Fratelli convertendosi liberamentre a Cristo
Fratelli non si nasce ma lo si diventa sempre più convertendosi, lasciandosi assimilare sempre più a Cristo
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA CELEBRAZIONE DELLA XLVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1. All’inizio
di un nuovo anno, che accogliamo come una grazia e un dono di Dio all’umanità,
desidero rivolgere, ad ogni uomo e donna, così come ad ogni popolo e nazione
del mondo, ai capi di Stato e di Governo e ai responsabili delle diverse
religioni, i miei fervidi auguri di pace, che accompagno con la mia preghiera
affinché cessino le guerre, i conflitti e le tante sofferenze provocate sia
dalla mano dell’uomo sia da vecchie e nuove epidemie e dagli effetti devastanti
delle calamità naturali. Prego in modo particolare perché, rispondendo alla
nostra comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli uomini di buona
volontà per la promozione della concordia e della pace nel mondo, sappiamo
resistere alla tentazione di comportarci in modo non degno della nostra
umanità.
Nel messaggio per
il 1° gennaio scorso, avevo osservato che al «desiderio di una
vita piena … appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge
verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti,
ma fratelli da accogliere ed abbracciare».[1] Essendo
l’uomo un essere relazionale, destinato a realizzarsi nel contesto di rapporti
interpersonali ispirati a giustizia e carità, è fondamentale per il suo
sviluppo che siano riconosciute e rispettate la sua dignità, libertà e
autonomia. Purtroppo, la sempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da
parte dell’uomo ferisce gravemente la vita di comunione e la vocazione a
tessere relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità.
Tale abominevole fenomeno, che conduce a calpestare i diritti fondamentali
dell’altro e ad annientarne la libertà e dignità, assume molteplici forme sulle
quali desidero brevemente riflettere, affinché, alla luce della Parola di Dio,
possiamo considerare tutti gli uomini “non più schiavi, ma fratelli”.
In ascolto del
progetto di Dio sull’umanità
2. Il tema che
ho scelto per il presente messaggio richiama la Lettera di san Paolo a
Filemone, nella quale l’Apostolo chiede al suo collaboratore di accogliere
Onesimo, già schiavo dello stesso Filemone e ora diventato cristiano e, quindi,
secondo Paolo, meritevole di essere considerato un fratello. Così
scrive l’Apostolo delle genti: «E’ stato separato da te per un momento: perché
tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo,
come fratello carissimo» (Fm 15-16). Onesimo è diventatofratello di
Filemone diventando cristiano. Così la conversione a Cristo, l’inizio di una
vita di discepolato in Cristo, costituisce unanuova nascita (cfr 2
Cor 5,17; 1 Pt 1,3) che rigenera la fraternità quale
vincolo fondante della vita familiare e basamento della vita sociale.
Nel Libro
della Genesi (cfr 1,27-28) leggiamo che Dio creò l’uomo maschio e
femmina e li benedisse, affinché crescessero e si moltiplicassero:
Egli fece di Adamo ed Eva dei genitori, i quali, realizzando la benedizione di
Dio di essere fecondi e moltiplicarsi, generarono la prima fraternità,
quella di Caino e Abele. Caino e Abele sono fratelli, perché provengono dallo
stesso grembo, e perciò hanno la stessa origine, natura e dignità dei loro
genitori creati ad immagine e somiglianza di Dio.
Ma la fraternità esprime
anche la molteplicità e la differenza che esiste tra i fratelli, pur legati per
nascita e aventi la stessa natura e la stessa dignità. In quanto fratelli
e sorelle, quindi, tutte le persone sono per natura in relazione con le
altre, dalle quali si differenziano ma con cui condividono la stessa origine,
natura e dignità. E’ in forza di ciò che la fraternità costituisce
la rete di relazioni fondamentali per la costruzione della famiglia umana
creata da Dio.
Purtroppo, tra
la prima creazione narrata nel Libro della Genesi e la nuova nascita in
Cristo, che rende i credenti fratelli e sorelle del «primogenito tra molti
fratelli» (Rm 8,29), vi è la realtà negativa del peccato, che più
volte interrompe la fraternità creaturale e continuamente deforma la bellezza e
la nobiltà dell’essere fratelli e sorelle della stessa famiglia
umana. Non soltanto Caino non sopporta suo fratello Abele, ma lo uccide per
invidia commettendo il primo fratricidio. «L’uccisione di Abele da parte di
Caino attesta tragicamente il rigetto radicale della vocazione ad essere
fratelli. La loro vicenda (cfr Gen 4,1-16) evidenzia il
difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di vivere uniti,
prendendosi cura l’uno dell’altro».[2]
Anche nella
storia della famiglia di Noè e dei suoi figli (cfr Gen 9,18-27),
è l’empietà di Cam nei confronti del padre Noè che spinge quest’ultimo a
maledire il figlio irriverente e a benedire gli altri, quelli che lo avevano
onorato, dando luogo così a una disuguaglianza tra fratelli nati dallo stesso
grembo.
