Cordes, il vero cruccio di Ratzinger la dimenticanza di Dio

Per Benedetto XVI la dimenticanza di Dio è "il problema del nostro tempo"

Nico Spuntoni in "La Nuova Bussola" – 10 gennaio 2024

Il cardinale Cordes

Per spiegare l'intensità del legame tra Benedetto XVI e il cardinale Paul Josef Cordes (nella foto, di W. Redzioch) è sufficiente sapere che a quest'ultimo sono stati donati diversi oggetti personali appartenuti all'amatissimo fratello Georg Ratzinger dopo la morte avvenuta nell'estate del 2020. Il presidente emerito del Pontificio Consiglio "Cor Unum", a lungo considerato il "protettore" dei movimenti ecclesiali in Curia, è stata una delle figure più familiari a Joseph Ratzinger in Vaticano dall'arrivo all'ex Sant'Uffizio fino agli ultimi giorni al Mater Ecclesiae.

In comune non avevano soltanto la nazionalità tedesca ma anche quel marchio di fedeltà a Roma che è valso, sia all'uno che all'altro, l'ostilità di molti connazionali vescovi e dirigenti delle organizzazioni laicali, ma anche l'incondizionata stima di san Giovanni Paolo II. A chi, dalla Germania, era abituato ad invocare una Chiesa chiamata ad aprirsi indiscriminatamente alla società, Ratzinger e Cordes hanno opposto l'allarme di una società sempre più segnata da una dimenticanza di Dio. Il cardinale tedesco, oggi 89enne e che da poco ha festeggiato i 62 anni dall'ordinazione sacerdotale, ha ricordato in quest'intervista alla Bussola l'amico divenuto Papa e che di lui diceva: «È un uomo dalla definitiva decisione».

 

Eminenza, che opinione aveva del professor Ratzinger quando era ancora un giovane studente di teologia?

Ho incontrato per la prima volta Joseph Ratzinger quando ero studente di teologia al Collegium Leoninum di Paderborn, nel 1959. Venne a parlare dell'imminente Vaticano II. Nella discussione che seguì, le sue risposte mi stupirono. Esse erano così esaurienti che mi venne in mente un pensiero: ha risposto alle nostre domande sul momento o le sapeva prima che venissero sollevate? Nelle sue diverse considerazioni mi fece un'impressione di grande intelligenza. Fu semplicemente brillante! Questo fu l'impulso che mi spinse a leggere i suoi scritti. 

 

È vero che il cardinale Ratzinger divenne prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede anche grazie a lei?

Non posso dare una risposta sicura a questa domanda. Ma posso dire questo: il cardinale Ratzinger fece il relatore generale del Sinodo dei vescovi sulla famiglia nel 1980, soggiornando nel Collegio Teutonico in Vaticano. Nel novembre del 1980, poco dopo la conclusione del Sinodo, tornò da Monaco per recuperare alcuni oggetti personali che aveva lasciato nella sua residenza in Collegio. Ci incontrammo in ascensore. Gli dissi un po' sfacciatamente: "Signor Cardinale, si dice che il Papa la chiamerà presto a Roma". Mi rispose: "A meno che Papa Giovanni Paolo non me lo chieda esplicitamente, resterò a Monaco". Poiché sospettavo che quella fosse l'intenzione del Papa e il brillante teologo mi sembrava una grande risorsa per la Curia, subito dopo l'incontro chiamai il segretario di fiducia del Papa, monsignor Stanislao Dziwisz, e gli riferii le parole del cardinale Ratzinger.  

 

Lei - come ha riconosciuto anche monsignor Georg Gänswein nel suo ultimo libro - è stato l'ispiratore della "Deus Caritas est". Ci può raccontare cosa c'entra Bressanone con quella che sarebbe diventata la prima enciclica di Benedetto XVI?

