'Confessione in crisi perché è sparito il senso del peccato'
Nico Spuntoni in "La Nuova Bussola" – 28 marzo 2023
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Il cardinal Giacomo Biffi diceva che il modo più efficace che abbiamo per vivere la Pasqua ci è dato nel sacramento della Riconciliazione. Non a caso, Giovanni colloca proprio nel contesto pasquale la trasmissione da parte di Cristo del potere di rimettere i peccati. Oggi quello che forse è il sacramento più umano sembra diventato, paradossalmente, il meno popolare. Ma, come sosteneva il cardinale Joachim Meisner, «Dio non si mostra mai così tanto Dio come quando perdona» Per questo, nella Quaresima che è il tempo penitenziale per eccellenza, La Nuova Bussola Quotidiana ha voluto approfondire la storia e le caratteristiche del sacramento della Riconciliazione in un dialogo con il domenicano Serge-Thomas Bonino, già segretario Generale della Commissione Teologica Internazionale ed attualmente presidente della Pontificia Accademia di S. Tommaso d'Aquino nonché decano della Facoltà di Filosofia dell'Angelicum.
Padre, possiamo dire che quello della penitenza è un sacramento pasquale?
La Pasqua è la fonte di tutti i sacramenti nel senso che è il mistero della nostra redenzione e questa redenzione ci viene applicata attraverso i sacramenti.
Il Battesimo è partecipazione alla morte e Resurrezione di Cristo, l'Eucarestia è la presenza stessa del mistero della Pasqua di Gesù in mezzo a noi, mentre la penitenza è un sacramento che trova la propria fonte nel mistero della croce e nella Resurrezione di Cristo. La penitenza è in qualche modo più legata al mistero della Passione perché la fonte della misericordia è il cuore aperto di Cristo sulla croce quindi è là che troviamo il perdono dei peccati. Solo Dio perdona i peccati perché il peccato, anche se è contro il prossimo o contro sé stessi, è sempre un'offesa a Dio.
Come spiegherebbe esaustivamente la differenza tra peccato veniale e mortale?
Premesso che tutti i peccati sono un'offesa a Dio, c'è una differenza fondamentale tra il peccato mortale e quello veniale. Il peccato in senso proprio è quello mortale, mentre il peccato veniale è un'applicazione analogica della nozione di peccato. Io per far capire agli studenti la differenza uso quest'immagine: il peccato veniale è come quando, durante il cammino per raggiungere una meta, ti fermi un po' ma conservi la direzione giusta. Vale a dire, nel linguaggio teologico, la tua volontà rimane fissa sull'ultimo fine che è Dio stesso. Invece il peccato mortale è quando cambi direzione e ne imbocchi una sbagliata. In questo caso, il fine ultimo non è più Dio. A ciò corrisponde la definizione forte di san Tommaso per il quale il peccato è "aversio a Deo et conversio ad creaturam", ovvero è volgere le spalle a Dio per seguire una creatura, che in genere sei te stesso.
Facciamo un excursus storico sul sacramento della penitenza...
I sacramenti si dividono in sacramenti di legge naturale, di legge antica e cristiani. Nello stato di natura c'era la virtù di penitenza, ma non era un sacramento nel senso cristiano. Il re Davide faceva penitenza per il suo peccato e c'erano confessioni pubbliche nell'Antico Testamento del popolo che riconosceva di aver abbandonato Dio. Ma la confessione in senso stretto, personale, è un sacramento cristiano.
Com'è cambiata nel corso del tempo?
Il sacramento della penitenza ha conosciuto un'evoluzione molto complessa. La confessione per come la conosciamo oggi è abbastanza recente. Prima c'era la penitenza pubblica, poi furono i monaci missionari irlandesi (tra la fine del VI e l'inizio del VII secolo, ndr) che hanno cambiato profondamente le cose.
In che modo?