Nel racconto
delle origini della famiglia umana, il peccato di allontanamento da Dio, dalla
figura del padre e dal fratello diventa un’espressione del rifiuto della
comunione e si traduce nella cultura dell’asservimento (cfr Gen 9,25-27),
con le conseguenze che ciò implica e che si protraggono di generazione in
generazione: rifiuto dell’altro, maltrattamento delle persone, violazione della
dignità e dei diritti fondamentali, istituzionalizzazione di diseguaglianze. Di
qui, la necessità di una conversione continua all’Alleanza, compiuta dall’oblazione
di Cristo sulla croce, fiduciosi che «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la
grazia … per mezzo di Gesù Cristo» (Rm 5,20.21). Egli,
il Figlio amato (cfr Mt 3,17), è venuto per
rivelare l’amore del Padre per l’umanità. Chiunque ascolta il Vangelo e risponde
all’appello alla conversione diventa per Gesù «fratello, sorella e madre»
(Mt 12,50), e pertanto figlio adottivo di suo
Padre (cfr Ef 1,5).
Non si diventa
però cristiani, figli del Padre e fratelli in Cristo, per una disposizione
divina autoritativa, senza l’esercizio della libertà personale, cioè senza
convertirsi liberamente a Cristo. L’essere figlio di Dio segue
l’imperativo della conversione: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia
battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e
riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,38). Tutti quelli che
hanno risposto con la fede e la vita a questa predicazione di Pietro sono
entrati nella fraternitàdella prima comunità cristiana (cfr 1
Pt 2,17; At 1,15.16; 6,3; 15,23): ebrei ed ellenisti,
schiavi e uomini liberi (cfr 1 Cor 12,13; Gal3,28),
la cui diversità di origine e stato sociale non sminuisce la dignità di
ciascuno né esclude alcuno dall’appartenenza al popolo di Dio. La comunità
cristiana è quindi il luogo della comunione vissuta nell’amore tra i fratelli
(cfr Rm 12,10; 1 Ts 4,9; Eb 13,1; 1
Pt1,22; 2 Pt 1,7).
Tutto ciò
dimostra come la Buona Novella di Gesù Cristo, mediante il quale Dio fa «nuove
tutte le cose» (Ap 21,5)[3],
sia anche capace di redimere le relazioni tra gli uomini, compresa quella tra
uno schiavo e il suo padrone, mettendo in luce ciò che entrambi hanno in
comune: la filiazione adottiva e il vincolo di fraternità in Cristo. Gesù
stesso disse ai suoi discepoli: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non
sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che
ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15).
I molteplici
volti della schiavitù ieri e oggi
3. Fin da
tempi immemorabili, le diverse società umane conoscono il fenomeno
dell’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo. Ci sono state epoche nella
storia dell’umanità in cui l’istituto della schiavitù era generalmente
accettato e regolato dal diritto. Questo stabiliva chi nasceva libero e chi,
invece, nasceva schiavo, nonché in quali condizioni la persona, nata libera,
poteva perdere la propria libertà, o riacquistarla. In altri termini, il
diritto stesso ammetteva che alcune persone potevano o dovevano essere
considerate proprietà di un’altra persona, la quale poteva liberamente disporre
di esse; lo schiavo poteva essere venduto e comprato, ceduto e acquistato come
se fosse una merce.
Oggi, a
seguito di un’evoluzione positiva della coscienza dell’umanità, la schiavitù,
reato di lesa umanità,[4] è
stata formalmente abolita nel mondo. Il diritto di ogni persona a non essere
tenuta in stato di schiavitù o servitù è stato riconosciuto nel diritto
internazionale come norma inderogabile.
Eppure,
malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di
porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse
strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone –
bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette
a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù.
Penso a
tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei
diversi settori, a livello formale e informale, dal lavoro domestico a quello
agricolo, da quello nell’industria manifatturiera a quello minerario, tanto nei
Paesi in cui la legislazione del lavoro non è conforme alle norme e agli
standard minimi internazionali, quanto, sia pure illegalmente, in quelli la cui
legislazione tutela il lavoratore.
Penso anche
alle condizioni di vita di molti migranti che, nel
loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà,
spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente. Penso a quelli
tra di loro che, giunti a destinazione dopo un viaggio durissimo e dominato
dalla paura e dall’insicurezza, sono detenuti in condizioni a volte disumane.
