Perché Ratzinger parla pur nella difficile situazione e non normata di Papa emerito


C'è un filo rosso che lega tutti gli interventi di Benedetto XVI dopo la rinuncia: l'allarme per un Chiesa pronta a cedere allo spirito del tempo. La rivolta tedesca e i rischi concreti di uno scisma.

Matteo Matzuzzi "Il Foglio Quotidiano" 18 gennaio 2020

Che il vecchio Benedetto XVI lavori al lume di una candela accesa nel monastero di Mater Ecclesiae per destabilizzare il successore Francesco è una trama che risulterebbe banale anche per una delle tante produzioni cinematografiche sui due Papi oggi così alla moda. Non sarebbe nel suo stile né, a quanto è dato sapere, lo pensa l'attuale Pontefice regnante, che deve far fronte a problemi ben più impellenti e seri che inalberarsi per le copertine di libri. Sarebbe quindi un buon e utile esercizio capire perché l'emerito, di tanto in tanto, dai Giardini vaticani faccia sentire la sua voce tramite pubblicazioni di saggi e libelli. Intanto non è vero – come la vulgata racconta dal fatale 2013 – che Benedetto XVI, quando comunicò al mondo che sarebbe salito sul monte, disse che non avrebbe più aperto bocca. "Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che vorrei vivere sempre", sottolineò il 27 febbraio del 2013, sua ultima udienza generale in piazza San Pietro. Preghiera e riflessione, e non è necessario interpellare un biografo di Ratzinger per capire in cosa si sarebbe tradotta la "riflessione" nella vita quotidiana di un uomo che trovò il tempo di scrivere una trilogia su Gesù di Nazareth mentre l'ultima parte del suo pontificato era scossa da furti nel secrétaire personale e goffe accuse di aver protetto mascalzoni della peggior specie. 

Lasciar da parte le velenose insinuazioni su quanto di suo ci sia in quelle pubblicazioni – chiacchericcio utile forse per alimentare qualche conversazione fondata sul gossip -e mettendo in fila l'una dopo l'altra le uscite ratzingeriane di questi ultimi anni, si scopre che tra le righe ricorre sempre un obiettivo fisso: la deriva periscismatica della chiesa tedesca. È lì che Benedetto XVI individua il potenziale detonatore di un ordigno che potrebbe creare una falla così ampia nella Barca petrina da non essere più riparabile. I continui assalti a Roma che provengono da oltralpe, il picchiettare continua sull'autorità, alla maniera della goccia cinese, sono sì una costante nella storia della chiesa, ma ora sembra che tutto stia accelerando verso traguardi ignori.