Nel novembre del 1999, Papa Giovanni Paolo II mi incaricò di formulare un documento sulle possibilità e le moderne distorsioni della carità ecclesiale. Dopo un lungo periodo di lavoro con specialisti, ho prodotto una bozza che ho presentato al cardinale Ratzinger. Lui l'ha controllata e corretta. Poi l'ho inviata alla Segreteria di Stato. La loro reazione mi ha sorpreso. Ricevetti la risposta che la bozza non era adatta a una direttiva papale e venivo invitato ad interrompere il lavoro sul documento. Fortunatamente, fui presto in grado di informare il cardinale Ratzinger di questo brusco rifiuto. Nell'estate del 2004 era in vacanza a Bressanone, dove anch'io fuggivo ogni anno dal caldo romano. Mi dettò subito una risposta in cui difendeva la questione e la bozza.

Ma questo non ha affatto spianato la strada all'enciclica sulla Caritas. Grazie a Dio, possiamo dire a posteriori. Perché appena due giorni dopo la sua elezione a Papa, incontrai Benedetto XVI nella residenza vaticana "Santa Marta", dove alloggiava all'inizio del suo pontificato. E come se avesse intuito i miei pensieri, alla seconda frase mi chiese: "E cosa ne sarà della nostra enciclica?". Ero felicissimo che volesse affrontarla di nuovo. E chiunque conosca l'impulso teologico di base di Ratzinger non sarà sorpreso dal fatto che abbia dato al testo precedente un volto completamente nuovo: la prima metà dell'enciclica ora si occupa esclusivamente della questione di Dio. Ciò dimostra ancora una volta come questo Ratzinger teologo non soffra probabilmente di altro che della moderna dimenticanza di Dio.     

 

Il secondo segretario di Benedetto XVI, monsignor Alfred Xuereb ha raccontato nel suo libro un episodio curioso che la vide protagonista in un'udienza ai partecipanti della plenaria del Pontificio Consiglio "Cor Unum" nel 2008. Ce lo può raccontare?

La mia nomina a presidente del Cor unum, nel dicembre 1995, comportava la partecipazione alle riunioni plenarie annuali di questo dicastero, il cui momento culminante è sempre stato il ricevimento del Papa. Spettava a me, come presidente, pronunciare il discorso di benvenuto al successore di Pietro. Era sempre un momento solenne che mi rendeva agitato. Una volta, con Papa Benedetto, non riuscivo a trovare gli occhiali da lettura nella talare. Frugai nelle varie tasche, senza successo. Il Santo Padre aveva evidentemente scoperto il mio contrattempo, così consegnò i suoi occhiali al suo segretario, monsignor Gänswein, che li diede a me. Benedetto rideva. Io, invece, ero imbarazzato e gli dissi in seguito: "Santo Padre, mi scuso per la mia disavventura; sono molto imbarazzato". Lui rispose: "Queste piccole umiliazioni sono utili per la crescita spirituale".     

 

 

Benedetto XVI è stato spesso criticato da vescovi e teologi tedeschi. Lei che è tedesco: perché anche per lui è valsa la famosa espressione "nemo propheta in patria"?

La reazione iniziale al viaggio di Papa Benedetto XVI in Germania nel 2005 è stata di puro entusiasmo. Uno dei giornali più venduti del Paese titolava "Siamo Papa". Chiunque ricordi l'entusiasmo suscitato durante la sua visita in barca sul Reno capirà la domanda ammirata di un giornalista: il celebre Papa si sarà certamente reso conto durante la sua visita a Colonia "che i giovani sono incredibilmente ricettivi, che lei personalmente è stato accolto molto bene". 

Al terzo viaggio, tuttavia, il clima di approvazione era completamente cambiato. Coloro che da tempo non vedevano di buon occhio l'entusiasmo provocato dal Papa in Germania hanno trovato il loro argomento, dopo l'accoglienza in Baviera, nella citazione dell'imperatore bizantino Manuele II Palaiologosall'Università di Ratisbona, che a loro modo di vedere criticava l'islam. L'aggressione contro Benedetto ha probabilmente raggiunto il suo culmine più tardi, durante il suo discorso a Friburgo, il 24 settembre 2011, al quale erano stati invitati anche i delegati del Comitato centrale dei cattolici tedeschi. L'oratore ha parlato della mancanza di amore per Dio nel mondo occidentale e della mancanza di accesso a Lui, che il sistema ecclesiastico ben strutturato non era chiaramente in grado di affrontare. Ha detto: "Penso che dobbiamo essere onesti e dire che abbiamo un eccesso di strutture rispetto allo spirito". I funzionari della Chiesa tedesca non potevano sopportare una cosa del genere e hanno reagito con risentimento. Molti media sono stati fin troppo felici di unirsi a loro. Questo e le sue critiche alla Chiesa tedesca naturalmente diminuirono notevolmente la sua popolarità. 