Penso a quelli tra loro che le diverse circostanze sociali, politiche ed
economiche spingono alla clandestinità, e a quelli che, per rimanere nella
legalità, accettano di vivere e lavorare in condizioni indegne, specie quando
le legislazioni nazionali creano o consentono una dipendenza strutturale del
lavoratore migrante rispetto al datore di lavoro, ad esempio condizionando la
legalità del soggiorno al contratto di lavoro… Sì, penso al “lavoro schiavo”.
Penso
alle persone costrette a prostituirsi, tra cui ci sono molti
minori, ed alle schiave e agli schiavi sessuali; alle donne forzate
a sposarsi, a quelle vendute in vista del matrimonio o a quelle trasmesse in
successione ad un familiare alla morte del marito senza che abbiano il diritto
di dare o non dare il proprio consenso.
Non posso non
pensare a quanti, minori e adulti, sono fatti oggetto di traffico
e di mercimonio per l’espianto di organi, per esserearruolati
come soldati, per l’accattonaggio, per attività illegali
come la produzione o vendita di stupefacenti, o
per forme mascherate di adozione internazionale.
Penso infine a
tutti coloro che vengono rapiti e tenuti in cattività da gruppi
terroristici, asserviti ai loro scopi come combattenti o, soprattutto per
quanto riguarda le ragazze e le donne, come schiave sessuali. Tanti di loro
spariscono, alcuni vengono venduti più volte, seviziati, mutilati, o uccisi.
Alcune cause
profonde della schiavitù
4. Oggi come
ieri, alla radice della schiavitù si trova una concezione della persona umana
che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto. Quando il peccato
corrompe il cuore dell’uomo e lo allontana dal suo Creatore e dai suoi simili,
questi ultimi non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli
e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti. La persona umana, creata
ad immagine e somiglianza di Dio, con la forza, l’inganno o la costrizione
fisica o psicologica viene privata della libertà, mercificata, ridotta a
proprietà di qualcuno; viene trattata come un mezzo e non come un fine.
Accanto a
questa causa ontologica – rifiuto dell’umanità nell’altro –, altre cause
concorrono a spiegare le forme contemporanee di schiavitù. Tra queste, penso
anzitutto alla povertà, al sottosviluppo e all’esclusione,
specialmente quando essi si combinano con ilmancato accesso all’educazione o
con una realtà caratterizzata da scarse, se non inesistenti, opportunità
di lavoro. Non di rado, le vittime di traffico e di asservimento sono
persone che hanno cercato un modo per uscire da una condizione di povertà
estrema, spesso credendo a false promesse di lavoro, e che invece sono cadute
nelle mani delle reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani.
Queste reti utilizzano abilmente le moderne tecnologie informatiche per
adescare giovani e giovanissimi in ogni parte del mondo.
Anche la corruzione di
coloro che sono disposti a tutto per arricchirsi va annoverata tra le cause
della schiavitù. Infatti, l’asservimento ed il traffico delle persone umane
richiedono una complicità che spesso passa attraverso la corruzione degli
intermediari, di alcuni membri delle forze dell’ordine o di altri attori
statali o di istituzioni diverse, civili e militari. «Questo succede quando al
centro di un sistema economico c’è il dio denaro e non l’uomo, la persona
umana. Sì, al centro di ogni sistema sociale o economico deve esserci la
persona, immagine di Dio, creata perché fosse il dominatore dell’universo.
Quando la persona viene spostata e arriva il dio denaro si produce questo
sconvolgimento di valori».[5]
Altre cause
della schiavitù sono i conflitti armati, le violenze,
la criminalità e il terrorismo. Numerose persone
vengono rapite per essere vendute, oppure arruolate come combattenti, oppure
sfruttate sessualmente, mentre altre si trovano costrette a emigrare, lasciando
tutto ciò che possiedono: terra, casa, proprietà, e anche i familiari. Queste
ultime sono spinte a cercare un’alternativa a tali condizioni terribili anche a
rischio della propria dignità e sopravvivenza, rischiando di entrare, in tal
modo, in quel circolo vizioso che le rende preda della miseria, della
corruzione e delle loro perniciose conseguenze.
Un impegno
comune per sconfiggere la schiavitù
5. Spesso,
osservando il fenomeno della tratta delle persone, del traffico illegale dei
migranti e di altri volti conosciuti e sconosciuti della schiavitù, si ha
l’impressione che esso abbia luogo nell’indifferenza generale.