Fino ad allora bisognava fare la penitenza prima di ricevere l'assoluzione. E non una penitenza da poco! L'iter consisteva nell'andare a dire al vescovo il tuo peccato: non era necessariamente una confessione davanti a tutti, ma poco ci mancava! A quel punto si entrava nell'ordine dei penitenti che durante la Quaresima non accedevano in chiesa, rimanevano fuori in un posto particolare ed erano reintrodotti il giorno di Pasqua. L'evoluzione c'è stata con i monaci missionari irlandesi che hanno iniziato a dare l'assoluzione prima e che hanno diffuso la cosiddetta penitenza tariffata, in base a dei libri che prevedevano una determinata penitenza per ogni peccato.
Che tipo di penitenze?
Soprattutto giorni di digiuno. Da questo viene la pratica delle indulgenze. In ogni caso, a partire da questo momento, il penitente otteneva l'assoluzione prima di fare la penitenza.
Quando abbiamo l'imposizione universale della confessione privata?
La data fondamentale è il 1215 con il Concilio Lateranense IV che obbliga ogni cristiano a confessarsi almeno una volta all'anno. Questa è stata una rivoluzione anche dal punto di vista della civiltà perché a partire da questo momento in Occidente la gente faceva l'esame di coscienza. Questa svolta fece sì che ci fosse una ricerca della purificazione della coscienza in tutta Europa e, non a caso, all'interno degli ordini mendicanti fondati nel Duecento il primo ministero da esercitare era la confessione perché ovunque c'era una domanda incredibile. Fu un momento importante per tutto il continente perché fu allora che "esplose" il senso morale della gente.
Oggi, invece, le statistiche ci raccontano una situazione completamente diversa. Come si spiega la crisi che ha investito il sacramento della penitenza?
Ci sono diversi motivi, ma il motivo teologico più profondo è la perdita del senso del peccato. E poi questa idea che la confessione sia stata un mezzo del controllo del clero sulla gente. Molti laici si sentono responsabili e pensano di averne bisogno. Questo avviene soprattutto dopo aver incontrato confessori che non sono sempre stati discreti, ponendo delle domande che mettevano la gente a disagio a volte. Ecco, quando si parla di clericalismo, diciamo che il confessionale è uno dei posti in cui poteva purtroppo essere esercitato.
Non crede che un ruolo possa giocarlo anche questa idea ormai diffusa di un'assoluzione scontata in confessione?
Non è scontata. Normalmente, ci sono casi in cui il sacerdote deve rifiutare l'assoluzione. Deve farlo quando la persona rifiuta di pensare a cambiare. Tu non puoi sempre chiedere un cambiamento radicale attuale: se c'è proposito di cambiare, va data l'assoluzione.
Il sacerdote deve valutare se c'è il proposito di cambiare e di evitare le occasioni di peccato. Ma se la persona ti dice di non essere assolutamente disponibile, tu devi rifiutare. Non è cosa facile, ma è dovere del sacerdote farlo.
In confessionale deve prevalere la misericordia o la giustizia?
Non si contraddicono. Nella visione cristiana la giustizia è dentro la misericordia. La misericordia viene per prima, però suppone la giustizia e non le va mai contro. Ad esempio una persona che ha rubato: deve restituire, sennò non può ricevere il perdono di Dio. Perché la misericordia è offerta a chi si pente. Chi invece va a confessarsi ma non si pente, fa peccato di presunzione – come diceva san Tommaso – vale a dire vuole ricevere il perdono senza convertirsi. Questo è un peccato contro la speranza. La speranza è che Dio è pronto a perdonarti se sei pronto a riprendere un cammino giusto, però se non c'è questa volontà di convertirsi la confessione non è un atto magico.
A questo proposito, come si può prevenire nel fedele l'errore sempre più diffuso di scambiare il confessore per uno psicoterapeuta?
È una questione di pedagogia. La gente non sa confessarsi e ci va come se andasse a trovare uno psicologo. Tu vieni a confessare i tuoi peccati, non a raccontare la propria vita. Puoi farlo, ma il momento della confessione non è il contesto giusto. Prevenire ciò fa parte del discernimento del sacerdote. La confessione è quando sei pronto ad inginocchiarti e dire: "Ho peccato". Sta nell'arte del sacerdote portare a poco poco il fedele dal racconto di fatti personali ad una vera confessione.
Crede che sia un problema legato anche alla scarsa conoscenza del Catechismo tra i cattolici stessi?