Quasi due anni fa, rifiutando di scrivere un commento a undici volumetti sulla teologia di Francesco, il papa emerito spiegò il diniego - di cui inizialmente la comunicazione vaticana non diede conto, fatto che portò alla caduta del prefetto Dario Viganò – con la presenza tra gli autori dei Peter Hunermann, teologo che "durante il mio pontificato si è messo in luce per aver capeggiato iniziative antipapali. Egli – scriveva Benedetto XVI – partecipò in misura rilevante al rilascio della Kolner Erklarung che, in relazione all'enciclica Veritatis splendor, attaccò in modo virulento l'autorità magisteriale del papa specialmente su questioni di teologia morale. Anche la Europaische Theologensellschaft, che egli fondò, inizialmente da lui fu pensata come un'organizzazione in opposizione al magistero papale". La Kolner Erklarung, "dichiarazione di Colonia", è una macchia indelebile che a Ratzinger provoca cattivi pensieri fin da quando fu messa agli atti, trent'anni fa. Era la rivolta di oltre duecento tra teologi, docenti e filosofi contro il governo di Giovanni Paolo II, autocrate il cui stile s'era visto allorché impose Joachim Meisner sulla cattedra di Colonia contro il parere della forte ala del cattolicesimo progressista locale. La risposta che arrivò da Roma fu decisa – il Papa è il Papa e a lui si obbedisce – e a condurla in prima persona fu il prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger. Da lì uno stillicidio perpetua che a intervalli più o meno costanti faceva sentire la sua presenza a Roma. Richieste pressanti al papa e dichiarazioni pubbliche sempre volte a innovare, modificare, aggiornare. Come quando negli anni Novanta tre vescovi, Walter Kasper, Karl Lehmann e Oskar Saier scrissero a Giovanni Paolo II perché si decidesse a riammettere alla comunione i divorziati risposati, ricevendo un no che allora si credeva definitivo. O come nove anni fa, quando 143 teologi tedeschi, austriaci e svizzeri firmarono il documento: "Chiesa 2011: una svolta necessaria" che chiedeva una "profonda riforma" della chiesa cattolica. Nel dettaglio, i desiderata andavano dalla  fine dell'obbligo del celibato alla ordinazione sacerdotale delle donne, dall'archiviazione del "rigorismo morale" al coinvolgimento del popolo di Dio nella scelta dei vescovi per uscire dalla "paralisi dell'autoreferenzialità". Il Papa non era più Wojtyla, ma Ratzinger, che rispose indirettamente con un'omelia pronunciata in San Pietro entro le firme s'aggiungevano, l'una dopo l'altra, a tale documento: "Il pastore non deve essere una canna di palude che si piega secondo il soffio del vento, un servo dello spirito del tempo"; "l'essere intrepido, il coraggio di opporsi alle correnti del momento appartiene in modo essenziale al compito del pastore".

Ma lo spettro della Dichiarazione del 1989 accompagnò Benedetto anche nella quiete dei Gardini vaticani, dove ha scelto di abitare dopo la rinuncia. Così, meno d'un anno fa, dava al mensile cattolico bavarese Klerusblatt il suo contributo di pensiero sulla piaga degli abusi, che nella volgare banalizzazione mediatica divenne un j'accuse al 1968 colpevole d'aver originato la pedofilia nella chiesa. In quel testo, che in realtà era primariamente la constatazione che il problema del mondo è l'assenza di Dio, il papa emerito tornava a Colonia, scrivendo che "sul finire degli anni 80 e negli anni 90 la crisi dei fondamenti e della presentazione della morale cattolica raggiunse forme drammatiche. Il 5 gennaio 1989 fu pubblicata la 'Dichiarazione di Colonia' firmata da 15 professori di teologia cattolici che si concentrava su diversi punti critici del rapporto fra magistero episcopale e compito della teologia. Questo testo, che inizialmente non andava oltre il livello consueto delle rimostranze, crebbe tuttavia molto velocemente sino a trasformarsi in grido di protesta contro il magistero della Chiesa, raccogliendo in modo ben visibile e udibile il potenziale di opposizione che in tutto il mondo andava montando contro gli attesi testi magisteriali di Giovanni Paolo II", che rispose con l'enciclica Veritatis splendor. Aggiungeva Ratzinger che "il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale, da lungo tempo preparato e che è incorso, negli anni 60 (…) ha conosciuto una radicalità come mai c'era stata prima di allora. Questa dissoluzione dell'autorità dottrinale della Chiesa in materia morale doveva necessariamente ripercuotersi anche nei diversi spazi di vita della Chiesa". "In diversi seminari si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari. In un seminario della Germania meridionale i candidati al sacerdozio e i candidati all'ufficio laicale di referente pastorale vivevano insieme ai referenti pastorali coniugati in parte accompagnati da moglie e figli e in qualche caso da fidanzate. Il clima nel seminario non poteva aiutare la formazione sacerdotale. La Santa Sede sapeva di questi problemi, senza esserne informata nel dettaglio". "Vi furono singoli vescovi – non solo negli Stati Uniti d'America – che rifiutarono la tradizione cattolica nel suo complesso mirando nelle loro diocesi a sviluppare una specie di nuova, moderna 'cattolicità'. Forse vale la pena accennare al fatto che, in non pochi seminari, studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano considerati non idonei al sacerdozio. I miei libri venivano nascosti come letteratura dannosa e venivano per così dire letti sottobanco".

