Una liturgia viva per una Chiesa viva
di Riccardo Barile in La nuova Bussola Quotidiana
27-08-2017
Il 24 agosto scorso nell’Aula
Paolo VI Papa Francesco ha ricevuto i partecipanti alla 68.ma Settimana
Liturgica Nazionale organizzata dal CAL (Centro di Azione Liturgica). Alcune
espressioni hanno suscitato perplessità, disagi, forse anche paure. E ovazioni.
È necessaria una analisi più approfondita per evitare reazioni emozionali.
IL DISCORSO COME TALE
È un discorso/saluto molto
classico e documentato, senza frasi a braccio e con molte citazioni pertinenti.
Quasi tutte le questioni formali hanno spazio equilibrato: si parla della
liturgia ma anche del suo prolungamento nei «pii esercizi e
devozioni che
conosciamo con il nome di pietà popolare»; si parla di liturgia popolare ed
esperienziale, ma anche della «disciplina che la regola»; si è nell’orizzonte
della liturgia romana ma senza dimenticare che «la ricchezza della Chiesa in
preghiera in quanto “cattolica” va oltre il Rito Romano».
È un discorso relativo al CAL, che compie 70 anni di
fondazione (ottobre 1947) e così si spiega l’esposizione del cammino della
riforma liturgica a cominciare da san Pio X. Ed è un discorso relativo al
programma della Settimana “Una liturgia viva per una Chiesa viva”, formula commentata
con ampiezza: la liturgia «è “viva” in ragione della presenza viva di Colui che
morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita»; la
liturgia «è vita per l’intero popolo della Chiesa», raccoglie tutti ed esprime
«la pietas di tutto il popolo di
Dio»; la liturgia «è vita e non un’idea da capire», è una «esperienza
iniziatica, ossia trasformativa del modo di pensare e di comportarsi» e di
conseguenza «esce incontro al prossimo».
QUALCHE ANALISI E QUALCHE
PRECISAZIONE
1. Il Magistero. L’excursus storico sul cammino della riforma si
conclude così: «Possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale
che la riforma liturgica è irreversibile». La frase ha spaventato qualcuno,
quasi sanzionasse l’esistente come tale e non permettesse revisioni. Ciò che la
frase vuol dire è che non è pensabile un radicale cammino all’indietro e che
nell’insieme questa è stata la strada giusta della Chiesa. Tra parentesi, nel
cammino della riforma, non citato, c’è anche il motu proprio Summorum Pontificum e ci si domanda
se non partecipa anch’esso della “irreversibilità”... La frase comunque non ha
solennità definitoria e soprattutto è impossibile che blocchi future riforme.
Tra l’altro, se è possibile intervenire dogmaticamente su alcuni particolari
(ad esempio la non ordinazione delle donne o il pane e il vino come materia
esclusiva per l’Eucaristia), non è possibile “fissare” uno spirito liturgico,
che si evolve con i tempi, con le persone e sotto l’influsso dello Spirito
Santo.
2. La centralità dell’altare. L’insieme delle
espressioni non pregiudicano il volgersi ad oriente (un oriente teologico, cioè
l’abside). È un discorso ideale che non tocca determinazioni locali:
l’importante è che l’altare sia al centro dell’attenzione e rituale e partecipativa:
localmente può essere nel centro della chiesa, in presbiterio rivolto al
popolo, in presbiterio rivolto all’abside. Il discorso non contiene
determinazioni locali.
3. Il clericalismo. «Per sua natura la
liturgia è infatti “popolare” e non clericale». Il clericalismo può essere un
pericolo vero - oggi lo è veramente? e se sì, non lo è forse più da sinistra
che da destra? -, ma risulta dannoso fermarsi qui e non esplicitare in positivo
il ruolo del sacerdote che è icona di Cristo capo dell’assemblea: in liturgia
non c’è democrazia... il prete non deve solo avere l’odore delle pecore ma
essere modello del gregge...
4. L’accoglienza di tutti. La liturgia accoglie
tutti «senza scartare nessuno... è inclusiva e non esclusiva», evita di
«omologare, poiché chiama ciascuno, con la sua vocazione e originalità, a
contribuire nell’edificare il corpo di Cristo». Il discorso è correttissimo in
quanto si precisa che i “tutti” sono «coloro che hanno il cuore in ascolto del
Vangelo». Tuttavia, proprio perché oggi si pongono problemi di accoglienza
eucaristica, sarebbe stato auspicabile ampliare il discorso sul fatto che non
tutte le situazioni di vita sono compatibili con il Vangelo. Non solo: se la
liturgia non omologa, sarebbe stato desiderabile dichiarare che la comunità
cristiana accoglie anche quanti hanno una sensibilità più tradizionale
liturgica, non relegandoli nella categoria dei nostalgici e degli immaturi...
