Per le europee un voto secondo coscienza

Domenica 26 maggio un vero e proprio esercizio di sovranità tramite un voto: messaggio di Mons. Antonio Suetta, Vescovo di Ventimiglia
14 maggio 2019
Domenica 26 maggio p.v. saremo chiamati alle urne per il rinnovo del Parlamento europeo; tale appuntamento rappresenta un significativo momento di partecipazione politica, un vero e proprio "esercizio di sovranità" tramite un voto, che non coinvolge soltanto aspetti tecnici o amministrativi, ma mette in campo importanti temi di vita
personale e sociale inerenti ambiti decisivi sotto il profilo etico come la vita, la famiglia, la giustizia, la libertà e la solidarietà.
"L'Europa culla dell'umanesimo integrale.
È precisamente tale più profonda prospettiva a farmi decidere, come pastore, di richiamare l'attenzione al dovere di esprimere un voto "secondo coscienza", che per un cattolico significa agire in modo da favorire la diffusione della civiltà cristiana, la civiltà dell'amore, caratterizzata dalla fede come valore capace di dare senso all'esistenza intera e di plasmare efficacemente ogni comunità a misura dell'uomo.
Tutto ciò è particolarmente vero per l'Europa, realtà culturale e storica, prima ancora che aggregazione di Stati o di sistemi finanziari.
Diceva Churchill: "Qui (in Europa) è la fonte della fede cristiana e dell'etica cristiana. Qui è l'origine di gran parte delle culture, delle arti, della filosofia e della scienza, nell'antichità come nei tempi moderni"[1]. È importante tenere presente questo, perché i valori umani che professiamo oggi sono frutto di una storia bimillenaria.
Come affermava il cardinale J. Ratzinger "I valori umani fondamentali per la visione cristiana del mondo rendono possibile, in un dualismo fruttuoso di Stato e Chiesa, la libera società umana, nella quale è assicurato il diritto alla libertà di coscienza e con esso i diritti fondamentali dell'uomo"[2].
Come cattolici, non solo siamo a favore dell'Europa, ma desideriamo pure contribuire come in passato, con l'apporto di un umanesimo autentico e religioso, a creare uno spazio comune che favorisca la libertà, i diritti umani e il progresso integrale dell'uomo. San Giovanni Paolo II parlava dell'Europa dei popoli, che si estende dall'Atlantico agli Urali, immaginando un'Europa che non smarrisse gli ideali cristiani e che fosse propulsore della cristianità.
Una storia rinnegata.
In questi anni purtroppo abbiamo registrato una tendenza culturale volta a cancellare, nascondere e ridimensionare la matrice cristiana dell'Europa. Un pensiero anticristiano si è affermato come egemone, in nome di una singolare tolleranza interreligiosa e di una malintesa laicità.
Ci scuotono le domande di Papa Francesco: "Che cosa ti è successo, Europa, terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa, madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?"[3].
Se l'Europa continuasse a vivere come una colpa la propria tradizione, la propria storia e la propria identità, sarebbe destinata ad arrendersi ad un globalismo mondiale, che rende le persone pedine di un sistema economico che ruota attorno al consumismo e al volume degli affari, in cui non c'è spazio per la solidarietà, per la vita, per la famiglia, per l'uomo. L'Europa è nata anche nei passaggi cruciali di Poitiers (732), di Lepanto (1571) e alle porte di Vienna l'11 settembre 1683.
Assistiamo a ricorrenti tentativi di creare cittadini europei che non si sentano più "né cristiani, né italiani, né francesi, né padri, né madri, né maschi, né femmine". Le leggi sull'eutanasia e sull'aborto nonché tutta la questione delle rivendicazioni gender hanno mostrato il limite e la pericolosità di questo pensiero. È bene, al riguardo, precisare che la Chiesa non difende tali valori per tradizionalismo, perché sono i valori di una volta, o per tutelare una posizione di dominanza etica, ma perché si trovano dentro una prospettiva di promozione autentica dell'uomo.
