1 novembre TUTTI I SANTI

 

Come possiamo divenire santi cioè amici di Dio, felici anche in tutte le tribolazioni? All'importante interrogativo si può rispondere anzitutto in negativo: per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali. Viene poi la risposta in positivo: è necessario innanzitutto ascoltare cioè congiungere all'udire l'ubbidire nella preghiera e quindi seguirlo senza perdersi d'animo di fronte difficoltà e nelle cadute lasciarsi da Lui perdonare perdonando. "Se uno mi vuol servire – Egli ci ammonisce – mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà" (Gv 12,26). Chi si fida di Lui e lo ama con sincerità, come il chicco di grano sepolto nella terra, accetta di morire a sé stesso. Egli infatti sa che ci cerca di avere la sua vita per sé stesso e non per Cristo la perde, e chi in Cristo si dà, si perde, trova proprio la vita (Gv 12,24-25). L'esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità cioè di amore, pur seguendo tracciati differenti, passa sempre per la via della croce, la via della rinuncia a sé stesso, a essere mortale. Le biografie dei santi descrivono uomini e donne che, docili ai disegni divini, hanno affrontato talvolta prove e sofferenze indescrivibili, persecuzioni e martirio. Hanno perseverato nel loro impegno con speranza di una vita oltre questa vita mortale, "sono passati attraverso la grande tribolazione – si legge nell'Apocalisse – e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello (v. 14). I loro nomi sono scritti nel libro della vita (Ap 20,12); loro eterna dimora è il Paradiso sempre presente nella loro mente e volontà. L'esempio dei santi è per noi un incoraggiamento a seguire le stesse orme, a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio, perché l'unica vera causa di tristezza e di infelicità per l'uomo è vivere lontano da Lui nel pensare, nel volere e nel sentire cioè nel vivere. Il Beato per eccellenza è solo Lui, Gesù risorto. È Lui, infatti, il vero povero in spirito, l'afflitto, il mite, l'affamato e l'assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l'operatore di pace; è Lui il perseguitato a causa della giustizia. Le Beatitudini ci mostrano la fisionomia spirituale di Gesù, Figlio di Dio incarnato e così esprimono il suo mistero divinamente umano, il mistero di Morte e Risurrezione, di Passione e di gioia della Risurrezione, dell'Ascensione. Questo mistero, che è mistero della vera beatitudine, ci rivela e ci invita alla sequela di Gesù e così al cammino verso di essa. Nella misura in cui accogliamo la sua proposta e ci poniamo alla sua sequela – ognuno nelle sue circostanze – anche noi posiamo partecipare alla sua beatitudine. Con Lui l'impossibile diventa possibile e persino un cammello passa per la cruna dell'ago (Mc 10,25); con il suo aiuto, solo con il suo aiuto invocato nella preghiera, ci è dato di diventare perfetti come è perfetto il Padre celeste (Mt 5,48). Le letture cioè con Dio che ci parla in questa Solennità intravvediamo il cammino.

La prima lettura ci dice che questi santi sono una moltitudine immensa. Per noi, qui immersi in una secolarizzazione, è un motivo di grande gioia e speranza sapere che ci sono tanti santi, e che noi stessi siamo tutti chiamati a diventare santi.

Leggiamo e ascoltiamo nell'Apocalisse: "Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua". La vocazione alla santità non conosce frontiere: è un dono meraviglioso di Dio, un dono del suo amore paterno, che è proposto a tutti ed è accolto da molti (non sappiamo quanti, ma speriamo che siano una moltitudine …).

"Tutti stavano in piedi, davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti i vesti candide, portavano palme nelle mani". Si tratta di una grande celebrazione celeste, piena di lode e di rendimento di grazie. La santità infatti viene solo da Lui, è un suo dono, e deve essere accolta con rendimento di grazie.

La seconda lettura ci indica l'essenza della santità: essa consiste nell'essere figli nel Figlio di Dio Padre per opera dello Spirito santo e nel tentare e ritentare di vivere come tali nella fraternità ecclesiale. La santità è un legame familiare con Dio: egli è santo, e anche i suoi figli lo devono essere, lo devono diventare sempre più.

Tutto questo è la manifestazione di un grande amore da parte di Dio. Pieno di stupore, Giovanni esclama: "Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!". Noi battezzati siamo veramente figli di Dio, abbiamo in noi quella radice di santità che è la figliolanza divina. "Noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato". La nostra vera realtà si manifesterà quando Gesù tornerà visibilmente per prenderci con sé nella sua gloria.

Tutto questo è per noi, ravvivando la consapevolezza, motivo di grande gioia, di grande speranza, e ci spinge a purificarci nella Confessione, come Dio è puro: "Chiunque ha questa speranza in Lui, purifica sé stesso sacramentalmente nella Confessione, come Egli è puro".

Nel Vangelo Gesù ci dà la "magna carta" della santità, presentandoci le beatitudini. In questo brano il continuo ripetersi – otto volte – dell'espressione "beati" è una manifestazione dell'amore del Signore. Egli ci vuole beati, già felici. Non si rassegna alla nostra condizione umana, talvolta penosa, ma ci spinge verso la beatitudine perfetta, che si trova in relazione con Lui: una relazione di amore, di fiducia, di speranza e di gioia.

Le beatitudini hanno anche un aspetto di contestazione. Contestano una falsa idea di felicità, un'idea umana di felicità, caratterizzata dall'"egoismo" e dai limiti della mente umana. Il mondo dice: "Beati i ricchi"; Gesù proclama: "Beati i poveri". Il mondo dice: "Beati i dominatori"; Gesù dice: "Beati i miti". Il mondo dice: "Beati coloro che impongono la loro volontà e sugli altri portano avanti senza scrupoli e senza nessuna pietà i loro progetti"; Gesù dice: "Beati i misericordiosi". Perciò dobbiamo rinunciare a una nostra idea di felicità, per accogliere la vera felicità che ci viene indicata dalle beatitudini di Gesù.

La base della vera felicità si trova nella povertà spirituale, cioè nel distacco dalle cose materiali. Se siamo attaccati alle cose, al denaro, ai possessi, il nostro spirito non può raggiungere la beatitudine, la gioia vera e perfetta, perché è come soffocato dall'aspirazione ad avere sempre di più e a godere sempre di più.

Le beatitudini di Gesù sono tutto un programma di felicità. Un programma esigente, che ci costringe, feriti dal peccato originale, a cambiare le nostre prospettive abituali, per adottare i pensieri e i desideri di Gesù. Tutti siamo chiamati alla santità cioè all'amore, tutti siamo chiamati a vivere le beatitudini, ciascuno secondo le circostanze della propria esistenza. Ma ciascuno di noi è chiamato con grande amore di Dio a una vita veramente cristiana, a una vita di unione al cuore di Gesù nei pensieri, desideri, nelle decisioni e nelle azioni.

Sotto lo sguardo esemplare della Regina dell'amore, della Madre del lungo cammino, sempre a noi vicino rallegriamoci e immensamente riconoscenti a Dio di questa vita, che ci prepara a una vita così bella e ci prepara una gioia infinita nell'unione eterna con la sua vita di Amante, il Padre, di Amato, il Foglio, di Amore, lo Spirito Santo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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