Se questo è,
purtroppo, in gran parte vero, vorrei ricordare l’enorme lavoro silenzioso che
molte congregazioni religiose, specialmente femminili, portano
avanti da tanti anni in favore delle vittime. Tali istituti operano in contesti
difficili, dominati talvolta dalla violenza, cercando di spezzare le catene
invisibili che tengono legate le vittime ai loro trafficanti e sfruttatori;
catene le cui maglie sono fatte sia di sottili meccanismi psicologici, che
rendono le vittime dipendenti dai loro aguzzini, tramite il ricatto e la
minaccia ad essi e ai loro cari, ma anche attraverso mezzi materiali, come la
confisca dei documenti di identità e la violenza fisica. L’azione delle
congregazioni religiose si articola principalmente intorno a tre opere: il
soccorso alle vittime, la loro riabilitazione sotto il profilo psicologico e formativo
e la loro reintegrazione nella società di destinazione o di origine.
Questo immenso
lavoro, che richiede coraggio, pazienza e perseveranza, merita apprezzamento da
parte di tutta la Chiesa e della società. Ma esso da solo non può naturalmente
bastare per porre un termine alla piaga dello sfruttamento della persona umana.
Occorre anche un triplice impegno a livello istituzionale di
prevenzione, di protezione delle vittime e di azione giudiziaria nei confronti
dei responsabili. Inoltre, come le organizzazioni criminali utilizzano reti
globali per raggiungere i loro scopi, così l’azione per sconfiggere questo
fenomeno richiede uno sforzo comune e altrettanto globale da parte dei diversi
attori che compongono la società.
Gli Stati dovrebbero
vigilare affinché le proprie legislazioni nazionali sulle migrazioni, sul
lavoro, sulle adozioni, sulla delocalizzazione delle imprese e sulla
commercializzazione di prodotti realizzati mediante lo sfruttamento del lavoro
siano realmente rispettose della dignità della persona. Sono necessarie leggi
giuste, incentrate sulla persona umana, che difendano i suoi diritti
fondamentali e li ripristinino se violati, riabilitando chi è vittima e
assicurandone l’incolumità, nonché meccanismi efficaci di controllo della corretta
applicazione di tali norme, che non lascino spazio alla corruzione e
all’impunità.E’ necessario anche che venga riconosciuto il ruolo della donna
nella società, operando anche sul piano culturale e della comunicazione per
ottenere i risultati sperati.
Le organizzazioni
intergovernative, conformemente al principio di sussidiarietà, sono
chiamate ad attuare iniziative coordinate per combattere le reti transnazionali
del crimine organizzato che gestiscono la tratta delle persone umane ed il
traffico illegale dei migranti. Si rende necessaria una cooperazione a diversi
livelli, che includa cioè le istituzioni nazionali ed internazionali, così come
le organizzazioni della società civile ed il mondo imprenditoriale.
Le imprese[6],
infatti, hanno il dovere di garantire ai loro impiegati condizioni di lavoro
dignitose e stipendi adeguati, ma anche di vigilare affinché forme di
asservimento o traffico di persone umane non abbiano luogo nelle catene di
distribuzione. Alla responsabilità sociale dell’impresa si accompagna poi
la responsabilità sociale del consumatore. Infatti, ciascuna
persona dovrebbe avere la consapevolezza che «acquistare è sempre un atto
morale, oltre che economico».[7]
Le organizzazioni
della società civile, dal canto loro, hanno il compito di sensibilizzare e
stimolare le coscienze sui passi necessari a contrastare e sradicare la cultura
dell’asservimento.
Negli ultimi
anni, la Santa Sede, accogliendo il grido di dolore delle vittime della tratta
e la voce delle congregazioni religiose che le accompagnano verso la
liberazione, ha moltiplicato gli appelli alla comunità internazionale affinché
i diversi attori uniscano gli sforzi e cooperino per porre termine a questa
piaga.[8] Inoltre,
sono stati organizzati alcuni incontri allo scopo di dare visibilità al
fenomeno della tratta delle persone e di agevolare la collaborazione tra
diversi attori, tra cui esperti del mondo accademico e delle organizzazioni
internazionali, forze dell’ordine di diversi Paesi di provenienza, di transito
e di destinazione dei migranti, e rappresentanti dei gruppi ecclesiali
impegnati in favore delle vittime. Mi auguro che questo impegno continui e si
rafforzi nei prossimi anni.
