La presenza sacramentale dei trenta tre annni dell'Incarnazione fisica avviane nella Liturgia della Chiesa, fonte a cui promana tutta la sua energia

 

Rivista Liturgia culmen et fons n. 1° del 2025 Il Sacro, il Diritto e la Solennità nella liturgia Don Enrico Finotti Premessa L'allora cardinal J. Ratzinger ebbe a scrivere: «Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita etsi Deus non daretur: come se in essa non importasse più se Dio c'è e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più a comunione della fede, l'unità universale della Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora la comunità celebra solo sé stessa, senza che ne valga la pena. E, dato che la comunità in sé stessa non ha sussistenza, ma, in quanto unità, ha origine per la fede dal Signore stesso, diventa inevitabile in queste condizioni che si arrivi alla dissoluzione in partiti di ogni genere, alla contrapposizione partitica in una Chiesa che lacera se stessa. Per questo abbiamo bisogno di un nuovo movimento liturgico, che richiami in vita la vera eredità del concilio VaticanoII»

1. La correlazione tra Chiesa e Liturgia è comprensibile alla luce di una notissima locuzione assunta dalla Costituzione liturgica conciliare Sacrosanctum Concilium: «Nondimeno la liturgia è il culmine (culmen) verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte (fons) da cui promana tutta la sua energia» (SC 10). Evidentemente se il cuore è malato tutto il corpo ne viene debilitato. Ora culmen et fons significa che la liturgia è il motore dell'intera vita della Chiesa e senza di questa viene meno la circolazione della grazia in tutto l'organismo vivo del Corpo mistico di Cristo. San Leone Magno (+461) afferma: «Ciò che era visibile del nostro Salvatore è passato nei suoi sacramenti»

2. Ciò significa che la presenza personale del Signore e tutte le sue azioni salvifiche permangono in modo efficace nei suoi Misteri, celebrati nel complesso plenario della liturgia. La promessa del Signore: Io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo () si realizza in modo del tutto primario ed unico nelle celebrazioni liturgiche in genere e nel Sacrificio e nei Sacramenti in specie. Mediante la liturgia l'opera della nostra redenzione, già compiuta nella vita storica del Salvatore, si estende in modo efficace nel tempo per raggiungere tutti gli eletti e sanare il creato in vista della sua rigenerazione nei cieli e terra nuovi da Lui promessi. Occorre allora avere uno sguardo plenario sull'intero arco dei secoli in modo da intendere la liturgia della Chiesa, nella diversità legittima dei suoi Riti e nel suo sviluppo omogeneo ed organico, come 1 J. RATZINGER, La mia vita. Ricordi, San Paolo, 1997, p. 88. 2SAN LEONE MAGNO, Sermo 74, 2: CCL 138A, 457 (PL 54, 398. 3La presenza e l'azione soprannaturale del Kyrios, immolato e glorioso, che rende attuale ed efficace l'opera della nostra redenzione. Le forme rituali sono molteplici e gli stadi del suo sviluppo sono successivi, ma l'opera della nostra salvezza resta indenne e sempre fresca ed attuale mediante le azioni liturgiche valide e legittime approvate dall'autorità della Chiesa: nel Rito romano o in quello bizantino, nei diversi altri Riti occidentali o nei molteplici riti orientali; nella liturgia antica o in quella medioevale; in quella dell'evo moderno o dell'evo contemporaneo, risuona sempre solenne la voce del Signore, si innalza con diversi accenti il suo culto perfetto al Padre, si attuano con efficacia infallibile i suoi gesti sacramentali. Evidentemente la liturgia nella sua parte immutabile ed essenziale3 non può mai venir meno o corrompersi nella sua natura più intima, nella sua santità e nella sua efficacia di grazia. La liturgia infatti partecipa (come la dottrina) dell'indefettibilità e dell'infallibilità che riveste la Chiesa in quanto tale, essendo la parte precipua dell'esse e dell'agere della Chiesa stessa fino alla fine del mondo (culmen et fons). Il collasso della liturgia sarebbe il collasso della Chiesa in quanto verrebbe a mancare la Presenza divina e l'azione soprannaturale e vivificante del Signore, Capo invisibile della Chiesa sua indefettibile sposa. La liturgia è parte intrinseca e primaria del Depositum fidei, che deve essere conservato e trasmesso integro di generazione in generazione. Tale Depositum contiene in intima connessione la Lex credendi, la Lex orandi e la Lex vivendi. La medesima cura che deve essere riservata alla retta dottrina (l'ortodossia in credendo) e alla retta morale (ortoprassi in agendo) deve essere riservata anche alla liturgia (l'ortodossologia in orando). È allora evidente che la liturgia non è creata dalle varie generazioni cristiane quale espressione del loro senso religioso o prodotta in continuazione dal contesto locale delle varie comunità cristiane, ma la liturgia viene da lontano e, scaturita dall'unica sua legittima sorgente Cristo Gesù, viene trasmessa con una ininterrotta tradizione fino a noi. Da ciò il carattere intrinsecamente tradizionale della liturgia in analogia con ciò che avviene per la dottrina e la disciplina universale della Chiesa: Vi ho trasmesso quello che anch'io ho ricevuto (1 Cor 11,8). Tale tradizione viene espressa dall'apparente trascurabile rito del fermentum nella Messa: il fermentum immesso nel calice (immixtio) attesta una triplice comunione: signum resurrectionis, signum communionis per orbem e signum communionis in saecula

3. In questa terza immixtio si tratta della tradizione eucaristica che ogni generazione cristiana riceve dai secoli che la precedono. Anche le Consegne liturgiche del Credo e del Pater attestano come la liturgia (Pater) sia consegnata nella interrotta tradizione e non creata dalle successive generazioni cristiane. 3Cfr. CONCILIO TRIDENTINO, Decreto sui sacramenti, Canoni sui sacramenti in genere, Can. 13: «Se qualcuno afferma che i riti ricevuti e approvati nella Chiesa cattolica e abitualmente usati nell'amministrazione solenne dei sacramenti, possono essere disprezzati o tralasciati dai ministri a loro piacere, senza che commettano peccato, o cambiati in altri nuovi da qualsiasi pastore ecclesiastico: s. a. »; VATICANO II, SC, 21: «…la liturgia consta di una parte immutabile, perché di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o anche devono variare, qualora in esse si fossero insinuati elementi meno rispondenti all'intima natura della stessa liturgia, o si fossero resi meno opportuni».

