava più la povera contadinella, ma un'estatica, assorta nella visione d'un mistero precluso agli occhi dei comuni mortali. La sua parola ispirata faceva rivivere nella stanza illuminata debolmente dalla lucerna ad olio gli splendori della celeste Apparizione. La bianca Signora, vestita di luce, col serto di rose sul capo, soggiogò la fantasia di quella gente onesta e credente. Mamma Carron esclamò:

"Quella bella Signora era veramente la Vergine".

Il primo messaggio subito pubblico

I messaggi dati dalla Vergine ai due pastorelli furono tre. In questo capitolo ci soffermeremo sul primo, "appropriato", scrive Daliel- Rops, "ai due contadinelli delle Alpi, senza cultura, ignoranti delle cose del mondo. Che cos'era per quei bambini il grande tradimento degli uomini, se non 'assenza della messa, la negligenza delle leggi del digiuno, la cattiva condotta? E così pure i castighi che la Signora annunciava che altro potevano essere se non i cattivi raccolti, noci ed uva destinati a marcire, epidemie tra i bambini e le bestie? [Nel rapporto tra Dio che è amore e noi fatti a sua somiglianza necessitiamo del libero arbitrio perché senza libertà non c'è amore, ma il libero arbitrio necessita la permissione di Dio del rischio di voler fare a meno di Lui provocando il male, quindi la sua  giusta  reazione perché, per il bene nostro, ci vuole giusti senza abbandonarci perché il Figlio del Padre nello Spirito Santo si è fatto, nel grembo verginale di Maria, uno di noi, morto per i nostri peccati, risorto, asceso alla destra del Padre, si fa sacramentalmente presente e operante attraverso il suo Corpo che è la Chiesa per ricrearci continuamente fino al momento della morte, del giudizio particolare nel distacco dell'anima da questo corpo che finirà in polvere . Maria, già con il Figlio alla destra del Padre nello Spirito Santo, giunta alla meta di anima e copro risorto cui tutti siamo destinati, mamma nostra di figli è corredentrice con il Figlio nello Spirito Santo, in cielo si rivela continuamente attenta, felice per il sì libero, sofferente, in pianto per il no o l'indifferenza].

"Se il mio popolo non vuole sottomettersi, sono costretta a lasciar cadere il braccio di mio Figlio, esso è così grave e pesante che non posso più trattenerlo.

"Da quanto tempo io soffro per voi! Se voglio che mio Figlio non vi abbandoni, io debbo pregarlo continuamente, e voi non ne fatto caso. Voi avete un bel pregare, un bel fare; mai potrete compensarmi della pena che mi sono presa per voi.

"Vi ho dato sei giorni per lavorare, mi sono riservato il settimo, che non mi si vuole concedere. È questo che appesantisce tanto il braccio di mio Figlio.

"Coloro che conducono i carri non sanno imprecare senza mescolarvi il nome di mio Figlio.

"Se il raccolto va male è soltanto per colpa vostra: ve l'ho fatto vedere l'anno scorso con le patate; voi non avete fatto caso! Anzi, quando ne trovate di guaste, voi imprecate e intercalate il nome di mio di mio Figlio. Esse continueranno a marcire e quest'anno a Natale non ve ne saranno più".

È a questo punto che l'Apparizione per tutto il popolo passò dal francese al dialetto che i veggenti capivano bene. Dopo aver ripetuto il periodo precedente, continuò:

"Se Avete del grano, non conviene seminarlo, perché tutto quello che seminerete sarà mangiato dagli insetti, e quello che verrà cadrà in polvere quando lo batterete. Sopraggiungerà una grande carestia, ma prima che essa venga, i bimbi  al di sotto dei sette anni saranno colti da un tremore e moriranno tra le braccia di coloro che li terranno. I grandi faranno penitenza per la fame. Le uve marciranno e le noci diventeranno cattive".

Qui esortò bambini a pregare mattina e sera, quindi proseguì:

"A messa non vanno che alcune donne già anziane. Gli altri lavorano di domenica tutta l'estate e, l'inverno non sanno che fare, non vanno a messa che per burlarsi della religione. In quaresima vanno in macelleria come dei cani".

Proseguendo, l'Apparizione domanda ai veggenti se hanno mai veduto il grano guasto cioè se sono stati attenti ai fatti e si sono domandati il perché. Alla risposta spontanea negativa di Mémin replica così:

Ma tu, bimbo mio, ne devi aver visto una volta vicino a Coin, con tuo padre. Il padrone del podere disse a tuo padre: 'Venite a VEDERE IL MIO GRANO GUASTO'. Voi ci siete andati tutti e due. Prendeste due o tre spighe di grano nelle vostre mani, le avete strofinate e tutto andò in polvere. In seguito, nel ritorno, quando non eravate distanti che una mezz'ora da Corps, tuo padre ti diede un pezzo di pane, dicendoti: "Prendi, bambino mio, mangia ancora del pane di quest'anno, non so chi ne mangerà l'anno venturo se il grano continua a guastarsi in questo modo".