Globalizzare
la fraternità, non la schiavitù né l’indifferenza
6. Nella sua
opera di «annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società»[9],
la Chiesa si impegna costantemente nelle azioni di carattere caritativo a
partire dalla verità sull’uomo. Essa ha il compito di mostrare a tutti il
cammino verso la conversione, che induca a cambiare lo sguardo verso il
prossimo, a riconoscere nell’altro, chiunque sia, un fratello e una sorella in
umanità, a riconoscerne la dignità intrinseca nella verità e nella libertà,
come ci illustra la storia di Giuseppina Bakhita, la santa
originaria della regione del Darfur in Sudan, rapita da trafficanti di schiavi
e venduta a padroni feroci fin dall’età di nove anni, e diventata poi,
attraverso dolorose vicende, “libera figlia di Dio” mediante la fede vissuta
nella consacrazione religiosa e nel servizio agli altri, specialmente i piccoli
e i deboli. Questa Santa, vissuta fra il XIX e il XX secolo, è anche oggi
testimone esemplare di speranza[10]per
le numerose vittime della schiavitù e può sostenere gli sforzi di tutti
coloro che si dedicano alla lotta contro questa «piaga nel corpo dell’umanità
contemporanea, una piaga nella carne di Cristo».[11]
In questa
prospettiva, desidero invitare ciascuno, nel proprio ruolo e nelle proprie
responsabilità particolari, a operare gesti di fraternità nei confronti di
coloro che sono tenuti in stato di asservimento. Chiediamoci come noi, in
quanto comunità o in quanto singoli, ci sentiamo interpellati quando, nella
quotidianità, incontriamo o abbiamo a che fare con persone che potrebbero
essere vittime del traffico di esseri umani, o quando dobbiamo scegliere se
acquistare prodotti che potrebbero ragionevolmente essere stati realizzati
attraverso lo sfruttamento di altre persone. Alcuni di noi, per indifferenza, o
perché distratti dalle preoccupazioni quotidiane, o per ragioni economiche,
chiudono un occhio. Altri, invece, scelgono di fare qualcosa di positivo, di
impegnarsi nelle associazioni della società civile o di compiere piccoli gesti
quotidiani – questi gesti hanno tanto valore! – come rivolgere una parola, un
saluto, un “buongiorno” o un sorriso, che non ci costano niente ma che possono
dare speranza, aprire strade, cambiare la vita ad una persona che vive
nell’invisibilità, e anche cambiare la nostra vita nel confronto con questa
realtà.
Dobbiamo
riconoscere che siamo di fronte ad un fenomeno mondiale che supera le
competenze di una sola comunità o nazione. Per sconfiggerlo, occorre una mobilitazione
di dimensioni comparabili a quelle del fenomeno stesso. Per questo motivo
lancio un pressante appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, e a
tutti coloro che, da vicino o da lontano, anche ai più alti livelli delle
istituzioni, sono testimoni della piaga della schiavitù contemporanea, di non
rendersi complici di questo male, di non voltare lo sguardo di fronte alle
sofferenze dei loro fratelli e sorelle in umanità, privati della libertà e
della dignità, ma di avere il coraggio di toccare la carne sofferente di Cristo[12],
che si rende visibile attraverso i volti innumerevoli di coloro che Egli stesso
chiama «questi miei fratelli più piccoli» (Mt 25,40.45).
Sappiamo che
Dio chiederà a ciascuno di noi: “Che cosa hai fatto del tuo fratello?”
(cfr Gen 4,9-10). La globalizzazione dell’indifferenza, che
oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi
di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità,
che possa ridare loro la speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino
attraverso i problemi del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta
con sé e che Dio pone nelle nostre mani.
Dal Vaticano,
8 dicembre 2014
FRANCISCUS
[1] N. 1.
[3] Cfr Esort.
ap. Evangelii gaudium, 11.
[4] Cfr Discorso alla
Delegazione internazionale dell’Associazione di Diritto Penale, 23 ottobre
2014: L’Osservatore Romano, 24 ottobre 2014, p. 4.
[5] Discorso ai
partecipanti all’Incontro mondiale dei Movimenti popolari, 28 ottobre
2014: L’Osservatore Romano, 29 ottobre 2014, p. 7.
[6] Cfr
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, La vocazione
del leader d’impresa. Una riflessione, Milano e Roma, 2013.
[7] Benedetto
XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 66.
[8] Cfr Messaggio al Sig.
Guy Ryder, Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in
occasione della 103ª sessione della Conferenza dell’O.I.L., 22 maggio
2014: L’Osservatore Romano, 29 maggio 2014, p. 7.
[9] Benedetto
XVI, Lett. enc. Caritas in
veritate, 5.
[10] «Mediante
la conoscenza di questa speranza lei era “redenta”, non si sentiva più schiava,
ma libera figlia di Dio. Capiva ciò che Paolo intendeva quando ricordava agli
Efesini che prima erano senza speranza e senza Dio nel mondo – senza speranza
perché senza Dio» (Benedetto XVI, Lett.enc. Spe salvi, 3).
[11] Discorso ai
partecipanti alla II Conferenza Internazionale Combating Human
Trafficking: Church and Law Enforcement in partnership, 10 aprile
2014: L’Osservatore Romano, 11 aprile 2014, p. 7; cfr Esort.
ap. Evangelii gaudium, 270.
