'FA DI ME QUEL CHE VUOI, SOLO CONCEDIMI DI AMARTI PIENAMENTE'

Benedetto XVI in "per Amore" 

Gv 13,1-15

Statio:

In ogni celebrazione dell'Eucaristia annunciamo la morte del Signore, in ognuna di esse facciamo memoria della notte in cui fu tradito. Ma stasera il nostro sguardo si sofferma più del solito sullo sfondo umano di quella notte, su cosa significhi che egli si lascia consegnare nelle mani degli uomini. Anche oggi egli si consegna nelle mani degli uomini, nelle nostre mani. E poiché non possiamo mai essere degni riceverlo adeguatamente, vogliamo iniziare pregandolo che ci aiuti, che ci doni il suo perdono.

Omelia

Un sacerdote austriaco mio amico ha di recente pubblicato un ricordo di sua madre, la quale in un tempo difficile, in condizioni di bisogno che oggi a stento possiamo immaginare, mise al mondo undici figli di cui otto spontaneamente presero la via del sacerdozio e della vita religiosa. Quel che più colpisce nel libro è il racconto del testamento della madre. Nel suo ultimo giorno di vita, la mattina aveva partecipato come sempre alla celebrazione eucaristica e aveva ricevuto il Corpo del Signore; poi aveva svolto i suoi soliti lavori quotidiani. La sera, come di consueto, aveva benedetto le foto dei figli insieme al marito ed era quindi andata in cucina per prepararsi una tazza di caffè. Lì poco dopo fu trovata riversa a terra priva di sensi, e tre ore dopo morì. Ma quel che sconvolge è che sul tavolo si trovò una cartolina che poco tempo prima le aveva scritto uno dei suoi figli; in un angolino di essa rimasto vuoto, con una grafia debole ma ancora ben leggibile, aveva scritto: "Fa di me quel che vuoi, solo concedimi di amarti pienamente".

Evidentemente aveva sentito che stava per essere sopraffatta dalla forza distruttrice della morte, dall'imprevedibile crollo fisico, e aveva colto l'ultimo istante disponibile per dire un'ultima parola ai suoi, per definire ancora una volta sé stessa. E aveva trasformato quell'istante alla soglia della morte. quell'istante di paura estrema in cui stava per essere sopraffatta dall'insondabile, in una libertà piena: "Fa di me quel che vuoi, solo concedimi di amarti pienamente". Se anche non si sapesse nient'altro del percorso di questa donna, da questo si potrebbe senz'altro riconoscere quale cammino abbia compiuto per potere alla fine trovare, con tutta semplicità che le era propria, una tale grandezza, una tale maturità e libertà. E non c'è nemmeno bisogno di alcuna spiegazione per rendersi conto come da una vita simile sia dovuta necessariamente promanare una specie di radioattività del bene che ancora sostiene e muove un'intera generazione rendendola a sua volta radioattiva del bene. E ancora: se anche non lo si sapesse, si potrebbe intuire, si dovrebbe presumere che una simile libertà in lei è cresciuta guardando a Gesù Cristo e vivendo in Gesù Cristo. IN effetti questo è stato il suo cammino. Aveva vissuto con la liturgia e aveva cercato Cristo a partire da lì. E poiché una simile libertà proveniva da Cristo, per questo essa rimanda di nuovo a lui, lo indica e aiuta noi a vederlo meglio, a capirlo meglio.

A me sembra che il messaggio del Vangelo di oggi – il messaggio delle ultime ore di Gesù Cristo sulla terra: "Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine" – si può comprendere, grazie a quella frase e alla dinamica che contiene, meglio che non sulla base di dotti commentatori. E grazie ad essa possiamo capire meglio il mistero del Monte degli Ulivi, nel quale tutta la paura della creatura che si trova sola di fronte al nulla è tramutato in libertà. Nella libertà di un amore più grande: "Non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Lc 22,42). E siccome questo suo amore non era solo un vivere e un rispecchiare l'amore del Padre, ma era l'amore creatore del Figlio, per questo da esso proviene una radioattività del bene che giunge sino ai confini della terra, che è indistruttibile, che costituisce l'isola sottile ma affidabile della redenzione dalla quale viene quella luce che ci aiuta a vivere.

