La Fede è conoscenza

Non siamo più servi di una legge morale ma amici della Verità e dell’Amore in persona

“L’esegesi liberale dice che in questo Vangelo (Mc 7, 1-8.14-15.21-23) si rivelerebbe il fatto che Gesù avrebbe sostituito il culto con la morale. Egli avrebbe accantonato il culto con tutte le sue pratiche inutili. Il rapporto tra l’uomo e Dio si baserebbe ora unicamente sulla morale (servi della Legge). Se ciò fosse vero significherebbe che il cristianesimo, nella sua essenza è moralità – che cioè noi stessi ci rediamo puri e buoni mediante il nostro agire morale…questa non può essere la risposta completa di Gesù…dobbiamo leggere interamente i Vangeli, tutto il Nuovo Testamento e l’Antico insieme con esso… “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). Colui al quale è rivelato tutto, appartiene alla famiglia; non è più servo, ma libero perché appunto fa parte egli stesso della casa. Una simile, iniziale introduzione nel pensiero di Dio stesso è avvenuta già in Israele presso il monte Sinai. E’ avvenuta poi in modo definitivo e grande nel Cenacolo e, in genere, mediante l’opera, la vita, la passione e la risurrezione di Gesù; in Lui Dio ci ha detto tutto, si è manifestato completamente. Non siamo più servi, ma amici. E la Legge non è più una prescrizione per persone non libere, ma è il contatto con l’amore di Dio – l’essere introdotti a far parte della famiglia, atto che ci rende liberi e “perfetti”…Il Signore ci ha generati per mezzo della sua Parola, che Egli ha piantato la sua parola nel nostro intimo come forza di vita. Qui (Gc 1,17-18.21b.22.27) si parla anche della “religione pura” che consiste nell’amore verso il prossimo – particolarmente verso gli orfani e le vedove, verso coloro che hanno più bisogno di noi – e nella libertà di fronte alle mode di questo mondo, che ci contaminano. La Legge, come parola dell’amore, non è una contraddizione alla libertà, ma un rinnovamento dal di dentro mediante l’amicizia con Dio. Qualcosa di simile si manifesta quando Gesù, nel discorso della vita, dice ai discepoli: “Voi siete puri, a causa della parola che vi ho annunciato” (Gv 15,3). E un’altra volta appare la stessa cosa nella Preghiera sacerdotale: Voi siete consacrati nella verità (Gv 17,17-19). Così troviamo ora la giusta struttura del processo di purificazione e di purezza: non siamo noi a creare ciò che è buono – questo sarebbe un semplice moralismo -, ma la Verità ci viene incontro. Egli stesso è la Verità, la Verità in persona. La purezza è un avvenimento dialogico. Essa inizia col fatto che Egli ci viene incontro – Egli, che è la Verità e l’Amore -, riprende per mano, compenetra il nostro essere. Nella misura in cui (sacramentalmente, nella via umana) ci lasciamo toccare da Lui, in cui l’incontro diventa amicizia e amore, diventiamo noi stessi, a partire dalla sua purezza, persone pure e poi persone che amano con il suo amore, persone che introducono altri nella sua purezza e nel suo amore” (Benedetto XVI, Omelia ai suoi ex alunni, 30 agosto 2009).

Esiste tra noi la gioia per il fatto della vicinanza liturgica di Dio, per il dono della sua Parola e del suo Amore, di poter conoscere la sua volontà e di ricevere in dono la sapienza che ci guarisce dall’oscuramento della coscienza, sapienza che non possiamo trovare da soli? Chi solo azzarda mostrare una tale gioia sarebbe ben presto accusato di trionfalismo. Ma, appunto, non è la nostra abilità ad indicarci la vera volontà di Dio. E’ un dono immeritato attraverso la mediazione sacramentale che ci rende allo stesso tempo umili e lieti. Se riflettiamo sulla perplessità del mondo di fronte alle grandi questioni del presente e del futuro, allora anche dentro di noi dovrebbe sbocciare nuovamente la gioia per il fatto che Dio ci ha mostrato gratuitamente il suo volto, la sua volontà, se stesso. Se questa gioia riemergerà in noi nel tentare e ritentare di osservare la sua volontà, essa toccherà anche il cuore dei non credenti. Senza questa gioia noi non siamo convincenti. Dove, però, tale gioia è presente, essa – anche senza volerlo – possiede una forza missionaria. Suscita, infatti, negli uomini la domanda se non si trovi forse veramente qui la via – se questa gioia anche in un presente faticoso non guidi forse effettivamente sulle tracce di Dio stesso cioè sulla via verso il futuro.

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