Con la firma dell’8 dicembre, solennità
dell’Immacolata, Papa Francesco ci ha dato il messaggio per la Giornata della
Pace del 1 gennaio 2015 dal titolo “Non
più schiavi ma fratelli”. Il linguaggio di questo suo atto di magistero non
è nell’orizzonte della teologia di Rahner di cristiani anonimi ma nella
continuità dinamica della Tradizione: “Non si diventa però cristiani, figli del
Padre e fratelli in Cristo per una disposizione divina autoritaria, senza
l’esercizio della libertà personale, cioè senza convertirsi interamente a
Cristo”. Fin dall’inizio il Vangelo della
libertà si mostrò “capace di redimere le relazioni tra gli uomini, compresa
quella tar uno schiavo e il suo padrone. Mettendo in luce ciò che entrambi
hanno in comune: la filiazione adottiva e il vincolo di fraternità in Cristo”.
Nella creazione degli angeli e dell’uomo, esseri intelligenti, volenti, liberi,
capaci di essere amati e di amare, Dio ha autolimitato la sua onnipotenza che
rivela soprattutto nel perdono, nel ricreare ciò che il peccato distrugge. E quindi
è attuale anche il rischio della “sempre più diffusa piaga dello sfruttamento
dell’uomo che ferisce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere
relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità. Tale
abominevole fenomeno che conduce a calpestare i diritti fondamentali dell’altro
ed ad annullarne la libertà e dignità, assume molteplici forme”.
Il superamento della schiavitù, che certo
non fa parte del progetto di Dio per l’uomo fatto ad immagine sua come figlio
nel Figlio, introdotta nella storia
dalla “realtà negativa del peccato”, si deve al cristianesimo. Chi è cristiano
tenta e ritenta di essere liberato dal peccato e dal male verso cui è tentato
dal demonio che divide, da Satana che spinge all’odio fino alla schiavitù. Ed
ecco la lieta notizia di tutto il messaggio, alla luce della storia della fede
che spinge all’urgenza di una nuova evangelizzazione anche per il sociale: fratelli non si nasce ma si diventa
incontrando Cristo, convertendosi e assimilandosi a Lui, non senza l’esercizio
della libertà personale.
Anche storicamente le basi dottrinali per
la liberazione continua da ogni schiavitù sono venute e vengono dalla fede. La schiavitù, proprio
perché la liberazione non avviene senza la libertà, non è sparita rapidamente,
né dovunque. Per molti anni in diversi Paesi “il diritto stesso ammetteva che
alcune persone potevano o dovevano essere considerate proprietà di un’altra
persona, la quale poteva liberamente disporre di esse; lo schiavo poteva essere
venduto e comprato, ceduto e acquistato come se fosse una merce” Oggi questo
tipo di schiavitù è abolita, almeno “formalmente” , dovunque, e “il diritto di ogni
persona a non essere tenuta in stato di schiavitù o servitù è stato
riconosciuto nel diritto internazionale come norma inderogabile”. Tuttavia
“Malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di
porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse
strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone –
bambini, uomini e donne di ogni età –vengono private della libertà e costrette
a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù”.
Non si tratta solo dei Paesi – per fortuna
pochi dove ci sono ancora schiavi chiamati con questo nome. Ci sono “lavoratori
e lavoratrici, anche minori trattati più come schiavi che come persone libere”,
“tanto nei Paesi in cui la legislazione del lavoro è conforme alle norme e agli
standar minimi internazionali, quanto,, sia pure illegalmente, in quelli la cui
legislazione tutela il lavoratore”. Ci sono migranti trattati come schiavi dai
trafficanti sui barconi, “è privati dei loro beni o abusati fisicamente e
sessualmente”, e ancora “detenuti in condizioni a volte disumane” nei Paesi di
approdo o sfruttati come lavoratori clandestini.
Ci sono persone di ambo i sessi che non si
prostituiscono per scelta ma sono “costrette a prostituirsi, tra cui ci sono
molti minori”, una situazione comune anche “alle schiave e agli schiavi
sessuali; alle donne forzate a sposarsi, a quelle vendute in vista del matrimonio
o a quelle trasmesse in successione ad un familiare alla morte del marito senza
che abbiano il diritto di dare o non dare il proprio consenso”. Ci sono casi
orribili di “minori e adulti (che sono fatti oggetto di traffico e di
mercimonio per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati, per
l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di
stupefacenti, o per forme mascherate di adozioni internazionali”. Infine,
assomiglia alla schiavitù la condizione di “tutti coloro che vengono rapiti e
tenuti in cattività da gruppi terroristici, asserviti ai loro scopi come
combattenti o, soprattutto per quanto riguarda le ragazze e le donne, come
schiave sessuali. Tanti di loro spariscono, alcuni vengono venduti più volte,
mutilati, o uccisi”.