Ancora J. Ratzinger diceva: "Ogni popolo europeo può e deve riconoscere che la fede ha creato la propria patria e che perderemmo noi stessi sbarazzandoci della nostra fede"[4].
Un'Europa costruita sulla convinzione che dimensione religiosa e identità vadano cancellate, che l'anima dell'Europa sia non avere un'anima, è un'Europa destinata a dissolversi.
La scomparsa della giusta autostima europea è associata ad uno "strano" rifiuto di sé dell'Occidente, che si può qualificare come "patologico": da una parte esso si mostra completamente aperto a ciò che gli è estraneo mentre si rivela chiuso ed ostile a ciò che la propria storia ha di grande e di puro, evidenziando solo ciò che in essa ci sarebbe di deprecabile e di distruttivo.
Come diceva J. Ratzinger: "Nel momento in cui l'Europa mette in questione o elimina i propri fondamenti spirituali, si separa dalla propria storia e la definisce una cloaca, la risposta di una cultura non europea non può che essere una reazione radicale e un ritorno all'indietro, a prima dell'incontro coi valori cristiani"[5].
L'occidente sembra oggi vergognarsi della propria storia e addirittura rinnegarla; eppure l'identità è necessaria per realizzare una progettualità di vita, non solo di lavoro o di organizzazione strategica, perché noi apparteniamo alla nostra storia e ne siamo figli. Molti tendono ad alimentare e legittimare la cultura dell'odio verso noi stessi, finendo vittime di un "complesso occidentale", in cui si enfatizza un presunto debito della nostra civiltà verso altre. Qualcuno auspica il crepuscolo della religione cattolica come la più intollerante di tutte, colpevole di ogni crimine e di ogni misfatto.
La ricerca di altri modelli e altre spiritualità.
Molti osservatori rilevano che l'Europa ha perso in gran parte la propria "identità interiore", i valori, la cultura e la fede e, mentre rifiuta le proprie fondamenta religiose e morali, contestualmente insegue spiritualità esotiche. La costatazione del "vuoto interiore" dell'Europa è confermata da vari indicatori, come la mancanza di entusiasmo di fronte al futuro, che si evince specialmente nella reticenza a trasmettere la vita o a fare scelte che impegnino per l'avvenire. I figli sono visti come minaccia per il benessere e l'indipendenza; a ciò si aggiunga la diminuzione delle unioni matrimoniali e la fragilità delle stesse.
La «multiculturalità», da tanti spesso invocata e auspicata per annacquare e sminuire la matrice cristiana dell'Europa, significa in realtà il rinnegamento di ciò che ci è proprio. Scriveva Romano Guardini: "l'Europa, ciò che è, lo è attraverso Cristo […] Se l'Europa si staccasse totalmente da Cristo, allora, e nella misura in cui questo avvenisse, cesserebbe di essere"[6].
Alcuni ideologi oggi sostengono la necessità di "trapianti" dal di fuori, che annullino l'identità europea e la ricostituiscano su altre basi. Qualcun altro sostiene che la multiculturalità e l'immigrazione di massa nascondano in realtà un progetto di massificazione della forza lavoro e di un impoverimento generale, ma su questo rinvio a valutazioni più competenti e argomentate. A me come pastore sta a cuore una società che promuova davvero il bene dell'uomo, in cui vengano rispettate le fragilità come la condizione dei bambini (anche quelli non ancora nati), degli anziani e delle persone che soffrono. Ad esempio, non ritengo che possa essere un segno di progresso un'Europa che facilita e talvolta incoraggia la "dolce morte" dei suoi cittadini, che guarda all'aborto come una conquista di civiltà, preoccupata più dei cambiamenti climatici che della sua vita spirituale.
Occorre ritrovare l'amore per la nostra civiltà cristiana. Non si può invocare la superiorità morale di altri modelli, che si rivelano invece persecutori dei cristiani, o sono realmente incompatibili con la nostra concezione di promozione umana: negativamente efficace l'immagine di un'Europa che, malata di depressione, è tentata da "pulsione suicida".
