Sposati preti in continenza fin dagli apostoli

Venir ordinati preti e vescovi uomini sposati? Sì, ma puntando alla continenza. È il celibato apostolico "conseguente" degli sposati preti fino alla decisione, nel XII secolo, di quello "antecedente" dei preti non sposati
Thomas Michelet, domenicano, Marc Quellet, cardinale, in "Amici dello Sposo. Per una visione rinnovata del celibato sacerdotale" in Sandro magister del 02 ottobre 2019.
Michelet non si dichiara né pro né contro. Ha notato però un vuoto di memoria storica clamoroso nella quasi totalità degli uomini di Chiesa che si accalorano sulla questione.
Quasi tutti dimenticano - o non hanno mai saputo – che nei molti secoli nei quali venivano ordinati preti e vescovi uomini sposati la sacra ordinazione era sempre legata all'impegno di una continenza perfetta tra gli sposi. E tale celibato "conseguente" non era ritenuto un vincolo
puramente disciplinare, che la Chiesa avrebbe avuto la facoltà di sciogliere di sua volontà. Era fatto risalire all'età apostolica, e quindi a una norma di cui la Chiesa non può disporre. Perché se ne disponesse a piacimento, "non sarebbe più la Chiesa degli apostoli".
Michelet, in un articolo pubblicato il 29 ottobre Ordonner des 'viri probati'. Ou est la difficulté?, ricorda che la chiesa latina ha continuato a ordinare uomini sposati di età matura 'almeno fino al secolo XII'. Ma a una condizione: che al momento dell'ordinazione essi si impegnassero,' alla presenza della loro sposa, a vivere da lì in avanti come fratello e sorella, in continenza perfetta'.
Era ferma e generale convinzione che questo impegno alla continenza sessuale risaliva alle origini della Chiesa. Valeva già con Pietro – che era sposato – e con gli altri apostoli e non poteva essere in alcun modo revocato.
Non tutti però rispettavano questa forma di vita e si ha notizia di vescovi rimossi dai loro uffici perché tornati a vivere 'more uxorio'. Fu proprio per proteggere questa norma dalle sue troppo frequenti violazioni che nel XII secolo la Chiesa decise di ordinare sacerdoti, da lì in avanti, solo dei celibi.
Si ebbero così due tipi di celibato. Tra i quali il primo, quello 'conseguente' degli sposati, ha finito per essere sovrastato e nascosto dal secondo, quello 'antecedente' dei non sposati.
E siccome questo secondo regime era di istituzione ecclesiale tardiva, si è finito per ridurre il celibato del clero a 'una semplice questione di disciplina', che la Chiesa può cambiare come e quando vuole.
Ma questo modo ciò che la Chiesa ha deciso nel secolo XII per proteggere il celibato e rafforzarlo, ha piuttosto influito per renderlo più fragile, con una sorta di perdita della memoria', fondamentale nella Tradizione.
Se quindi oggi tanti vogliono tornare al regime dell'ordinazione dei 'viri probati', conclude Michelet, non dovrebbero fare a meno di tornare anche alla continenza perfetta che fin dalle origini della Chiesa era associata indissolubilmente a tale ordinazione. 
Ma perché? Vi risponde il cardinale Marc Ouellet, 75 anni, cardinale, prefetto della Congregazione per i vescovi e Presidente della pontificia commissione per l'America latina e lo ha fatto con un libro "Amici dello sposo. Per una visione rinnovata del celibato sacerdotale".
Nel capitolo introduttivo del libro, infatti, Ouellet antepone alla questione del celibato del clero un'altra questione ancor più capitale alla luce della quale affrontare il problema, quella che è appunto la stessa su cui Giovanni Paolo II e l'allora cardinale Joseph Ratzinger ritennero di dover pubblicare la "Dominus Jesus", non a caso la più contestata e la più discussa dichiarazione dottrinale della Chiesa dell'ultimo mezzo secolo. Scrive il cardinale: 
"nuovi cammini del futuro porteranno frutti evangelici se sono coerenti con un annuncio integrale del Vangelo, 'sine glossa', che nulla sacrifica dei valori permanenti della tradizione cristiana. […] Sotto questa luce, cercare vie nuove per l'evangelizzazione degli autoctoni in Amazzonia significa andare oltre un approccio che si ridurrebbe a muovere da cosmovisioni amazzoniche, in uno sforzo di sintesi interculturale che corre il rischio d'essere artificioso e sincretista. L'unicità di Gesù Cristo e, in una certa misura, della cultura biblica, impone un dialogo rispettoso delle culture ma chiaramente orientato alla conversione al mistero dell'incarnazione del Verbo. L'unicità trascendente di questa irruzione del Verbo nella storia umana conferisce alla cultura biblica un posto a parte nel concerto delle nazioni e giustifica che la si insegni a tutte le culture, al fine di apportar loro ciò cui aspirano, e verso di cui portano i loro valori e i loro limiti, allo scopo di esserne illuminate, sanate e assunte aldilà di sé stesse".
Due pagine più avanti Ouellet applica questo monito anche ai paesi come la Germania, dove vede una "modernizzazione" che in realtà mette in pericolo la ragion d'essere dell'intera Chiesa.
"Se questa riflessione sull'evangelizzazione è valida per l'Amazzonia, un'analoga riflessione vale per la 'nuova evangelizzazione' dei paesi di antica cristianità, se la si confonde con una modernizzazione dei paesi di antica cristianità. Se la si confonde con una modernizzazione delle usanze e dei costumi, al fine di rendere il cristianesimo più accettabile malgrado certe negatività nella sua storia, si è condannati al fallimento, e la gente non si lascia ingannare da ricette superficiali che le si propongono per mantenere l'interesse per l'istituzione ecclesiale. La Chiesa o propone il Gesù autentico che è identico al Cristo della fede, o perde la ragion d'essere della sua missione, e i nuovi poteri dei mezzi gestiti da mani ostili la renderanno ben presto superata e superflua".
La questione del sacerdozio e del celibato, il cardinale Oullet la affronta precisamente sullo sfondo ora descritto. Portando ragioni che ne mostrano "la pertinenza oggi, tanto più nei contesti difficili". Si tratta di condividere ' il modo di vita di Gesù', tanto più appropriata per coloro che col sacramento dell'ordine 'partecipano al sacerdozio di Cristo'                   


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