La chiamata è dalla vita naturale alla soprannaturale

Francesco Lamendola, in "Accademia Adriatica di Filosofia" – 13 luglio 2021

Alcuni secoli di cultura materialista e parecchi decenni di cultura cattolica adulterata e falsificata ci hanno fatto scordare la verità più importante: che la vita umana non ha una sola dimensione, ma due: quella naturale e quella soprannaturale. Esse non coincidono, banalmente, con ciò che è materiale e ciò che è spirituale. Anche la cultura moderna possiede la nozione dello spirituale: ma per essa si tratta pur sempre di un prodotto umano, dunque di una realtà immanente. No: la vita soprannaturale non è immanente, non è umana, non è una cosa di quaggiù: è un dono di Dio che si manifesta attraverso la grazia. Quando l'anima è in stato di grazia, allora essa si apre alla vita soprannaturale. Può essere che un'anima non la conosca e non l'abbia mai conosciuta; purtroppo anzi la cosa è frequente nel mondo moderno. Ne abbiamo quasi smarrito la nozione; gli stessi credenti, indottrinati da anni e anni di "cristianesimo adulto", hanno dimenticato che cosa essa sia. In altre parole, la vita naturale è la vita ordinaria, ma la vita sopranaturale è una possibilità: richiede l'assenso della fede e il dono della grazia, che viene da Dio e non è in potere dell'uomo. Tutti hanno la vita naturale, pochi accedono alla vita soprannaturale, e nessuno la può conservare senza il dono costante della grazia e l'azione illuminante e salvifica dei Sacramenti. Senza la preghiera, i Sacramenti e l'unione costante con Dio, la vita di grazia svanisce e il soprannaturale abbandona la realtà dell'uomo, lasciandolo immerso nella sola dimensione naturale. La maggior parte degli uomini, e specialmente degli uomini di cultura, non conoscono, né fanno esperienza, della vita soprannaturale. E i teologi neomodernisti, alla Karl Rahner o alla Hans Küng, non solo ne hanno smarrito la nozione, ma si sono adoperati affinché i fedeli la smarrissero a loro volta, barattandola con una quantità di chiacchiere che pretendono di far passare il fango per oro, lasciando però il fango per quello che è, e facendo in modo che l'oro diventi irraggiungibile. L'oro, per il cristiano, è la vita di grazia: la vita che si acquisisce quando si fa morire in se stessi l'uomo vecchio e si rinasce alla vita nuova in Cristo. Nessuno può dirsi realmente cristiano se non ha coscienza di ciò e se non si è sforzato di realizzarlo, chiedendo a Dio l'aiuto necessario, perché senza di Lui egli non può fare nulla. È la similitudine della vite e dei tralci. Noi siamo i tralci, Gesù è la vite e il Padre celeste è l'agricoltore. Per poter dare frutto, noi dobbiamo restare uniti alla vite: senza di essa non serviamo a nulla, non sappiamo far nulla, la nostra vita perde ogni significato; restando uniti alla vite, invece, possiamo dare molto frutto.

 

La chiamata è dalla vita naturale alla soprannaturale?

Questo è il segreto, che, incredibilmente, abbiamo per lo più scordato, per dare retta ai chiacchieroni come Karl Rahner, o Vincenzo Paglia, o Nunzio Galantino. Costoro sono arrivati al punto di falsificare la Parola di Dio, pur di venderci la loro merce dozzinale, avariata, al posto dell'oro zecchino che si offre a chi rinasce in Cristo. Nella Bibbia, Parola divinamente ispirata, è scritto che Dio, sdegnato contro il peccato di Sodoma, distrusse quella città con il fuoco: e il racconto è molto dettagliato, molto preciso, molto drammatico. Ma poi arriva Nunzio Galantino e dice che Dio, nella Sua bontà, ha risparmiato Sodoma. Ecco: costui è un falsario delle cose di Dio e vuol rifilarci la vita di peccato al posto di quella soprannaturale, contando che noi non ci accorgiamo della truffa vergognosa. Oppure ecco Vincenzo Paglia che si fa ritrarre nudo, sorridente beato, in una folla di peccatori contro natura, nel grande affresco omoerotico che profana la controfacciata del duomo di Terni. In quell'orrido dipinto lo stesso Gesù Cristo viene ritratto in maniera ignobilmente scandalosa, blasfema: Egli porta in alto i peccatori entro una grande rete, senza che ci sia stato alcun pentimento, alcun cambiamento nella loro vita: e quel portarli in alto vorrebbe far credere che sono stati salvato, mentre si tratta di un turpe inganno. Quando mai il peccatore impenitente può essere salvato? Quando mai la vita nel fango può essere paragonata alla vita di grazia? È sempre lo stesso inganno: spacciare per vita soprannaturale la vita naturale, per giunta non guidata dalla sana ragione naturale, ma abbandonata agli appetiti più disordinati. Dio renderà a costoro secondo ciò che hanno meritato: non solo hanno dato scandalo alle anime, ma le hanno circuite e traviate, mentendo e ingannandole. Tale è il peccato contro lo Spirito Santo, che non verrà perdonato: adulterare la Parola di Dio fino al punto di smerciare il peccato senza pentimento per qualcosa che piace a Dio e perciò meritevole di ricevere la vita soprannaturale. Non si può immaginare una malizia più infernale di questa.