4.In alcune fasi di sviluppo della Messa Romano il sacerdote, tra l'altro, infonde nel calice anche un frammento di oblata preconsacrata (presantificata) portata all'altare per significare la comunione con l'intera catena eucaristica dei secoli. 2Naturalmente per dare un giudizio retto sulla liturgia ci si deve riferire all' Editio typica edita nei libri liturgici approvati e non sulle sue realizzazioni abusive, che infestano i social e profanano la stessa liturgia. È allora necessario conoscere le proprietà costitutive della liturgia per poi vagliare il suo stato di salute nella vita attuale della Chiesa. In questa riflessione raccoglierò in tre fulcri basilari l'analisi della liturgia: il sacro, il diritto e la solennità. Tali accenti potrebbero a prima vista apparire marginali, ma in realtà sono pilastri portanti per la retta liturgia e senza di essi il culto liturgico collassa irrimediabilmente. I Il Sacro nella liturgia La liturgia possiede intrinsecamente un carattere sacro, anzi possiamo dire che è il Sacro stesso che si relaziona a noi e ci avvolge con la sua ineffabile ombra. Ora il sacro si realizza lì dove si percepisce la Presenza di Dio e la sua Azione di salvezza: «Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (SC 7). Ed ecco allora il primato della Presenza divina che pervade totalmente la celebrazione liturgica e il luogo santo dove tale celebrazione avviene. 1. La Presenza personale in forma sacramentale del Kyrios nella liturgia La Presenza divina, che innerva la celebrazione liturgica, non è semplicemente una Presenza delegata o vicaria di Cristo nella sua realtà di Verbo incarnato e glorificato, bensì di una singolare Presenza che possiamo a buon diritto chiamare sacramentale: il Kyrios, immolato e glorioso, infatti è presente personalmente nelle preci e nei gesti liturgici, in modo che il popolo santo abbia sacramentalmente il contatto vivo con la sua Persona divina (come fisicamente si è rivelata nei 33 anni dell'Incarnazione). Questa Presenza personale la si chiama sacramentale perché si realizza nella medesima modalità dei sacramenti, che significano e producono la vita di grazia. Nello stesso modo nella liturgia la Presenza del Signore e le sue azioni salvifiche sono significate da segni visibili e da essi realizzate misticamente e in tutta verità. Quando invece, nella nostra esperienza, si affida la nostra presenza e le nostre decisioni ad un rappresentante, un delegato, un vicario, in realtà noi non siamo personalmente presenti ed operanti, ma egli lo è a nome nostro, è colui che ci rappresenta. Inoltre tra il mandante e il delegato vi è una notevole diversità, al punto che questi potrebbe influire alquanto sulla missione ricevuta con espressioni, gesti, parole e scelte, che pur fedeli alla sostanza della sua missione, apportano ad essa molteplici variazioni o anche possano tradire il mandato stesso. Il Signore, diversamente, nella liturgia ha voluto avere una presenza personale, ossia ha voluto esserci direttamente con la sua Persona in modo che al sacerdote (delegato, vicario, ministro) restasse il minimo di divaricazione possibile nel rendere visibile il Signore invisibile e ricevere fisicamente la sua azione santificante. San Tommaso d'Aquino ha espresso con efficacia la funzione del ministro sacro, quando distingue tra il ruolo della natura umana del Figlio di Dio da quello del ministro nella liturgia: la prima è detta instrumentum coniunctum, mediante il quale la divinità comunicava visibilmente con gli uomini nei giorni della vita terrena del Signore; il secondo è detto instrumentum separatum mediante il quale il Risorto, dopo la sua Ascensione, comunica con la sua Chiesa nelle azioni sacre fino al termine dei secoli. Diverso è ciò che appare: la sua reale persona fisica nei giorni della Sua permanenza sulla terra; i ministri sacri nella liturgia della Chiesa nell'arco dei secoli. Tuttavia si tratta sempre di una presenza personale e diretta di Lui, che effettivamente sta qui davanti a me e su di me opera in ordine alla mia santificazione. Una modalità così singolare, che chiamiamo appunto sacramentale, non la si trova sulla terra e non fa parte della nostra esperienza comunicativa, ma è una creazione del tutto unica e specifica che il Signore volle istituire in ordine alla presenza e all'azione di Lui, che si verifica soltanto nella celebrazione liturgica. Se allora gli uomini poterono udire fisicamente la sua voce fisica, i suoi gesti naturali, l'espressione del suo Volto divino, il suo sguardo penetrante, i suoi movimenti e l'insieme del suo atteggiarsi nell'esporre esistenzialmente la Verità divina sussistente che era Lui in persona; oggi e nel tempo che segue all'Ascensione, tutto ciò, dice san Leone Magno, passa nei santi misteri (o sacramenti in senso lato) ossia nel complesso plenario e variegato dei riti liturgici della Chiesa, dove si vede solo l'istrumentum separatum dei ministri. San Leone Magno ai neofiti, usciti dalla rigenerazione battesimale, rivolge queste parole: Hai visto il levita, il sacerdote e il Sommo sacerdote…. Certamente l'involucro umano della ministerialità liturgica non sempre edifica e si nota la distanza infinita tra l'umanità perfetta del Salvatore, che allora fisicamente operava e che si imponeva per la presenza in Lui dell'autorità divina, e la povera nostra umanità post-lapsaria, che a fatica e con incostanza può reggere nell'impervia missione di dover essere voce di Cristo, mano di Cristo, volto di Cristo, gesto di Cristo, canto di Cristo, ecc. Tuttavia non si tratta di una Presenza delegata al ministro sacro di qualsiasi grado, o vicaria di Lui, ma mediante la debole consistenza della persona del sacerdote Cristo Gesù è Presente personalmente, varia soltanto la forma esterna della manifestazione e della comunicazione: allora la sua natura umana, oggi i segni sacramentali posti dal sacerdote, ma la Persona divina del Signore è veramente qui davanti a me e i gesti sacramentali sono i suoi gesti e le parole rituali sono la sua parola vivente ed efficace. Evidentemente la considerazione di questo meraviglioso mistero della Presenza ci deve riempire il cuore di stupore e di commozione mistica, come del resto ci testimoniano i Santi, che ne ebbero una percezione del tutto straordinaria per i doni soprannaturali di cui furono dotati. 