Solo un'Europa capace di ritrovare se stessa potrà essere in grado di rispondere all'urgenza dell'accoglienza, cui ci esorta incessantemente Papa Francesco, senza che il "trapianto" diventi "colonizzazione" o "sostituzione".
Una sovranità responsabile.
Un altro punto importante del dibattito in corso ritengo si possa individuare nella contrapposizione tra élite e popolo. Usando con disinvoltura la categoria di populismo si presuppone che ci sia un'élite illuminata alla quale spetti di decidere le sorti della massa di precari, lavoratori, disoccupati e del ceto medio disagiato. Ad un populismo fomentatore di sentimenti di rivendicazione nelle masse si contrappone una élite che, sulla base di una qualche sapienza superiore, vorrebbe instaurare un mondialismo classista, che alimenti la guerra tra poveri, una sorta di imperialismo che assoggetti i cittadini a decisioni incontrovertibili e ineliminabili, dove le ragioni della finanza e dei mercati prevalgono sul benessere vero dell'uomo. Questa contrapposizione deve essere superata, comprendendo il disagio sociale, la povertà e la fatica che stanno alla base di certe rivendicazioni frettolosamente etichettate come populiste o estremiste. E in questo la politica deve ritrovare il suo ruolo più specifico quale luogo di mediazione, che ascolta le istanze popolari e trova soluzioni per farvi fronte. Come ci ricorda Papa Francesco, abbiamo il dovere di essere "vigili e attenti al grido dei poveri, di coloro che sono privati dei loro diritti, degli ammalati, degli emarginati, degli ultimi"[7].
La crisi di fiducia nell'Europa oggi è crisi di fiducia nella politica, intesa come crisi di idee, di risorse e di capacità effettiva di saper interpretare e sostenere le istanze dei cittadini. Spesso vi è la sensazione di un'Unione Europea caratterizzata da "antidemocratiche, pletoriche, oscure istituzioni". In tale contesto sembra che nessuno decida più davvero, e che le scelte, soprattutto quelle impopolari, siano sempre colpa di qualcun altro. Chi comanda veramente spesso non è visibile ed esercita un potere dall'ombra, de-responsabilizzato. È questo il fenomeno descritto da alcuni osservatori come una sorta di "espropriazione della sovranità degli Stati e dei popoli". È opportuno allora recuperare il principio di vera e buona sovranità, in base alla quale lo stato sovrano ha davvero il compito di decidere e determinare secondo la propria volontà conseguenze concrete e fattuali a beneficio del bene comune, di cui deve rispondere davanti ai cittadini. In tal modo si può superare il rischio di un potere globale lontano e inavvicinabile che non ascolta più il popolo e che non guarda più al popolo come al destinatario di ogni sua azione.
Restituire sovranità all'Europa, alle nazioni che la compongono e ai suoi cittadini può essere davvero una prospettiva cui guardare con interesse.
Parlare di sovranità non significa cedere alla deriva del nazionalismo e del razzismo, puntualmente riprovati da San Paolo VI, che nell'Enciclica "Populorum Progressio" – documento di immutata attualità – scriveva: "Altri ostacoli si oppongono alla edificazione di un mondo più giusto e più strutturato secondo una solidarietà universale: intendiamo parlare del nazionalismo e del razzismo. (…) È pure normale che nazioni di vecchia cultura siano fiere del patrimonio, che hanno avuto in retaggio dalla loro storia. Ma tali sentimenti legittimi devono essere sublimati dalla carità universale che abbraccia tutti i membri della famiglia umana"[8].
Un'Europa di popoli sovrani, non è un'Europa chiusa al dialogo e al confronto, ma un'Europa che tutela e valorizza le comunità locali, le loro specificità e peculiarità, contro un'eterna sudditanza rispetto a poteri che non sono oggetto di una delega democratica, né di una verifica popolare, né possiedono altra legittimazione. Diciamo sì all'Europa: un sì ragionevole, critico e costruttivo.
Conclusioni.