Papa Francesco pone delle domande: Perché
accade tutto questo? Perché, in forme diverse, ritorna e cresce la schiavitù? Sociologhi
e politolighi possono fare le loro analisi. Ma la Chiesa, in continuità con
tutto quello che nella storia la fede ha documentato, afferma che la causa della schiavitù, di ogni schiavitù è il peccato. “Oggi come
ieri, alla radice della schiavitù si trova una concezione della persona umana
che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto. Quando il peccato
corrompe il cuore dell’uomo e lo allontana dal suo Creatore e dai suoi simili,
questi ultimi non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli
e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti. La persona umana, creata
ad immagine e somiglianza di Dio, con la forza, l’inganno, e la costrizione
fisica o psicologica viene privata della libertà, mercificata, ridotta a
proprietà di qualcuno, viene trattata come un mezzo e non come un fine”. In
questo orizzonte non è possibile alcuna democrazia di uguali e fratelli come la
modernità secolare si illudeva senza il fondamento con il trascendente che ha
assunto il volto umano in Gesù Cristo e Risorto opera nella e attraverso la
Chiesa per tutti e per tutto.
Questa ragione ontologica della schiavitù,
consapevoli o inconsapevoli, è a monte delle cause sociologiche, economiche e
politiche, che spesso rimandano alle forme più gravi di miseria. “Non di rado,
le vittime del traffico o di asservimento sono persone che hanno cercato un
modo per uscire da una condizione di povertà estrema, spesso credendo a false
promesse di lavoro, e che invece sono
cadute nelle mani delle reti criminali che gestiscono il traffico di esseri
umani. Queste reti utilizzano abilmente le moderne tecnologie informatiche per
adescare giovani e giovanissimi in ogni parte del mondo”. Anche “la condizione
di coloro che sono disposti a tutto per arricchirsi va annoverata tra le cause
della schiavitù”: coinvolge la politica, e rimanda sempre al peccato di non
voler vedere l’essere di ogni individuo nella verità del suo essere dono unico
del Donatore divino e la destinazione a figlio nel Figlio.
Che fare, allora, contro l’attuale,
orribile forma di schiavitù? Ci troviamo di fronte, innanzitutto, “spesso
all’indifferenza generale”. Va, però, ricordato e fatto conoscere “l’enorme
lavoro silenzioso che molte congregazioni religiose, specialmente femminili,
portano avanti da tanti anni in favore delle vittime e che coinvolge tutta la
Chiesa, anche laddove la schiavitù in senso proprio esiste ancora… (quanto da
parte di tutti i cristiani ci dovrebbe essere attenzione e aiuto in questo
periodo avvento – natale). Ma al Chiesa non può rispondere alle tante forme di
schiavitù da sola: “Come le organizzazioni criminali utilizzano reti globali
per raggiungere il loro scopo così l’azione per sconfiggere questo fenomeno
richiede uno sforzo comune e altrettanto globale da parte dei diversi attori
che compongono la società” Stati, organizzazioni, ONG, imprese e anche consumatori,
che dovrebbero imparare a rifiutare prodotti nella cui fabbricazione sono stati
impiegati lavoratori schiavi”.
Mentre da anni svolge un ruolo di
coordinamento, la Chiesa non rinuncia a quello che è la ragione del suo stesso
essere e operare sacramentale cioè la liberazione da quella tendenza al male
con cui si è concepiti per il peccato originale e che si viene liberati dal
Sacramento del Battesimo e quindi il continuo peccato da cui si viene liberati
con il sacramento della Penitenza, come causa profonda della schiavitù che
dissolve uguaglianza, libertà fraternità cui ha puntato e punta la
secolarizzazione moderna oggi culturalmente egemone. Ogni uomo nascerebbe
buono, portato all’uguaglianza, alla fraternità nella libertà. Sarebbero le
strutture, le istituzioni la causa di tutto il male. Facendo rivoluzione,
cambiando le strutture tutti gli uomini diverrebbero uguali, fratelli nella libertà.
Il fallimento della rivoluzione borghese o marxista dovrebbe far pensare tutti,
come oggi ideologicamente attendere tutto dalla scienza e dalla tecnica. Occorre rifarsi
al deismo inglese, fatto proprio dalla Massoneria per evitare tutte le
guerre di religione, cioè pensare Dio come Architetto del mondo, come Orologiaio
che creato il mondo, Lui non c’entra con la storia e tutto è affidato non alla
fede nella presenza sacramentale del Risorto nella sacramentalità della Chiesa
per ricreare ciò che l’uomo aveva perduto nella cacciata dal paradiso
terrestre, ma dalla nuova forma della speranza cristiana cioè dalla fede nel
progresso. Secondo Bacone grazie alla sinergia scienza e prassi seguiranno
scoperte totalmente nuove, emergerà un mondo di liberi, uguali, fratelli,
totalmente nuovo cioè il regno dell’uomo.