2. La locuzione in persona Christi La Chiesa per esprimere questo mistero della Presenza personale del Signore ha creato una locuzione del tutto appropriata: in persona Christi. Alla luce di questa lapidaria locuzione si comprende la profondità misterica di ciò che veramente si compie: non si tratta di rappresentare il Signore, né semplicemente di fare il suo portavoce, o di agire in suo nome, o di comunicare in qualche modo la sua volontà con espressioni lasciate alla discrezione del sacerdote, ma di essere investiti in modo soprannaturale dalla potenza stessa della Persona viva del Signore, che qui si rende presente e che si serve del ministro sacro con la sua persona concreta, il tono della sua voce, la modalità dei suoi gesti, ecc., come riflessi umani e diretti della sua stessa Presenza dinamica che, qui ed ora, si incontra e da cui esce la potenza della sua grazia che sanava tutti (cfr. Lc 6,19). Tutto ciò in modo che la stessa azione e parola del sacerdote coincide con l'azione invisibile e la parola 4divina del Signore. Infatti quando il sacerdote battezza è Cristo in persona che battezza ecc. Nel caso, invece, di una missione compiuta su delega, il delegante non è né presente, né agente, ma la presenza e l'azione è esclusivamente del delegato, anche se ha ricevuto l'approvazione previa e gode del valore giuridico stabilito dal delegante. Non così nella liturgia, ma secondo quella modalità sacramentale che la locuzione in persona Christi esprime con precisione, anche se non ne possiamo comprendere fino in fondo la portata soprannaturale. Nella Lettera Sacerdotium ministeriale la Congregazione per la dottrina della fede afferma: «Cristo Signore contrassegna spiritualmente coloro che chiama all'episcopato e al presbiterato con un particolare sigillo mediante il sacramento dell'ordine, sigillo chiamato carattere, anche in documenti solenni del magistero, e li configura talmente a sé che essi, allorché pronunciano le parole della consacrazione, non agiscono per mandato della comunità, ma in persona Christi, il che vuol dire di più che 'a nome di Cristo' oppure 'nelle veci di Cristo' […] poiché il celebrante, per una particolare ragione sacramentale, si identifica con il 'sommo ed eterno Sacerdote', che è l'autore e il principale attore del suo proprio sacrificio, nel quale in verità non può essere sostituito da nessuno»5. Occorre tuttavia saper distinguere nelle azioni liturgiche il diverso uso e significato dell'espressione in persona Christi. Infatti vi è un'applicazione in senso stretto e una in senso lato. San Tommaso d'Aquino dichiara che in senso stretto l'azione in persona Christi si compie unicamente nella pronunzia della forma essenziale del Sacrificio e dei sette Sacramenti6: soltanto in questi casi l'azione del sacerdote coincide totalmente con quella di Cristo al punto che la Chiesa non lascia al sacerdote alcun margine di libertà, ma esige un'osservanza integrale e rigorosa del gesto (materia) e della parola sacra (forma), che producono il Sacramento. In questo caso l'umiltà e la docilità del sacerdote deve essere somma e la precisione delle rubriche in merito non deve lasciare alcun spazio all'equivoco. Qui veramente si deve compiere nel ministro e nei fedeli il massimo dell'obbedienza adorante. Questo è il motivo per cui alla locuzione in persona Christi si lega quest'altra: ex opere operato. Infatti la produzione perfetta ed infallibile della grazia sacramentale (ex opere operato) si verifica proprio perché qui si giunge ad una coincidenza assoluta con l'azione personale del Signore, senza sbavature di sorta o aggiunte o detrazioni mistificanti. Non ha alcun senso impugnare il rigore delle rubriche relative a tale parte centrale della liturgia, perché è proprio tale rigore e definizione che assicura al sacerdote e al popolo di poter con certezza e sicurezza ricevere il tocco santificante della grazia. Un'indebita arbitrarietà o creatività in merito sarebbe invalidante della Presenza e degli atti divini del Verbo incarnato che qui agisce. Il Concilio Vaticano II in alcuni suoi documenti usa in senso lato la locuzione in persona Christi, quando la applica anche al munus docendi e al munus regendi del Vescovo e del Presbitero7. In realtà i Vescovi e i presbiteri agiscono con l'autorità di Cristo Capo della Chiesa anche quando annunziano il Vangelo nella sacra predicazione e governano il popolo di Dio. In senso lato quindi si 5 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera Sacerdotium ministeriale, in Enchiridion Vaticanum, EDB, 1987, vol. 9°, n. 390. 6 La locuzione in persona Christi si trova usata in senso più proprio (stricte) ad es.  in LG n. 10: «sacrificium eucharisticum in persona Christi conficit » e in CIC, Can. 900-§ 1. Minister, qui in persona Christi sacramentum Eucharistiae conficere valet, est solus sacerdos valide ordinatus». 7La locuzione in persona Christi si trova usata in senso lato in alcuni documenti del Vaticano II: cfr. LG n. 21: « ut episcopi, eminenti ac adspectabili modo, ipsius  Christi magistri, pastoris et pontificis partes sustineant et in eius persona agant»; PO n. 2: «in persona Christi Capitis agere valeant»; e in CIC, Can. 1008 - «in persona Christi Capitis munera docendi, santificandi et regendi adimplentes, Dei populum pascant». 5può dire che tutta la triplice azione ministeriale secondo i tre munus docendi, santificandi et reggendi si svolga appunto in persona Christi capitis. Tuttavia nell'esercizio del munus docendi e reggendi i sacerdoti hanno certamente la grazia specifica dell'Ordine, che fluisce costantemente dal carattere sacramentale impresso nella loro anima, ma questo richiede una continua corrispondenza in termini di preparazione, spiritualità, docilità al magistero ed esercizio ascetico. Senza questa corrispondenza la stessa autorità di Cristo di cui sono investiti non garantisce l'effetto di grazia. Possiamo rilevare che all'infuori del Sacrificio e dei Sacramenti l'ex opere operato dell'azione compiuta in persona Christi si verifica solo in un caso: la dichiarazione infallibile di un dogma da pare del Sommo Pontefice o dell'Ordo Episcoporum, una cum Petro et sub Petro. 3. Una presenza vera, reale e sostanziale Il Concilio Tridentino ebbe un'espressione perfetta per descrivere le diverse forme della presenza personale e sacramentale del Signore nella liturgia. Si tratta della nota locuzione che si legge nel Decreto tridentino sulla santissima Eucaristia: vere, realiter et substantialiter. Vi è quindi una diversa modalità della presenza di Cristo nelle azioni liturgiche: «Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell'Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l'anima e la divinità, e, quindi, il Cristo tutto intero, ma dirà che esso vi è solo come un simbolo o una figura, o solo con la sua potenza (virtute): sia anatema»8.