 "Fa di me quel che vuoi, solo concedimi di amarti pienamente". A partire da qui riusciamo a capire il Signore: il gesto originario di quell'amore con il quale lo schiavo alla porta rende il servizio agli ospiti attesi, ai quali – come esigono la polvere e il sudore dell'Oriente -lava i piedi per renderli capaci di prendere parte al convito. Egli attende noi, per purificarci dalla polvere e dal sudore della nostra vita affinché diventiamo capaci di stare insieme., affinché diventiamo capaci di prendere posto alla sua tavola. C'è qualcosa di sorprendente nel racconto della lavanda dei piedi. È stato sempre ripetuto che esso ha tutte le caratteristiche dell'istituzione di un sacramento. C'è un segno esteriore, c'è la grazia, c'è la parola: "Fate come ho fatto io". E così a volte si è anche preso in considerazione di concepirlo come un sacramento. Ma in realtà non si tratta di un ottavo sacramento dimenticato e scartato, in esso si manifesta invece il sacramento che lui stesso è. Il sacramento del suo amore dimostrato nella prova della passione e della morte, sacramento che ci viene donato soprattutto nell'Eucaristia, nella quale egli dona se stesso come amore; quel sacramento dell'Eucaristia che d'altronde è strettamente legato ai sacramenti della conversione – al battesimo e alla penitenza. E così, se guardiamo a questo racconto nel quale il mistero dell'Eucaristia è mostrato nella sua profondità, possiamo anche comprendere in modo rinnovato cosa significa ricevere l'Eucaristia. Anche la scena del Giovedì Santo, la lavanda dei piedi, anno dopo anno, nella liturgia di questo giorno, in fin dai conti ha in senso di aprirci di nuovo gli occhi, di insegnarci a comprendere meglio cosa significhi celebrare l'Eucaristia. Celebrare l'Eucaristia significa: entrare nell'amore. E nell'amore non si può entrare senza aver lasciato sé stessi, senza aver lasciato dentro di sé l'egoismo. Entrare nell'amore significa sempre anche imparare a dire: "Fa' di me quel che vuoi". E così, per vedere se celebriamo l'Eucaristia nel modo giusto, si dovrà sempre valutare soprattutto in che misura siamo trascinati noi stessi nella radioattività dell'amore.

 Nella sua enciclica Redemptor hominis ,il Santo Padre ha evidenziato come Gesù abbia riassunto tutto il suo messaggio in due frasi: "Credete al Vangelo" e "convertitevi". È l'invito a entrare nella gioia del suo amore, l'invito a entrare nell'Eucaristia. Ma quel Gesù che dice "Venite" e che si offre a noi è lo stesso che dice anche: "Convertitevi!". Liberatevi di voi stessi affinché la radioattività dell'amore possa trovare in voi forza spazio. La fede della Chiesa ha un nome per questa nuova radioattività; il nome è: Spirito Santo, invocandolo, vivendolo insieme. A contrapporre all'inquinamento e all'avvelenamento del mondo questa nuova, trasformante radioattività che sola può essere la sua salvezza. Perché il mondo non è redento da un atteggiamento mentale tutto concentrato sulle proprie pretese e rivendicazioni, e dalle rivoluzioni che ne seguono, ma unicamente dai "violenti di Dio", dai violenti della fede e dell'amore, come dice il Papa rifacendosi alle parole di Gesù (Mt 11,12). In questa Enciclica egli ha anche fatto una diagnosi del nostro tempo che si accorda con la specificità di questa sera. Dice che il nostro tempo è il tempo di un nuovo Avvento. La parola Avvento innanzitutto ci fa venire in mente la consolazione e la gioia dell'attesa per l'avvicinarsi del Signore. Pensiamo all'attesa di Maria e alla luce silenziosa e gentile che da essa promana. Ma l'Avvento ha anche un'altra faccia. Significa anche la notte del Monte degli Ulivi. Significa anche trovarsi soli alla soglia del nulla e della morte. Significa lotta solitaria contro le potenze del caos nell'ora in cui i malvagi sono all'opera e i discepoli dormono. Blaise Pascal, egli stesso per molti anni segnato dalla malattia e che di continuo sperimentò la notte delel solitudini, la Notte del Monte degli Ulivi, scrisse: "Gesù è in agonia sino alla fine dei tempi". Egli anche oggi è sul Monte degli Ulivi. Quante persone oggi sono spinte nella solitudine a motivo della loro fede, a motivo della loro coscienza; quante quelle spinte nella paura del nulla e della distruzione che le minaccia. E dobbiamo anche dire che i suoi discepoli dormono perché non vogliono o non sanno riconoscere la solitudine del Signore, il pericolo e la minaccia a cui sono esposti i suoi. In tutti costoro c'è Avvento che invoca la trasformazione, che invoca la redenzione per mezzo dell'amore misericordioso di Gesù Cristo.

Così stasera vogliamo guardare al Signore che restò solo per noi. Vogliamo guardare a coloro che sono soli per lui e con lui.

Vogliamo pregarlo che faccia loro riconoscere la sua vicinanza che dà forza. Vogliamo pregarlo di svegliarci dal sonno della nostra indifferenza.

Vogliamo pregarlo di cancellare la paura che c'è anche nelle nostre anime e che spesso tentiamo di soffocare con grandi parole, e che ci spinge ad allontanarci da lui, a fuggire, perché abbiamo paura di stare con lui.

E che egli ci doni la libertà vera, redentrice, quella che li unisce è capace di dire: "Fa quel che vuoi. Solo concedimi di amarti pienamente".

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