I SILENZI
1. Un mancato sviluppo: il valore della normativa
liturgica (le rubriche). Abbiamo già posto in evidenza un cenno alla
“disciplina”. Si afferma che «il compito di promuovere e custodire la liturgia
è affidato dal diritto alla Sede Apostolica e ai Vescovi diocesani». Per contro
la indisciplina e i “fermenti disgregatori” sono relegati in nota 10 a una
accorata “lamentazione” dell’ultimo Paolo VI. Non si sottolinea invece che è un
problema attuale che defigura la riforma: gli abusi e il non intervento
episcopale sugli abusi. E ciò capita perché è sparita - non è più promossa? -
la convinzione che la normativa, tramite la Chiesa, garantisce il “senso di
Cristo” delle parole e dei gesti. E se è vero che la liturgia - come ribadito
nel discorso - insegna e fa entrare dentro al mistero di Cristo attraverso le
parole e i gesti o riti, cambiare questi e quelle significa, poco o tanto,
cambiare Gesù Cristo e la Chiesa. D’altra parte Papa Francesco al suo primo
giovedì santo infranse la normativa (entusiasmi degli inizi poi rientrati
modificando la normativa); d’altra parte tra i relatori alla settimana e dunque
tra i presenti all’udienza c’era qualcuno che non ha mai conosciuto la fila
allo sportello per farsi approvare la “propria” liturgia...
2. Un silenzio totale: il motu proprio Summorum Pontificum e sul suo autore
Benedetto XVI. Non se ne accenna mai. Eppure anche questa è normativa vigente e
cammino della riforma. Anzi, il motu proprio ha
creato una nuova situazione liturgica attualmente operante e influente che non
può essere taciuta e che non si limita ai gruppi che celebrano con il Messale
del 1962 e altri libri liturgici analoghi.
Il motu proprio ha infatti messo in moto un movimento di
riflessione e di prassi, che non può essere ignorato, anche se, pro bono pacis, è meglio non parlare di riforma della
riforma. Di che cosa si tratta? Solo qualche esempio.
Si tratta di accentuare il
rispetto della normativa.
Si tratta di accentuare il
fatto che la liturgia è una terra santa che comporta un senso del sacro
cristiano, che è primariamente rivolta alla lode e all’adorazione di Dio e a
ricevere la salvezza della Redenzione del Signore Gesù; la comunità e
l’accoglienza certo devono esserci, ma si creano appunto a partire da queste
basi.
Si tratta non di rivedere la
Costituzione conciliare Sacrosantum Concilium, ma certi presupposti mentali
della riforma, ad esempio l’antichismo: riportare tutto agli inizi, all’antico,
senza rispettare le giuste evoluzioni di crescita; l’essenzialismo: mantenere
solo essenziale, con operazioni depauperanti e impossibili (cf certe
architetture squallide) perché non si riuscirà mai a far vivere le essenze
pure, operazioni che sono la morte della liturgia; oppure il ruolo della Parola
di Dio sulla quale, scrive un libro liturgico (OLM 3), poggia fondamentalmente
la liturgia: no, la liturgia poggia fondamentalmente su Gesù Cristo presente e
operante in modo sacramentale, che parla attraverso le letture proclamate, ma
che fa anche altre cose ecc.
Si tratta di ripensare certe
realizzazioni della
riforma e soprattutto lo spirito con il quale è stata attuata: ad esempio la
riduzione quasi totale della lingua latina e del canto gregoriano, oppure
l’altare verso il popolo come condizione sine
qua non per celebrare bene.
Per tutto questo non ci
vogliono tanto modifiche delle leggi, ma modifiche di spirito e di mentalità per
celebrare in modo più rispettoso e più in armonia con la tradizione precedente.
Il silenzio totale su questa
nuova sensibilità non può essere dimenticanza. Che cosa significa?
ANDARE OLTRE CON SPERANZA
Forse il presente discorso va
letto riandando con la memoria a certi fatti accaduti.
Pio XII nella Mediator Dei (20.11.1947) sponsorizzò
il mantenimento della lingua latina in liturgia e scrisse che è fuori strada
chi prevede di restituire all’altare l’antica forma di mensa ed eliminare le
vesti di colore nero (nn. 48.50): poi oggi...
Paolo VI in una accorata
lettera dell’11.10.1976
a mons. M. Lefebvre arrivò a dire che la proibizione di celebrare secondo il
vecchio rito (codificato oggi col Summorum Pontificum come
Forma Straordinaria ndr) non era una questione cerimoniale, ma di
ecclesiologia e di vera tradizione da salvaguardare e dunque lui non si sentiva
di annullare la proibizione: poi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI concessero
che...
Questi fatti lasciano
intravvedere che
i documenti e i discorsi, per quanto importanti, non sono tutto e la liturgia
cresce non solo come nostra evoluzione, ma per opera dello Spirito.
La conclusione è che il futuro
sarà di
quanti celebrano bene e con spirito nuovo, attenti a rispettare la normativa e
attenti a vivere la liturgia come un roveto ardente che ci avvicina alla terra
sacra del Dio tre volte santo, dove riceviamo un messaggio di liberazione che
non è più l’uscita dall’Egitto, ma la morte e risurrezione di Gesù che con il
suo sacrificio rimette i peccati e ci porta con lui da questo mondo al Padre.
Ma già oggi in silenzio è da questa mentalità e da questo spirito che la Chiesa
è feconda, è da qui che nascono le vocazioni: santi laici, santi monaci, sante
e non girovaganti monache, santi preti. I quali, senza clericalismo e con la
gioia del popolo di Dio, stanno già mettendo in pratica quanto il Romano
Pontefice ha detto.
«Vi chiedo per favore di pregare per me». Così conclude il discorso Papa Francesco. Non
omettiamo di farlo: è più decisivo dell’analisi del discorso stesso.
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