- Una presenza VERA significa oggettiva, esterna a noi, non frutto della nostra percezione psicologica, indipendente dai nostri sentimenti e sovrana rispetto alle nostre interpretazioni. - Una presenza REALE significa che, dopo la sua Incarnazione, il Signore resta per l'eternità il Dio-uomo, il Verbo eterno fatto carne e con la sua umanità glorificata siede per sempre alla destra del Padre ed è presente ed agente nella sua Chiesa, che cammina nel tempo e nello spazio. Ogni intervento del Kyrios è ormai legato al suo essere incarnato ed ogni azione passa attraverso la sua gloriosa corporeità che, invisibile a noi, si fa comunque visibile e tangibile nei santi segni, nelle parole mistiche e nei ministri sacri. In tutte le azioni liturgiche quindi il Signore possiede una Presenza caratterizzata da questi due avverbi: vere et realiter. A questo punto subentra una divaricazione tra le due modalità ulteriori e somme con le quali il Signore opera nel massimo grado dell'ex opere operato. Si tratta dei due avverbi virtualiter e substantialiter: - Una presenza VIRTUALE che è propria dei sette Sacramenti. Egli è presente con la sua virtù nei Sacramenti (SC n.7), ossia, mediante il segno visibile e fisico di ciascun Sacramento, produce l'effetto di grazia da esso significato. In altri termini la materia dei Sacramenti non viene alcunché mutata nella sua natura, ma attraverso questa il Signore fa passare la virtù divina che salva a seconda della specificità propria di ogni Sacramento9. 8CONCILIO TRIDENTINO, Decreto sul santissimo sacramento dell'Eucaristia, Sessione XIII, Can. 1. 9Ora, anche nella proclamazione liturgica della Parola di Dio e quando la Chiesa loda e supplica, agisce la virtù del Kyrios, ma in questi due casi opera in modo, per così dire, indeterminato, mentre nei sette Sacramenti opera in modo determinato in precisi atti visibili ed effetti invisibili specifici ad essi connessi. 6- La presenza SOSTANZIALE, che è propria ed unica nel divin Sacrificio e nel Santissimo Sacramento. Qui le oblate (pane e vino) vengono radicalmente mutate nel loro stesso essere ontologico, ossia nella loro sostanza e restano soltanto le apparenze (accidenti). Si tratta del miracolo della transustanziazione che implica la Presenza personale e fisica per così dire (ad modum substantiae) dell'Autore stesso della grazia e che richiede la nostra adorazione. Soprattutto in relazione alla presenza eucaristica si può capire l'alto grado di sacralità che deve avvolgere sia la celebrazione liturgica, sia il luogo sacro. Anzi la custodia permanente del Santissimo Sacramento nelle chiese cattoliche fa in modo che la liturgia sia celebrata in ogni ora del giorno e della notte, perché il Sommo nostro Sacerdote sta sull'altare con le sue mani levate per intercedere per noi a nostro favore presso il Padre: Egli sta contemporaneamente alla destra del Padre e sui nostri altari. Il tabernacolo eucaristico è il luogo santo dal quale sale alla Trinità divina un culto perfetto ed incessante. Per questo richiede la centralità quale cuore vivente delle nostre chiese (Paolo VI: Credo del popolo di Dio, 1968). Lì dove vi è la Persona del sovrano non può essere messa la sua immagine. Per questo i simboli liturgici non possono occupare quella centralità che compete soltanto alla Presenza viva e personale del Signore sostanzialmente vivo e vero nell'adorabile Sacramento. 4. Le cinque forme della reale presenza nella liturgia Il Concilio Vaticano II affronta il tema della presenza di Cristo nella liturgia nella Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium al n. 7. Il concetto tradizionale di Presenza reale, applicato precedentemente alla sola presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento, viene esteso a tutto l'arco della liturgia e determinato in cinque forme specifiche. Il Signore è veramente e realmente presente in tutto il complesso delle azioni liturgiche, ma con intensità diverse e specifiche. Le enumero secondo l'ordine adottato dal testo conciliare: nel ministro, sotto le specie eucaristiche, nei sacramenti, nella parola, quando la Chiesa prega e loda. «Per realizzare un'opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della Messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che,  "offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti », sia soprattutto (maxime) sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18,20) (SC n. 7). In queste cinque modalità il Signore è veramente e realmente presente e operante, in quanto la sua presenza ed azione è vera ed è reale: si tratta di un intervento divino oggettivamente efficace e di un incontro reale col Verbo incarnato, ossia con la potenza della sua stessa carne glorificata, indissolubilmente unita per l'eternità alla sua persona divina. Questo importante passaggio in Sacrosanctum Concilium (n.7) costituisce certamente un progresso nell'esplicitazione del mistero della divina presenza del Signore nella liturgia. Ciò valorizza non soltanto il vertice di tale presenza, nelle Specie eucaristiche, ma anche le altre forme nelle quali il Signore agisce nella liturgia per la nostra santificazione. In tal senso l'intero complesso liturgico 7assume un carattere sacro e richiede una degna celebrazione sotto tutti gli aspetti e in tutte le sue parti. Nell'Enciclica Mysterium fidei il papa Paolo VI attesta il carattere reale (realiter) di tutte le suddette forme della Presenza di Cristo nella liturgia e ne afferma al contempo la peculiarità specifica della Presenza nelle sacre Specie: «Tale presenza si dice reale non per esclusione, quasi che le altre non siano reali, ma per antonomasia perché è anche corporale e sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente»10 . In questo quadro più ampio del concetto di presenza reale, tuttavia, bisogna specificare bene e con precisione il valore e l'eminenza della presenza eucaristica rispetto alle altre. Infatti il testo di Sacrosanctum Concilium (SC 7) usa l'avverbio maxime (soprattutto sotto le specie eucaristiche) e il papa Paolo VI nella sua enciclica Mysterium fidei usa l'espressione per antonomasia. Ora tali espressioni (maxime e per antonomasia) in realtà sembrano piuttosto deboli e richiedono di essere ulteriormente precisate. Infatti, tra le varie forme della presenza reale, quella eucaristica non è eminente soltanto sul piano della qualità o dell'intensità, ma tra la forma della presenza nelle specie eucaristiche e le altre forme vi è un salto di essenza che deve necessariamente essere dichiarata col termine sostanziale. Non si tratta dunque di una presenza di grado superiore, ma di diversa essenza. È questa determinazione specifica che distingue tra una presenza vera e reale, comune a tutte le cinque forme di presenza, da quella unica ed essenzialmente diversa che è quella dovuta al mutamento della sostanza stessa delle oblate nel Corpo e nel Sangue del Signore11. Si possono perciò comprendere le splendide parole con le quali il Concilio Vaticano II ha voluto definire la liturgia e dichiarare la sua intrinseca sacralità: «Effettivamente per il compimento di quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l'invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all'eterno Padre. Giustamente perciò la liturgia è considerata come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell'uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (SC 7). II Il Diritto nella liturgia Dopo l'affermazione del carattere sacro della liturgia e, conseguentemente, dell'evento soprannaturale che in essa si attualizza, è necessario chiedersi: Dove trovo la liturgia? Come individuare tali azioni così misteriose nell'ambito della vita della Chiesa? Qualsiasi preghiera è liturgica? Quali sono i connotati che configurano un'autentica celebrazione liturgica rispetto ad altre forme di culto? 