Certo! Perché questo succede se non c'è un insegnamento che ti dice che la confessione è questa. Tu devi venire a confessare i tuoi peccati ed individuare i tuoi peccati, senza cadere negli scrupoli. Generalmente, a catechismo e nelle scuole i bambini dovrebbero imparare come ci si confessa. Spesso però non si fa e così è sempre più comune che quando ci si va a confessare, si parla dei fatti personali. Ma questo non è il sacramento della penitenza in senso giusto.
In questo tempo di Quaresima, che consigli si sente di dare per una preparazione adeguata alla confessione?
Ci si deve preparare prima di tutto vivendo la liturgia. Ad esempio nel Venerdì Santo, mettersi davanti al mistero di Cristo che dà la propria vita per i nostri peccati. Non c'è modo migliore che mettersi di fronte alle grandi verità della fede e guardare la propria vita alla luce di queste grandi verità, ad esempio durante la Domenica delle Palme, pensando a ciò che Cristo ha fatto per noi.
Poi c'è la preparazione più personale che ognuno può fare a modo suo, magari con l'aiuto di alcuni libri. Ci sono messali ben fatti con un elenco di domande che aiutano a fare bene la confessione. Ci si può aiutare anche con la Scrittura per fare un buon esame di coscienza e dunque rispondere a domande sulla vita di preghiera, la relazione con gli altri, la padronanza di sé. Penso sia utile.
Lo ha sperimentato anche nella sua vita religiosa?
Sì, ad esempio quando mi sono occupato di scout avevo fatto delle liste che poi preparavamo insieme per identificare i peccati. Ci sono peccati che i giovani spesso non ritengono tali, come ad esempio lo stesso non confessarsi per lungo tempo. Queste liste aiutavano la loro comprensione. Altri, invece, anziché dai peccati preferiscono partire dalle beatitudini per fare l'esame di coscienza: sono stato povero di spirito? Sono stato puro? Ho accettato le contraddizioni a nome di Cristo? Anche questo è un buon metodo, ognuno ha il suo ma l'importante è che si faccia perché bisogna senza essere preparati prima di recarsi al confessionale. L'educazione necessaria è un'educazione al senso del bene e del male. Molto spesso ho avuto esperienza di persone che si vengono a confessare, specialmente nel periodo pasquale, ma non sanno cosa dire. Significa che sono persone che non hanno riflettuto sulla loro vita, sui passi sbagliati. Dobbiamo incentivare la gente a riflettere sul fatto che è responsabile delle scelte della propria vita, non solo quelle grandi ma anche quelle piccole.
Papa Francesco nella bolla Misericordiae vultus ha scritto: «Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono». Sta qui il cuore della vita cristiana che si esprime nella confessione: nel perdono?
Noi abbiamo la certezza che la prima risposta di Dio al male è sempre il perdono. Ciò non impedisce che Dio sia giusto e che chi vuole permanere nel peccato sarà punito. Però il Vangelo insegna che di fronte al male che avevamo fatto, Dio ci ha dato il proprio Figlio. L'immagine che ritengo più forte dal punto di vista spirituale è questa: quando il peccato diviene più forte, il simbolo della profondità del peccato è il colpo di lancia nel cuore di Gesù. In quel momento esce l'acqua e il sangue che sono il simbolo del perdono di Dio, sangue e acqua che ci purificano. Quando offendiamo Dio, Lui propone subito la misericordia. Possiamo rifiutarla, ma lui la propone.
Al momento giusto, nell'attimo in cui Lo offendiamo, Lui ci dà la vita. Non perché lo offendiamo, ma la risposta per vincere il male – e questo è un tema caro a San Giovanni Paolo II - è il perdono. Quando questo non funziona, allora ristabiliamo la giustizia attraverso le pene. Ma il modo di risanare il male è il perdono. Questo è il cuore del Vangelo. San Paolo dice ai Romani che la prova che Dio ci ama sta nel fatto che quando eravamo peccatori, proprio in quel momento ha mandato il proprio Figlio a dare la vita per noi. Questa è la misericordia che è l'attributo principale di Dio.
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