Ma quanto torto aveva Joseph Ratzinger nell'individuare la Germania come il punto d'origine di un possibile, nuovo scisma nella cattolicità? Tra pochi giorni, dal 30 al 1° febbraio, si terrà la prima delle due grandi conferenze del "Sinodo vincolante" inaugurato nelle scorse settimane e preparato durante tutto il 2019, con l'approvazione manifesta della quasi totalità dei vescovi tedeschi (solo tre hanno votato contro, tra cui spicca il cardinale arcivescovo di Colonia, Rainer Maria Woelki). I temi sono quelli noti: autorità, partecipazione e separazione dei poteri; forma della vita sacerdotale; le donne nei ministeri della chiesa; la moralità sessuale. A Roma si sono spaventati e se prima si evitava di replicare alle intemerate che giungevano dalla sponda orientale del Reno, pensando che tutto sarebbe rientrato, dalla scorsa estate qualcosa è cambiato. Prove ne sono le due lettere partite dal Vaticano in cui si chiarisce che di vincolante non può esserci proprio nulla, visto che la chiesa tedesca non è autocefala e questa non è la chiesa ortodossa. Ci aveva pensato prima Papa Francesco in persona, ricordando ai presuli tedeschi che "ogni volta che una comunità ecclesiale ha cercato di uscire dai suoi problemi da sola, affidandosi soltanto alle proprie forze, metodi e intelligenza, ha finto per moltiplicare e alimentare i mali che voleva superare".

Dalla Germania sono giunte rassicurazioni – molto di rito – sul fatto che nulla sarebbe cambiato senza il via libera da Roma, cum Petro e sub Petro, fedeltà e obbedienza eccetera. Poi, però, appena le acque si calmano e l'attenzione mediatica si sposta su altro, copertine di libri o firme di autori, il progetto riemerge in tutta la sua forza e chiarezza. Non c'è nulla di nuovo, il canovaccio è lo stesso da decenni, cambiano solo le forme e la presentazione, perché lo spirito del tempo evolve anch'esso. Così, ai primi di dicembre l'arcivescovo di Berlino mons. Heiner Koch, ha detto che "il processo sinodale deve iniziare senza alcuna posizione di pregiudizio" ma con "un'apertura che tenga conto degli ultimi sviluppi scientifici". E questo perché "la chiesa deve considerare gli ultimi sviluppi scientifici e teologici sulla sessualità umana". E mentre i vescovi discutono di come aggiornare e adeguare la morale, diverse organizzazioni diocesane – finanziate con i proventi della Kirchensteuer, la tazza che i battezzati devono pagare – ribadiscono l'esigenza di cambiare l'insegnamento della chiesa rispetto alle unioni omosessuali e all'ordinazione delle donne. Uno di questi gruppi, ha scritto di recente Aciprensa, ha addirittura suggerito di approvare l'aborto quando "una donna o una coppia hanno deciso di farlo". L'Associazione delle donne cattoliche tedesche (KFD) ha chiesto che si dia il via libero all'ordinazione sacerdotale delle donne, ma intanto potrebbero accontentarsi di avere le diaconesse, "un primo gesto apprezzabile" he va nella direzione sperata. Dopotutto, la direzione l'ha indicata il Sinodo sull'Amazzonia, che ha aperto una strada che solo un ingenuo potrebbe ritenere circoscritta alla rete fluviale del grande fiume sudamericano. Non si tratta di ipotesi giornalistica, ma d'una constatazione fatta da un vescovo, Mons. Franz-Joseph Overbeck, a giudizio del quale il Sinodo amazzonico "è un punto di non ritorno per la chiesa e nulla ora sarà come prima". L'esortazione del Papa che verosimilmente accoglierà la richiesta dei padri sinodali di ordinare "sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile" è imminente, ma non sono pochi quanti ritengono che una tale soluzione non potrà restare circoscritta a una sola regione del pianeta. È questione di mera logica che una riga, magari una noterella a piè pagina, confermerà. E Joseph Ratzinger lo sa bene.


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