10 PAOLO VI, Enciclica Mysterium fidei, 3 luglio 1965, in Enchiridion Vaticanum, EDB, 1979, vol. 2°, n. 424. 11 Il concetto è analogo alla differenza che intercorre tra sacerdozio regale e sacerdozio ordinato: non si tratta di una differenza solo di grado, ma di essenza. Infatti al carattere impresso dal Battesimo si aggiunge quello impresso dal sacramento dell'Ordine sacro. 81. Il Diritto distingue la liturgia dal culto privato Una mentalità superficiale ritiene che ogni espressione cultuale sia da annoverare come liturgia. Non è raro dover percepire che la liturgia è qualsiasi incontro di preghiera comunitario che vien proposto in parrocchia o in un gruppo cristiano di spiritualità. Ci si riunisce in preghiera e questa è ritenuta per ciò stesso liturgia. Tale convinzione viene giustificata col ricorso al versetto evangelico: Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro (Mt 18, 20). Quindi pii esercizi importanti (rosario, via crucis, processioni, ecc.) e creazioni locali di veglie, manifestazioni religiose e quant'altro sono ingenuamente ritenute come celebrazioni liturgiche. Ed è a questo punto che interviene il Diritto nella liturgia, mediante il quale la Chiesa definisce le azioni liturgiche e le distingue chiaramente dalle altre forme del culto cristiano, che sono i pii esercizi e la preghiera privata. Questa distinzione, che ha carattere giuridico, è di somma importanza perché la differenza tra la preghiera liturgica e quella extra liturgica sta innanzitutto nella dignità del diverso Soggetto orante e agente: mentre nel culto privato ed individuale e negli stessi raduni pubblici per quanto numericamente estesi e tradizionali opera il nostro io individuale o il noi qui sociologicamente radunati che si rapportano con Dio con il peso e il limite della loro povera umanità peccatrice; nella liturgia il Soggetto è Cristo stesso in unione indissolubile con la Chiesa qua talis, sua sposa. Ecco il fondamento soprannaturale della dignità infinita ed immensa della liturgia cattolica: è Cristo che rende il suo culto perfetto al Padre e con lui è la Chiesa santa e cattolica che si unisce inseparabilmente al culto del suo Capo divino. Evidentemente il culto di Cristo e della Chiesa ha una dignità assoluta ed ha sempre un'efficacia infallibile.  Il cristiano, a differenza dei pii esercizi e della preghiera individuale (incentrati perlopiù sulla sensibilità religiosa e sulle necessità esistenziali immediate), è chiamato ad uscire da sé per entrare con gioia nel flusso vitale del culto di Cristo (la liturgia) e in tal modo accedere alla divina Maestà. Bisogna insomma essere educati a deporre l'utilità immediata e la fisionomia soggettiva di ciascuno, per quanto legittime, per inserirsi, con abbandono di fede, nell'ascendere col Signore alle altezze dei cieli nell'orizzonte della divina volontà. In tal senso la liturgia è intrinsecamente teocentrica e nel conversi ad Dominum trova il suo orientamento più autentico e nobile. L'orientamento antropocentrico invece, colpisce la liturgia nella sua essenza più profonda, in quanto oscura l'abnegazione di sé e la consegna piena e generosa a Dio in Cristo Gesù. Certamente la liturgia è attenta pure ai fedeli e alla concreta assemblea convocata, ma tale attenzione sta in secondo piano e riceve dall'adorazione, come primo moto liturgico, il suo beneficio spirituale. Non a caso i fedeli stanno fianco a fianco nell'assemblea sacra, con lo sguardo comune rivolto all'altare, dove avvengono i santi misteri, e la relazione reciproca è laterale e non frontale (es. camminare sulla circonferenza del cerchio faccia a faccia oppure procedere verso il centro con lo sguardo al centro? In questo secondo modo di procedere si raggiunge tutti il centro senza attriti diretti gli uni con gli altri). Ebbene come individuare allora questo luogo eccelso e questo culto sublime che chiamiamo liturgia? Ci soccorre il diritto canonico che recita: Can. 834 - §1. «La Chiesa adempie la funzione di santificare in modo peculiare mediante la sacra liturgia, che è ritenuta come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo, nel quale per mezzo di segni sensibili viene significata e realizzata, in modo proprio a ciascuno, la santificazione degli uomini e viene 9esercitato dal Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle membra, il culto di Dio pubblico integrale». §2. «Tale culto allora si realizza quando viene offerto in nome della Chiesa da persone legittimamente incaricate e mediante atti approvati dall'autorità della Chiesa». La liturgia ha quindi dei confini stabiliti e delle condizioni precise per attuarsi. Come si evince dal suddetto Canone vi sono tre condizioni affinché si attui il culto di Cristo e della Chiesa sua sposa, ossia la liturgia: persone legittimamente incaricate (ministro), che agiscono in nome della Chiesa (intenzione) e pongono atti approvati dall'autorità della Chiesa (materia e forma). Le tre condizioni non sono che l'estensione alle medesime condizioni che sono necessarie (in senso lato) per produrre i Sacramenti (in senso stretto): ministro con l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, la materia e la forma. Possiamo allora contemplare il complesso delle azioni liturgiche così strutturate: 1. Il divin Sacrificio (la Messa) sta al vertice dell'intero complesso liturgico quale culmen et fons di tutti gli altri riti; 2. I sette Sacramenti, quali interventi diretti del Signore nelle situazioni nodali della vita umana; 3. I Sacramentali, come estensione nello spazio della grazia fluente dal Sacrificio e dai Sacramenti; 4. La Liturgia delle Ore, come estensione nel tempo della medesima grazia; 5. Le esequie cristiane. Poi vi è l'insieme dei Pii esercizi come atti di culto esterni alla liturgia, anche se intimamente orientati ad essa e da essa il più possibile informati. 