La via della Verità passa da Nicea, primo dei venti Concili dogmatici, il Vaticano II è pastorale (2)

"La mia elezione è avvenuta mentre ricorre il 1700°anniversario del PrimoConcilio Ecumenico di Nicea"

Investigatore Biblico in "Duc in altum" – 21 maggio 2025

Quel Concilio rappresenta una tappa fondamentale per l'elaborazione del Credo condiviso da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali. Mentre siamo in cammino verso il ristabilimento della piena comunione tra tutti i cristiani, riconosciamo che questa unità non può che essere unità nella fede. In quanto Vescovo di Roma, considero uno dei miei doveri prioritari la ricerca del ristabilimento della piena e visibile comunione tra tutti coloro che professano la medesima fede in Dio Padre e Figlio e Spirito Santo». Questa memoria, tutt'altro che ornamentale, non è solo un richiamo storico, ma un fondamento dottrinale. Nicea, come sappiamo, ha fissato con chiarezza la verità centrale della nostra fede: che Gesù Cristo, il Figlio, è consustanziale al Padre, vero Dio da vero Dio. Una verità affermata contro l'eresia ariana e custodita da allora come pietra angolare del Credo cristiano.

 

 

Mi pare importante sottolineare che il Papa, citando Nicea in apertura del suo intervento, si è rivolto a un uditorio variegato, composto da rappresentanti di Chiese cristiane e di altre religioni, e lo ha fatto ponendo al centro, fin da subito, ciò che ci definisce come cristiani: la fede nel Dio Uno e Trino, e nella divinità di Gesù Cristo. Questo non è un dettaglio, e neppure un gesto diplomatico: è una dichiarazione chiara di identità teologica. Ricordare Nicea significa ribadire che il cammino verso l'unità tra i cristiani, e il dialogo con i non cristiani, non può avvenire a partire da una neutralità generica, ma solo dalla confessione piena di Gesù Cristo come Signore, Dio fatto uomo per la nostra salvezza.

 

 

Le parole del Papa – «questa unità non può che essere unità nella fede» – sono profondamente espressive di questa consapevolezza. Parlare di fraternità, di incontro, di sinodalità, non significa affatto diluire il contenuto della fede, ma cercare modalità più fedeli, più evangeliche, per comunicarla e testimoniarla in questo tempo. L'incontro tra le persone non è un surrogato della verità, ma può essere il luogo in cui la verità si lascia riconoscere e accogliere senza imposizione.

 

 

Comprendo bene il tuo turbamento di fronte a parole che sembrano riprendere accenti e orientamenti del pontificato precedente. Ma credo anche che, nella visione del Papa, non ci sia contraddizione tra la fedeltà a Nicea e l'impegno per la fraternità universale. Si tratta, semmai, di un allargamento dello sguardo: riconoscere l'umano in ogni altro, senza mai confondere o ridurre la verità del Vangelo. Come Gesù, che non ha mai avuto paura di incontrare, parlare, accogliere, pur restando saldo nella sua identità di Figlio.

 

In questo senso, credo sia lecito leggere le sue parole sul dialogo interreligioso non come un'apertura ingenua o relativistica, ma come un'espressione della certezza della fede. Solo chi è saldo nella propria identità può aprirsi davvero. Solo chi ha trovato in Cristo la verità può incontrare senza paura chi è in ricerca o si muove su cammini diversi.

 

 

Caro Aldo Maria, lo Spirito soffia dove vuole, e a volte prende strade che ci sorprendono o ci scomodano. Ma non ci chiede forse il Vangelo di vigilare senza cedere al sospetto, di custodire la dottrina senza allarmarci, di difendere la Verità senza smarrire la carità?

 

Nella preghiera e nella speranza che questo tempo sia occasione per tutti – anche per noi che scriviamo e leggiamo – di una fede più matura e di una comunione più profonda, ti saluto con stima e amicizia.

 

Il tuo amico Sacerdote

 

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