Queste elezioni, dunque, chiamano in causa anche la nostra fede, la convinzione, la capacità di testimonianza cristiana e la possibilità di edificare una civiltà autenticamente a servizio dell'uomo. Per questo occorre tornare ad una concezione della ragione che si fondi sul profondo rispetto verso Dio e verso i valori etici fondamentali, derivanti dalla fede cristiana, da cui dare vita a quel «nuovo umanesimo europeo» che Papa Francesco auspica. La Chiesa è cattolica anche perché tutti possono convergere intorno a elementi di dottrina e di vita buona, che fanno appello alla ragione dell'uomo.
In sintesi desidero condensare il mio appello proponendo il testo di una preghiera liturgica che bene esprime i riferimenti più significativi per una coscienza cristiana:
"O Dio, che manifesti agli erranti la luce della tua verità,

perché possano tornare sulla retta via,
concedi a tutti coloro che si professano cristiani
di respingere ciò che è contrario a questo nome
e di seguire ciò che gli è conforme[9]".

Ribadisco accanto al diritto di tutti di esprimere il voto anche il dovere di partecipare alla consultazione elettorale, specialmente per un cristiano, allo scopo di dare buona e ragionata testimonianza di come i contenuti della fede possano e debbano dare forma alle istituzioni e alla vita comunitaria.
L'impegno del cattolico in politica spazia dal coinvolgimento diretto, vero esercizio di carità, come ricordava Papa Francesco[10] sulla scia dell'insegnamento di San Paolo VI, ad un esame critico e attento delle diverse proposte e all'onesta divulgazione di nomi, formazioni e programmi rispondenti alla visione cristiana.
Nella scelta dei nostri rappresentanti politici, resta valida l'indicazione dell'allora cardinale J. Ratzinger: "Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli altri, ed il loro cuore possa aprire il cuore degli altri"[11].
È necessario considerare la storia politica delle persone, per escludere esponenti che abbiano già promosso o attuato prospettive non conformi ai nostri valori, ma soprattutto è ancor più necessario considerare attentamente la storia e i programmi dei vari partiti e dei loro riferimenti europei, per scegliere quelli idonei a custodire e incrementare la nostra bimillenaria civiltà cristiana, non dimenticando che, nella difficoltà del discernimento spesso vincolato alla scelta del "male minore", occorre essere coerenti nel rispetto di una gerarchia di valori che metta al primo posto quelli "non negoziabili" e direttamente correlati ai precetti della legge divina.
Condividendo le ansie e i problemi di tutti, Papa Francesco ci invita a realizzare una «amicizia sociale», per un dialogo e un incontro in cui ciascuno offra il contributo della propria esperienza alla vita comune, proprio a partire da quel patrimonio culturale e spirituale cristiano che ha fatto dell'Europa la culla dell'umanesimo integrale".
[1] W. Churchill, Discorso all'Università di Zurigo, 19 settembre 1946.

[2] Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, Perché siamo ancora nella Chiesa, Rizzoli, Milano 2008.
[3] Francesco, Discorso in occasione della consegna del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016.
[4] Joseph Ratzinger, Omelia a Cracovia, 13 Settembre 1980.
[5] Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, Perché siamo ancora nella Chiesa, Rizzoli, Milano 2008.
[6] R. Guardini, Europa. Compito e destino, Morcelliana, 2004.
[7] Francesco, Omelia durante il viaggio in Macedonia, 7 maggio 2019.
[8] S. Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum Progressio, Roma 1967, n. 62.
[9] Messale Romano, Orazione Colletta, Lunedì della III Settimana di Pasqua.
[10] «Coinvolgersi nella politica è un obbligo per un cristiano. Noi cristiani non possiamo "giocare da Pilato", lavarci le mani: non possiamo. Dobbiamo coinvolgerci nella politica, perché la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune», Francesco, Discorso agli studenti delle scuole gestite dai Gesuiti in Italia e Albania, Roma, 7 giugno 2013.
[11] J. Ratzinger, L'Europa di Benedetto nella Crisi delle Culture, Cantagalli, Siena 2005.


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