2. Per ritus et preces Il Diritto, che stabilisce le condizioni perché si realizzi un atto liturgico, distinguendo la liturgia dal culto privato e dai pii esercizi, entra anche all'interno dei sacri riti per ordinarli nei loro elementi costitutivi in modo che corrispondano adeguatamente alla loro identità e finalità intrinseche di culto pubblico e ufficiale, che ha per Soggetto agente Cristo e la Chiesa. La Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium offre una locuzione breve e sintetica per indicare l'intero complesso degli elementi liturgici che intessono il rito: per ritus et preces (SC 48). Per ritus si intende l'insieme dei gesti, dei simboli e dei movimenti che danno forma ad un rito, mentre per preces si intende l'insieme variegato delle orazioni che si proclamano o si cantano (eucologia maggiore e minore) ed anche i canti del proprio e dell'ordinario. Nei libri liturgici i riti (ciò che si deve fare) sono indicati dalle rubriche (in rosso), mentre le preci sono riportate integralmente nel carattere nero. La fedeltà nell'osservanza dei riti e delle preci è indispensabile per non corrompere la liturgia nei suoi contenuti oggettivi e nelle sue forme legittime, conformi al dogma della fede e in continuità con la tradizione apostolica. Ecco perché in Sacrosanctum Concilium si afferma: «Regolare la sacra liturgia compete unicamente all'autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede apostolica e, a norma del diritto, nel vescovo. In base ai poteri concessi dal diritto, regolare la liturgia spetta, entro limiti determinati, anche alle competenti assemblee episcopali territoriali di vario genere legittimamente costituite. Di conseguenza assolutamente nessun altro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica» (SC 22). 10Spesso si contesta il rigore giuridico di una liturgia regolata da riti e preci fissati, ricorrendo al termine autenticità, quasi che l'osservanza rigorosa di leggi e testi prescritti non permetta l'autenticità della preghiera intesa come libera espressione di sentimenti soggettivi ed effimeri. In realtà l'autenticità si realizza soltanto nella fedeltà al rito e al testo sacro celebrato e proclamato con partecipazione interiore e adesione profonda al significato sotteso a ciascuna prece ed elemento rituale. Incrinare i contenuti oggettivi e le forme stabilite dalla liturgia con variazioni soggettive di ogni genere provoca una falsificazione della liturgia che non corrisponde più al pensiero del soggetto operante in essa, ossia Cristo e la Chiesa. Si verificherebbe in tal modo una indebita sostituzione: il culto di Cristo cederebbe il posto al misero pensiero umano e a quello, volta a volta cangiante, degli animatori di turno, che non di rado è ideologico. La liturgia, infatti, non celebra quella religione naturale, che è insita nel cuore umano, e si esprime anche in talune circostanze sociali, ma celebra il culto perfetto di Cristo, che ci è dato dall'Alto ed ha carattere soprannaturale. La liturgia cattolica non è propriamente creata dagli uomini, ma è consegnata da Dio nel suo Figlio unigenito ed è trasmessa di generazione in generazione fino al presente. La liturgia non è perciò un prodotto della religiosità naturale, ma è conservata e consegnata nel depositum fidei affidato alla Chiesa. Si pensi al valore delle Consegne ai catecumeni del Simbolo, del Pater: il dogma della fede (Simbolo) e la norma della preghiera (Pater) vengono consegnati dalla Chiesa ad ogni credente affinché abbia la vita eterna. 3. Liturgia: protocollo o canovaccio? Nella costante tradizione liturgica orientale e occidentale e fin dalla formazione dei grandi Riti liturgici (sec. IV) la Chiesa ha sempre definito con la massima precisione rubricale lo svolgimento degno ed integro dei sacri riti. Questa meticolosità rubricale è dovuta al fatto che la Chiesa ha sempre avuto la preoccupazione affinché il culto divino si svolga colla massima fedeltà al dogma e con la necessaria dignità sacra in ogni sua parte. Perciò, eccetto una certa libertà tipica dei primordi del cristianesimo, nell'epoca classica della liturgia antica il rito si presentava con linee ormai definite e nobili.  Si trattava di un solenne protocollo sacro dove l'edificio rituale con la sua inalterabilità e nobiltà suscitava rispetto, contemplazione e profonda adorazione del mistero. Nella vigente riforma liturgica si sono fatte delle scelte di maggior libertà rubricale e testuale per consentire una maggior flessibilità di adattamento nelle concrete convocazioni locali. Si passa in qualche modo dal modello di un protocollo sacro a quello di un canovaccio indicativo. Ciò tuttavia ha portato a delle derive abusive che interferiscono nel tessuto del rito portandovi molti elementi profani e soggettivi che snervano la tenuta sacra e oggettiva del culto liturgico. Ora, mentre la liturgia classica si presentava nella sua identità di atto di culto ascendente e adorante, la nuova liturgia tende ad essere una catechesi discorsiva in dimensione orizzontale. In verità la liturgia è sempre stata una fonte di istruzione, ma nel suo genere specifico: il genere mistagogico che illumina le menti non mediante il concetto esclusivo e tipico della predicazione, ma mediante il vasto ventaglio dei simboli, dei riti, dei colori e dei profumi, dei movimenti e dei gesti, ecc. un complesso di elementi che avvolgevano in modo pluridimensionale il fedele e l'assemblea convocata. 11Si tratta perciò di impostare una revisione, alla luce della esperienza celebrativa postconciliare, che riporti la liturgia al modello classico in modo da non indulgere a nessuna adulterazione e consentire la trasmissione integra alle nuove generazioni cristiane. III La Solennità nella liturgia Indubbiamente la solennità nel rapporto con Dio è elemento universale e insopprimibile in tutte le esperienze religiose ed è un dato inconfutabile della lex naturalis insita nella natura umana. Da ciò la grandiosità dei templi, la preziosità degli arredi e l'alta qualità di ogni cosa che viene impiegata nel servizio divino. La solennità del culto in quanto tale, già sul piano naturale, esclude la sua riduzione ad elemento marginale, facoltativo, opzionale o aggiuntivo, ma è spontaneamente esigita dalla dimensione religiosa universale dei popoli. Il carattere solenne della liturgia cattolica, tuttavia, è fondato ulteriormente e soprattutto su una base soprannaturale e rivelata: esso è intrinseco alla natura profonda della liturgia cristiana e alla sua finalità ultima. Infatti, nella liturgia agisce il Figlio unigenito nello splendore della sua divina maestà e la sua azione è finalizzata alla contemplazione della gloria nell'eterna beatitudine. Il mistero, che, sotto gli umili segni di una natura decaduta, si compie nella liturgia è bene espresso nella lettera agli Ebrei: «Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell'aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele» (Eb 12, 22-24). La Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium lo descrive con queste parole: «Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo; insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria» (SC n. 8). La celebrazione liturgica, infatti, da un lato ci mette in comunicazione con l'attuale liturgia eterna celebrata nei cieli e dall'altro anticipa qui in terra e ci abilita a far parte a quell'eterna liturgia che risuona nelle sedi celesti. Non a caso nel Proemio della Costituzione Apostolica Laudis canticum con la quale viene promulgata la vigente Liturgia delle Ore si afferma: «Il canto di lode, che risuona eternamente nelle sedi celesti, e che Gesù Cristo Sommo Sacerdote introdusse in questa terra di esilio, la Chiesa lo ha conservato con costanza e fedeltà nel corso di tanti secoli e lo ha arricchito di una mirabile varietà di forme». Colui che ora è presente ed opera nella liturgia terrena della Chiesa è il Kyrios, immolato e glorioso, che sta alla destra del Padre, officia sull'altare d'oro del cielo e intercede perennemente per noi. Questo è il motivo per cui il modello della liturgia cattolica, fin dal suo esordio, è l'Apocalisse con la descrizione grandiosa delle liturgie celesti così come appaiono al veggente, l'apostolo Giovanni. Tali visioni sono una porta aperta12 dalla quale è possibile contemplare lo svolgimento rituale della liturgia celeste alla quale intervengono le infinite schiere angeliche e quella folla sterminata di beati 12 Cfr. Apocalisse 4, 1: «Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta nel cielo». 