Fedeltà

Urge lavorare non per se stessi ma per la comunità, per il bene comune

“L’ordinazione episcopale è un evento di preghiera. Nessun uomo può rendere un altro sacerdote o vescovo. E’ il Signore stesso che, attraverso la parola della preghiera e il gesto dell’imposizione delle mani, assume quell’uomo totalmente al suo servizio, lo attira nel suo stesso Sacerdozio. Egli stesso consacra gli eletti. Egli stesso, l’unico Sommo Sacerdote, che ha offerto l’unico sacrificio per tutti noi, gli concede la partecipazione al suo Sacerdozio, affinché la sua Parola e la sua opera siano presenti in tutti i tempi… Durante la preghiera di Ordinazione si apre sul candidato l’Evangeliario, il Libro della Parola di Dio. Il Vangelo deve penetrare in lui, la Parola vivente di Dio deve, per così dire, pervaderlo.

Il Vangelo, in fondo, non è solo parola- Cristo stesso è il Vangelo. Con la Parola, la stessa vita di Cristo deve pervadere quell’uomo, così che egli diventi interamente una sola cosa con Lui, che Cristo viva in lui e dia alla sua vita forma e contenuto…Il primo ed essenziale bene di cui abbisogna l’uomo è la vicinanza di Dio stesso. Il regno di Dio non è qualcosa “accanto a Dio”, una qualche condizione del mondo: è semplicemente la presenza di Dio stesso, che è la forza veramente risanatrice.

Gesù ha riassunto tutti questi molte0lici aspetti del suo Sacerdozio nell’unica frase: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Servire e in ciò donare se stessi; essere non per se stessi, ma per gli altri, da parte di Dio e in vista di Dio: è questo il nucleo più profondo della missione di Gesù Cristo e, insieme la vera essenza del suo Sacerdozio…La prima caratteristica, che il Signore richiede dal servo, è la fedeltà.

Gli è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene. La Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato. Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Con ciò li introduciamo alla verità e nella libertà, che deriva dalla verità La fedeltà è altruismo, e proprio così è liberatrice del ministero stesso e per quanto gli sono affidati. Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità…

La fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste proprio anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole dobbiamo portare alla gente. Esse sono il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creatrice” (Benedetto XVI, Omelia dell’Ordinaznioe Episcopale, 12 settembre 2009).

Benedetto XVI ha mostrato le “tre caratteristiche” che un vescovo o sacerdote deve avere per servire, incarnare nel modo giusto l’unico sacerdozio di Cristo: “Fedeltà”, “prudenza” e “bontà”.

Il servo fedele sa che “gli è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene”. Perché “la Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa di Dio”. Allora “Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo glii uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente”. A questo non possono pensare i vescovi, “la fedeltà è altruismo””. Certo si tratta di una “fedeltà dinamica”, aggiunge il pontefice, non bisogna rimanere inerti: “Il padrone rimprovera il servo, che aveva nascosto sottoterra il bene consegnatogli per evitare ogni rischio”. Ma bisogna anche evitare compromissioni mondane: “Un greco, la parola che indica “fedeltà” coincide con quella che indica “fede”.

Servi fedeli, quindi, ma anche “prudenti” e “buoni”. E”qui bisogna subito eliminare un malinteso”, chiarisce Benedetto XVI: “La prudenza è ima cosa diversa dall’astuzia”, rappresenta “la prima virtù cardinale”, indica “il primato della verità” e ricerca “anche la verità scomoda”. Altruismo e coraggio della verità insomma: “Non ci lasciamo guidare dalla piccola finestra della nostra personale astuzia, ma dalla grande finestra, che Cristo ci ha aperto sull’intera verità, guardiamo il mondo e gli uomini e riconosciamo così che cosa conta veramente nella vita”. Per questo è decisiva anche la bontà:”La bontà presuppone soprattutto una viva comunione con Dio, una crescente unione con Lui. E di fatto: da chi altri si potrebbe imparare la vera bontà se non da Colui, che ci ha amato sino alla fine, sino all’estremo?”. Più che a litigi e correnti, un vescovo deve badare a ben altre ferite: “Come i 72 discepoli mandati dal Signore, egli deve essere uno che porta guarigione, che aiuta risanare la ferita interiore dell’uomo, la sua lontananza da Dio”.

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