La concretizzazione politica del cammino di questa speranza cristiana
avviene innanzitutto con la Rivoluzione francese di modalità borghese come il
tentativo di instaurare il dominio della ragione e della libertà anche per l’uguaglianza e la
fraternità in modo politicamente reale. L’Europa dell’Illuminismo, in un primo momento,
ha guardato affascinata, anche dai risultati scientifici, a questi avvenimenti, ma di fronte ai loro
sviluppi ha poi dovuto e ancora oggi deve riflettere in modo nuovo su ragione e
libertà per la fraternità. Utili sono due scritti di Immanuel Kant, in cui egli
riflette sugli eventi. Nel 1972 l’opera “La vittoria del principio buono su
quello cattivo e la costituzione di un regno di Dio sulla terra”. In essa egli
dice: “Il passaggio graduale dalla fede ecclesiastica al dominio esclusivo
della pura fede religiosa costituisce l’avvicinamento al regno di Dio”. Ci dice
anche che le rivoluzioni possono accelerare i tempi di questo passaggio dalla
fede ecclesiastica alla fede razionale. Il “regno di Dio”, di cui Gesù aveva
parlato ha qui ricevuto una nuova definizione e assunto una nuova presenza
senza alcuna presenza sacramentale,
ecclesiale di Lui risorto per liberare dal peccato e rendere possibile la
fraternità universale. Il Regno di Dio
assume una nuova presenza; esiste, per così dire, una nuova “attesa
immediata”: il “regno di Dio” arriva là dove la “fede ecclesiastica” nella
presenza sacramentale di Cristo per liberare dal male, dal peccato originale,
da quello attuale, viene superata e rimpiazzata dalla “fede religiosa”, vale a
dire dalla semplice fede razionale nella memoria storica del personaggio Gesù
di Nazareth e quindi senza più bisogno di parlare di parlare di peccato
originale, attuale e di liberazione sacramentale, ecclesiale. Nel 1795 dopo l’eccidio
della Vandea in nome della Rivoluzione per la fraternità, Kant prende in
considerazione la possibilità che, accanto alla fine naturale di tutte le cose,
se ne verifichi anche una contro la natura, perversa. Scrive a riguardo della
perdita della cultura cristiana di uguaglianza, libertà, fraternità: “Se il
cristianesimo un girono dovesse arrivare a non essere più degno di amore (…)
allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un
rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo (…) inaugurerebbe il
suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In
seguito, però, poiché il cristianesimo pur essendo stato destinato ad essere la
religione universale (come morale), di fatto non sarebbe stato aiutato dal
destino a diventarlo, potrebbe verificarsi,
sotto l’aspetto morale, la fine perversa di tutte le cose”. Il Concilio
Vaticano II ha puntato al dialogo con l’illuminismo anche con il tentativo
kantiano di Rahner del cristianesimo anonimo con l’utilità ma la non
essenzialità della presenza sacramentale della Chiesa. Questo non fu accettato
dalla maggioranza del Concilio, divenendo, però, dopo il concilio maggioranza. E oggi, con papa Francesco la Chiesa non
rinuncia a denunciare il peccato come accusa profonda della schiavitù e a
ricordare come ogni azione di contrasto “debba partire dalla verità sull’uomo”
redento da Cristo. La Chiesa non può limitarsi a considerazioni morali,
sociali, ma “ha il compito di mostrare a tutti il cammino verso la conversione
a Cristo”. Per quanto riguarda in particolare la schiavitù la Chiesa ha
canonizzato santa Giuseppina Bakhita, una “santa originaria della regione del
Darfur In Sudan, rapita da trafficanti di schiavi e venduta a padroni feroci
fin dall’età di nove anni, e diventata poi, attraverso dolorose vicende,
‘libera figlia di Dio’ mediante la fede vissuta nella consacrazione religiosa e
nel servizio agli altri, specialmente i piccoli e i deboli”. Santa Giuseppina
Bakhita è vissuta tra il XIX e il XX secolo, ma “è anche oggi testimone
esemplare di speranza per le numerose vittime della schiavitù e può sostenere
gli sforzi di tutti coloro che si dedicano alla lotta contro questa piaga nel
corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo”.
Papa Francesco conclude il suo messaggio,
così attuale: “Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: che cosa hai fatto
del tuo fratello” (Gen 4, 9-10). La globalizzazione dell’indifferenza, come
oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi
di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità,
che possa ridare loro la speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino
attraverso i problemi del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta
con sé, e che Dio pone nelle nostre mani”.
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