12che nessuno poteva contare, vestiti in bianche vesti con palme nelle mani. Lassù si contemplano le solenni prostrazioni adoranti, l'ordine sublime delle sacre gerarchie, i potenti inni di lode in un'incessante acclamazione di gloria. A questo punto si pone questa doverosa obiezione: La liturgia non dovrebbe sempre riferirsi alle testimonianze storiche dei vangeli lì dove il Signore stesso istituì il suo Sacrificio incruento nel cenacolo e in altri passi dove vengono via via istituiti i sette Sacramenti e ci viene dato l'esempio e la norma dell'orazione secondo il suo cuore? Certamente la liturgia deve mantenere sempre lo sguardo a quella pienezza del tempo nella quale storicamente il Verbo fatto carne ha posto le fondamenta della sua Chiesa ed ha stabilito il culto imperituro del nuovo ed eterno Testamento. Mai la Chiesa potrà distogliere lo sguardo da quel punto focale che fu la presenza storica del Signore in mezzo agli uomini. Possiamo fare l'analogia con gli Angeli, che, al dire di san Gregorio Magno, mentre sono inviati nel mondo non distolgono mai lo sguardo dalla gloria divina dalla quale provengono e alla quale sempre ritornano. Così la Chiesa di tutti i secoli cammina nel mondo, ma con lo sguardo necessariamente rivolto al centro della storia quando il Verbo eterno si fece carne, operò la nostra salvezza e s'immolò sulla croce e risuscitò glorioso dal sepolcro. È questo il carattere tradizionale della liturgia nel senso più alto: ossia la necessità che nel mutamento dei tempi, dei popoli e delle culture, mai venga meno il radicamento nell'evento storico della nostra Redenzione come norma assoluta e imprescindibile. Se si perde questo riferimento si perde il pensiero di Cristo (dogma) e la sua vita di grazia (sacramenti) e si resta con la triste eredità di una natura decaduta e votata alla morte.  Occorre vigilare perché non succeda che, in nome del dialogo col mondo che passa, non venga meno l'elemento salvifico soprannaturale realizzato una volta per sempre nella vita terrena del Signore, da Lui consegnato nel Depositum fidei e sempre trasmesso integro nei secoli. Su questa base di referenza ai vangeli qualcuno teorizza che la liturgia debba imitare storicamente gli eventi evangelici, soprattutto debba rivestirsi di quelle forme ordinarie e quotidiane che sembrano aver caratterizzato il modo di celebrare del Signore. Da qui il vasto movimento pauperistico nei riguardi della liturgia, che in tal modo viene spogliata della sua connaturale maestà attribuitale dai secoli cristiani. Il papa Paolo VI al riguardo ammoniva: «Ci preoccupa il modo di agire di coloro che ritengono che il culto liturgico debba essere spogliato del suo carattere sacro, e perciò erroneamente pensano che non si debbano usare oggetti o suppellettili sacre, ma sostituirle con quelli d'uso comune e volgare»13. Si presume di interpretare la confidenza filiale raccomandata dal Signore col termine Abba e la semplicità del linguaggio e dei gesti di Cristo per ridurre ogni aspetto trionfale, coinvolgendo al ribasso pure l'intero mondo dell'arte e della musica sacra. Si dimentica tuttavia quella maestà della Sua persona e quell'autorità delle Sue parole e dei Suoi gesti che pure sono attestate dai vangeli (cfr. Mc 1, 27; Gv 7, 46); ed anche la partecipazione regolare al culto magnifico del tempio che Egli volle purificare con tanto ardore (cfr. Mt 21, 12-17). Se la sostanza del Sacrificio e dei Sacramenti con tutte le tradizioni apostoliche annesse deve aver come referenza d'obbligo ciò che effettivamente insegnò e fece Nostro Signore per assicurare la 13 PAOLO VI, Discorso al Consilium ad exsequendam  Costitutionem de sacra liturgia del 14 ottobre 1968. 13validità e la legittimità di tali sublimi atti, per quanto riguarda la forma, la Chiesa, fin dai primi secoli, guarda alla celebrazione liturgica del cielo attraverso il varco dell'Apocalisse e riveste, per quanto timidamente, il suo culto terreno con le vesti solenni di quel culto che ora il Kyrios offre eternamente al Padre nella maestà della sua gloria. In realtà le forme storiche assunte dal Signore sono ormai relegate nel passato e la loro ripetizione pedissequa porterebbe alla logica di una sacra rappresentazione, quanto mai doverosa ed opportuna in ambito catechistico, ma insufficiente in ambito liturgico. In realtà la liturgia della Chiesa terrena è partecipazione attuale e celebrazione sinfonica in perfetta sintonia con quella celeste. E' il Kyrios nel suo attuale stato di gloria l'unico celebrante, in cielo e in terra; è Lui nel suo stato di gloria immortale, che sull'altare del cielo e, attraverso il sacerdote, sull'altare della terra, offre il suo Sacrificio perenne ed innalza la sua lode perfetta davanti alla maestà divina del Padre. La liturgia terrena è in mistica simbiosi con quella celeste e il suo flebile canto, emesso dall'assemblea pellegrinante, s'intreccia col canto degli Angeli e dei Santi nelle sedi celesti. Le visioni dell'Apocalisse, dunque, offrono alla Chiesa dei viatori l'immagine di quella liturgia perfetta alla quale già essi partecipano in mysterio sub specie sacramenti e che sarà l'eredità eterna degli Eletti. In tale prospettiva la liturgia cattolica è sempre nuova ed attuale, non solo nella sua sostanza immutabile, ma in qualche modo anche nella sua forma, così come si è esplicata nei secoli sotto la mozione dello Spirito Santo, in quanto, pur ancora nel regime sacramentale e nella debole luce della fede, possiede già molti tratti della forma di quell'eternità beata che ci attende nella celeste Gerusalemme. Possiamo allora dire che la liturgia cattolica ha le sue radici nel passato, nella Tradizione apostolica fondata dal Signore quando era tra gli uomini, ma la sua forma attuale anela sempre più al futuro escatologico quando raggiungerà la misura della perfezione in Cristo. Soltanto in questa continua tensione escatologica, che non si appaga