[Teologicamente il naturalismo, il secolarismo, il deismo, l'ateismo non è accettabile perché Dio, creatore, redentore, è dentro a tutte le vicende umane. Il padre di Massimino  è logico constatando il male perché senza la fede non c'è speranza fiduciosa nemmeno a livello umano]. Mémin ricorda perfettamente quell'episodio in tutti i suoi particolari. La Vergine, rivelando che il cielo è presente in ogni fatto anche nel corona virus, conclude, passando dal dialetto al francese: "Eh bien mes enfants, vous le ferez passer a tout mon peuple".

Tutti, allora e oggi pur in una economia diversa, dovevano conoscere il minaccioso avvertimento per cambiar vita non solo a livello personale, ma come popolo, ed allontanare i castighi imminenti nell'uso negativo del libero arbitrio. Ma la conversione mancò e la predizione della profezia sempre legata al se non si cambia mentalità e vita si avverò nella sua negatività.

Tutti i libri che trattano questo argomento riportano precisi riferimenti storici che dimostrano ad abundantiam quanto fossero vere le parole della Vergine.

Nel dialetto di Corps essa aveva preannunciato il rischio di "une granda famina", una grande carestia.

Rileviamo dal Reader Digest:

"Una delle più grandi catastrofi dei tempi moderni fu la carestia delle patate in Irlanda. Le patate, introdotte colà ben presto come cultura complementare dei cereali, vi crebbero orgogliose: erano facili da seminare, da raccogliere e da cucinare, e facili da nascondere, sotterrandole durante le incursioni egli invasori inglesi. Nel 1845 erano il maggior raccolto alimentare dell'Irlanda. Quell'anno 'estate fu fredda e piovosa e apparvero delle macchie sulle foglie delle patate. Ben presto la peronospora si diffuse in tutta l'Irlanda e rovinò metà del raccolto. L'anno dopo (1846), i contadini piantarono semi infetti: il raccolto fu completamente rovinato e il fabbisogno alimentare di milioni di persone per tutto l'inverno andò perduto in poche settimane. La catastrofe che ne seguì fu la peggiore che colpisse l'Irlanda, dopo la peste nera. Divamparono il tifo ed altre epidemie e si calcola che un milione di persone, su una popolazione d'otto milioni, morisse di fame e di malattie. Altri milioni di persone lasciarono il paese, almeno la metà, per gli Stati Uniti d'America".

E non solo l'Irlanda fu investita da quel terribile flagello. Risulta che sul mercato di Corps nel Natale del 1846 non si trovavano più le patate. Appunto di "trufas gastas", di patate guaste aveva parlato la Madonna. Ma anche del grano che "toumbarait en poussière", si sarebbe trasformato in polvere. Il prezzo del frumento salì alle stelle e il pane, anziché alimento quotidiano, diventò una leccornia.

San Giovanni Bosco, vissuto in quei tempi, ha scritto al riguardo: "Avvenne di fatti una grande carestia in Francia e sulle strade si trovavano grandi torme di pezzenti affamati, che si recavano, a mille a mille, per le città a questuare; e mentre da noi in Italia incarì il grano in sul far della primavera 1847, in Francia per tutto l'inverno 1846/47 si patì gran fame".

Oltre le patate e il grano, anche le noci e l'uva si sarebbero corrotte. "Les noises vendrent baufas e tous rasins purirent".

Effettivamente, "le noci andarono a male dappertutto".

È ancora San Giovanni Bosco ad attestarlo.

Quanto alle uve, mi permetto di citare il noto scrittore Vittorio Messori: "Scartabellando tra manuali di viticultura e storia agraria, si scopre che proprio l'anno dopo giunse in Francia dall'America un devastante, e sino allora sconosciuto, flagello per la vite: è infatti del 1847 il manifestarsi della crittogama (detta 'oìdio' o 'mal bianco'), un fungo parassita che fa appunto sì che le uve 'marciscano'. Non era che l'inizio,  e proprio cominciando, anche qui, dalla Francia -nel 1868 si manifestò, improvvisa, quella filossera (un pidocchio microscopico), la quale, come osserva il Larousse, 'prese in Francia le proporzioni di un disastro nazionale: oltre la metà dei vigneti fu distrutta e la produzione fu ridotta di due terzi, senza che per il lungo tempo si riuscisse ad arginare il flagello. Non era finita: nel 1878 ecco la peronospera, anch'essa sconosciuta sino ad allora. Ancora Larousse: 'La malattia, originaria dell'America, giunse in Europa – e precisamente in Francia – si diffuse poi in tutti i Paesi dove si coltiva la vite, provocando danni gravissimi".

Veniamo all'altra terribile profezia: la morte improvvisa d'innocenti creature. Risulta – per limitarci a Corps – che nel 1847, in soli tre mesi e mezzo, dall'1gennaio al 12 aprile, morirono 30 bambini, e in tutto quell'anno63, su una popolazione di 1500 abitanti.

"Questi piccoli venivano appunto colti da un tremito in seguito ad un freddo intenso che sentivano e, dopo due o ter ore di questa misteriosa agonia, se ne morivano. Ed i loro cari erano impotenti a portare loro qualsiasi sollievo".

 Tutto o tratto da "I segreti de La Salette" di Monsignor Antonio Galli,  Sugarco Edizioni, tranne […], ed invito a prendere il libro. Continuerò con i messaggi segreti.

 
 




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