 

Lei ha criticato senza mezzi termini il percorso sinodale tedesco. Ne ha parlato con Benedetto XVI? Cosa ne pensava lui del cammino sinodale in Germania?

In un importante saggio, Joseph Ratzinger ha esposto la sua analisi della rivoluzione sessuale nell'era moderna. Egli chiarisce quanto Benedetto abbia osservato a lungo il declino della morale sessuale nel mondo occidentale e nella Chiesa. La "via sinodale" in Germania ha reagito al declino in modo quasi superficiale. Tale superficialità non poteva assolutamente convincere e nemmeno soddisfare Joseph Ratzinger. Così si è dato il compito di dare "ai presidenti delle conferenze episcopali... uno o due suggerimenti per aiutarli in quest'ora difficile". Infine, ha rivolto la sua attenzione anche all'impatto dell'ondata di pornografia sociale sui sacerdoti e sulla loro formazione. 

Le sue lucide osservazioni non possono e non devono essere riassunte qui. Possono essere lette facilmente consultate su internet, essendo state pubblicate l'11 aprile 2019. Solo l'accento finale deve essere nuovamente sottolineato. Egli vuole dare un nome alla radice della confusione moderna. È così che il Papa arriva alla questione di Dio. Letteralmente: 

"Una società in cui Dio è assente, una società che non lo conosce e lo considera inesistente, è una società che perde la sua misura. Nel nostro presente è stata inventata la parola chiave della morte di Dio. Quando Dio muore in una società, questa diventa libera, ci viene assicurato. In realtà, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che fornisce l'orientamento. E perché scompare la misura che ci indica la giusta direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male. La società occidentale è una società in cui Dio è assente dalla sfera pubblica e non ha più nulla da dire. Ed è per questo che è una società in cui si sta perdendo sempre più la misura dell'umano". 

Purtroppo, la maggioranza dei pastori consacrati ha prestato poca attenzione alla presentazione dettagliata e argomentata di Papa Benedetto. Una cecità criminale.

 

Lei - come lui - crede che la dimenticanza di Dio sia "il problema del nostro tempo". Il pontificato di Benedetto XVI ha avuto effetti benefici per arrestarlo o comunque mitigarlo?

Nella cura pastorale, ogni tentativo di controllare gli effetti è una questione delicata. Rimarrà sempre poco chiaro in che misura un pastore sia stato in grado di contribuire ai suoi obiettivi. Tuttavia, quando si tratta dell'intenzione del pastore, non riesco a pensare a nessuno che abbia lottato con più enfasi, motivazione e fermezza contro la moderna dimenticanza di Dio di Joseph Ratzinger. In un suo discorso in un incontro pubblico a ridosso della canonizzazione di Josemaría Escrivá, ha coniato la parola "Dio-centrismo" per formulare la spinta necessaria dell'impegno della Chiesa.   

Inoltre, due citazioni significative: un giorno mi mandò una foto di Hans Urs von Balthasar, sulla quale c'era scritto il motto che lui aveva indiscutibilmente fatto suo: "Non presupporre Dio, ma presentarLo". 

E alla fine della sua vita, nelle sue potenti dichiarazioni quasi testamentarie, le "Ultime Conversazioni" con Peter Seewald, riassume persino l'intenzione generale del suo ministero papale nella frase: "Soprattutto c'era l'intenzione positiva di voler mettere al centro il tema di Dio e della fede".

Chiunque tenga a mente questi elementi non può dubitare di come Joseph Ratzinger abbia inteso la sua missione fondamentale di sacerdote, vescovo e papa.  

 

 

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