dell'effimero contingente, la liturgia incide sul tessuto storico attuale, elevando gli uomini alle realtà del cielo. Se, invece, il rito scade nel grigiore di un'attualità precaria, diventa insignificante e non realizza più il suo carattere sacramentale per il quale, mediante segni visibili, sono significati e prodotti effetti soprannaturali ed invisibili. Si capisce allora perché, lì dove si celebra con la dovuta fedeltà e dignità la liturgia cattolica, tutta la realtà viene trasformata e riceve gradualmente la forma di Cristo, nel quale soltanto si trova ogni tesoro di scienza e di intelligenza (cfr. Col 2,3): dalla liturgia cattolica nasce la grande arte che trasforma la materia, la grande musica, la poesia come apice del linguaggio, la logica e la retta filosofia, come riflessi analogici del Logos. Che le visioni dell'Apocalisse siano il modello della liturgia della Chiesa, orientale e occidentale, risulta da molti elementi interni alla Messa Romana, vertice e sintesi del culto: la croce gemmata14, l'altare prezioso, il Cristo Pantocrator dell'abside attestano la forma attuale con la quale il Kyrios è presente ed agisce nelle azioni liturgiche: la croce gemmata richiama non solo il Cristus patiens del Calvario, ma anche il Cristo glorificato e regnante come ora sta in cielo, ed è al contempo il vessillo che lo precederà nella sua ultima venuta; l'altare prezioso supera l'ordinarietà dell'evento storico della mensa del Cenacolo per dimostrare la comunione con l'altare d'oro del cielo su cui si celebra una liturgia eterna; il 14 La croce d'altare è propriamente la Croce gemmata e preziosa, che attesta al contempo la morte del Signore, la sua risurrezione e ascensione e la sua venuta nella potenza della gloria, invocata dalla Chiesa in ogni celebrazione liturgica. 14Pantocrator descrive lo stato presente ed eterno del Kyrios, che supera ormai la sua umanità storica e gli orizzonti temporali nei quali si compì l'evento pasquale del Redentore.------Il Gloria in excelsis riproduce nella celebrazione eucaristica il canto angelico della notte santa di Betlemme e in questo modo si realizza nel mistero la comunione tra il culto perfetto, che gli angeli innalzano davanti al trono dell'Eterno, con quello umile e balbettante della Chiesa itinerante qui in terra nell'attesa di aver parte al culto perfetto nel cielo. Il Prefazio e il Sanctus introducono l'assemblea liturgica della terra nel mistero dell'Assemblea celeste degli Angeli e dei Santi, partecipando misticamente al culto ineffabile degli Spiriti beati. Il Sanctus inoltre non è che la trasposizione qui sulla terra del canto angelico udito nella nota visione del profeta Isaia (Is 6,3). L'embolismo del Canone Romano Supplices rimanda alla liturgia celeste in modo esplicito: «Ti supplichiamo, Dio onnipotente, fa' che questa offerta per le mani del tuo angelo santo sia portata sull'altare del cielo davanti alla tua maestà divina perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare comunicando al santo mistero del Corpo e Sangue del tuo Figlio scenda su di noi la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo». Gli altri due embolismi il Communicantes e il Nobis quoque con le due teorie dei Santi introduce nella Chiesa dei Beati, che vengono chiamati per nome e invocati nel cuore stesso del divin Sacrificio come cooperatori trascendenti nell'offerta del Sacrificio incruento e nostri mediatori presso Dio. L'Agnus Dei e il versetto: Beati qui ad caenam Agni vocati sunt (Ap 19, 9) allude al fatto che nella liturgia, soprattutto nel divin Sacrificio eucaristico, i fedeli partecipano, pur ancora nel regime della fede, alla Cena dell'Agnello mistico, che si celebra perennemente sull'altare celeste secondo la visione dell'Apocalisse: «Poi vidi in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato» (Ap 5, 6). L'Amen e l'Alleluia sono canti ricorrenti nelle solenni liturgie dell'Apocalisse e che ad imitazione di queste costituiscono il contrappunto dei riti liturgici della liturgia terrena. Gli accenti e le espressioni della liturgia celeste si ripercuotono timidamente, ma realmente, nel canto liturgico della Chiesa militante (cfr. Ap 19, 1-8). Il ruolo primario del canto e della musica nella liturgia della Chiesa discende dalla grandiosità degli inni che vengono innalzati davanti alla Maestà di Dio dai cori degli Angeli e dalla moltitudine dei Beati, che nelle visoni dell'Apocalisse ci offrono pure espliciti testi e contenuti che la Chiesa ha assunto nell'Ufficio divino cantato nel tempo. Come si può rilevare da tutti questi elementi la Messa Romana attinge a piene mani dalla liturgia celeste e compie ogni sforzo per entrare in essa e godere anticipatamente del culto splendido che si svolge nella beatitudine del Cielo. Nella divina liturgia orientale la referenza alle grandi teofanie dell'Apocalisse è portata al suo massimo livello: la preziosa iconostasi, il modello pittorico delle icone con figure immateriali e simboliche e le immagini dipinte che rivestono per intero la chiesa, attestano che si vuole il più possibile aver parte alla liturgia della celeste Gerusalemme nella comunione gloriosa dei Santi: il Cielo discende sulla terra e la terra è innalzata alle altezze celesti. Conclusione La crisi attuale della liturgia, attestata dalle parole del card. Ratzinger all'esordio di questa trattazione, viene qui individuata nelle sue cause primarie: si tratta sostanzialmente della crisi del Sacro, della rimozione del Diritto e della scomparsa della Solennità. In realtà noi oggi assistiamo alla rimozione del Sacro, ossia del senso della presenza divina e del mistero soprannaturale, in nome dell'uomo contingente e dei suoi bisogni immediati: si passa dal teocentrismo intrinseco alla liturgia cattolica all'antropocentrismo sociologico e materialistico; di conseguenza vi è l'allergia ad ogni norma oggettiva stabilita dal diritto liturgico che impedirebbe l'espressione libera e creativa del sentimento religioso indefinito del soggetto che in fin dei conti adora se stesso e le sue voglie, 15chiamando tale accondiscendenza autenticità; in tale contesto scompare totalmente la solennità liturgica in quanto il cielo è ritenuto alienante dalla concretezza della vita mondana verso la quale è diretto lo sguardo e l'interesse dell'uomo odierno. Perciò il Sacro cede il posto all'immanente secolarizzato e materialista; il Diritto cede il posto al soggettivismo sentimentale ed effimero del presente storico; la Solennità scompare nel grigio orizzonte di un mondo senza trascendenza ed immerso nell'immanenza senza respiro di eternità. La coraggiosa rinascita della liturgia cattolica esigerà la ripresa determinata di questi tre pilastri intrinseci ad essa: il Sacro, il Diritto e la Solennità, intesi secondo la scuola della perenne e intramontabile Tradizione della Chisa.

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