 

Scriveva monsignor Carlo Carbone, da noi già altra volta citato, nel suo eccellente corso di religione ad uso scolastico (vol. 5°, La vera vita, Roma, A.V.E., 1955, pp. 5-6):

 

IL RISCATTO

 

Solidali nel peccato con Adamo «eravamo un tempo figliuoli dell'ira» (Ef 2,3). Ma ecco che «Cristo è morto per noi» (Rom 5,8). E noi siamo «giustificati nel suo sangue» (9), redenti come ci insegna l'apostolo Pietro, «non con oro ed argento, ma col prezioso sangue dell'Agnello immacolato, Gesù Cristo» (1, 1, 18-19). «Il nostro vecchio uomo fu crocifisso affinché fosse distrutto il corpo del reato» (Rom 6,6); «Cristo ci amò e diede se stesso in oblazione per noi e sacrificio a Dio in onore di soavità» (Ef 5,2).

 

 

 

LA GIUSTIFICAZIONE

 

Il riscatto ci muta profondamente, ci rinnova completamente: Eravamo «un tempo tenebre, adesso invece luce nel Signore» (Ef 5,8). Voi uomini, immersi nel peccato, «siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signor nostro Gesù Cristo» (1 Cor, 6,11). «Come Cristo risuscitò dai morti per la gloria del Padre, così anche noi dobbiamo camminare in novità di vita» (Rom 6,4). Nella sua immensa bontà il Signore «ci ha fatto salvi p il lavoro di rigenerazione e di rinnovazione dello Spirito Santo… affinché giustificati per la sua grazia, siamo eredi… della vita eterna» (Tit 3,5-6).

 

 

 

LA RINASCITA

 

La giustificazione di un'anima non è un simbolo, non è una funzione giuridica: è una nascita nuova a vita nuova.

 

Rileggere nel capitolo III dell'Evangelo di S. Giovanni il colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo. Bisogna rinascere «nell'acqua e nello spirito Santo» (v. 5), bisogna rinascere nello spirito per essere spirito (v. 6). E – come Pietro ci insegna - «non da un germe corruttibile ma da uno incorruttibile, per mezzo del verbo del Dio vivo ed terno» (1 Petr 1,23). «In Cristo – dice Paolo – non c'è che una nuova creatura; le cose vecchie sono passate, tutto è stato fatto nuovo» (2 Cor 5,77).

 

 

 

LA VITA DIVINA

 

Ecco il grande mistero, la sublime dignità. Rinascere a una vita nuova, ma sovrumana, divina. Leggere con amore trepido il prologo sublime di S. Giovanni. Si parla del Verbo divino, uguale al Padre, per cui tutte le cose furono fatte. Egli è «la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo… A quelli che lo ricevettero diede potere di divenire figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome: che non dal sangue né da volere carnale, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati» (Giov 1,9-13). A coloro che lo accettano, a coloro che credono in lui, Gesù fa dunque Luce e vita: luce per la fede, vita per la grazia: vita nuova di figli di Dio. «Osservate quale amore il padre ha avuto per noi, sì da esser chiamati e da essere figli di Dio» (1 Giov 3,1).

 

È questa la vita che Gesù ha portato agli uomini: «Io son venuto affinché abbiamo la vita e l'abbiano abbondantemente» (Giov 10,10). È la sua stessa vita: «Restate in me ed Io in voi… Io sono la vite, voi i tralci: chi resta in me ed Io in lui porta molto frutto» (Giov 15, 4-5). Perciò S. Paolo ci dice: «Rivestiti di Cristo» (Gal 3,27): così un giorno il Padre guardandoci ci troverà «conformi all'immagine del Figlio suo» (Rom 8,29); così veramente si può affermare: «la mia vita è Cristo» (Fil 1,21).

 

Figli adottivi, sì che osiamo veramente rivolgerci a Dio chiamandolo «Padre» (Gal 4,6); infatti «non abbiamo ricevuto uno spirito di servitù nel timore, ma lo spirito di figli d'adozione, per cui gridiamo: Abba, Padre» (Rom 8,15). Ma mentre l'adozione umana non porta alcuna modifica intrinseca nell'adottato, quella divina trasforma l'anima profondamente.

La "Vita di grazia"? L'oro per il cristiano è la vita di grazia: la vita che si acquisisce quando si fa morire in se stessi l'uomo vecchio e si rinasce alla vita nuova in Cristo!

La vita di grazia non è un di più, non è un qualcosa di cui si potrebbe anche fare a meno: è la modalità specifica della vita cristiana, ed è anche la ragione specifica per cui Gesù Cristo è venuto nel mondo.  Egli è venuto per salvarci, certo; ma l'espressione è troppo generica; è venuto a redimerci, certo: ma anche questa è un'espressione generica. È venuto per portarci la vita di grazia, perché è con la vita di grazia che ci si salva e si è redenti. Ecco il grande equivoco, o il grande inganno, di chi blatera che siamo fratelli tutti, perché siamo tutti figli di Dio. No: è figlio di Dio chi si apre al mistero della vita di grazia, mediante il Battesimo e la conversione interiore; mentre chi la rifiuta non è affatto figlio di Dio, ma è figlio del diavolo. E questo concetto non è nostro, non ce lo siamo inventato noi: è stato espresso da Gesù in Persona, là dove dice: Voi che avete per padre il diavolo e fate le opere del padre vostro (Gv 8,44). Essere figli di Dio non è un privilegio acquisito con la nascita, è una scelta: si sceglie di essere figli di Dio o figli del diavolo, di essere figli della luce o figli delle tenebre; e si vive di conseguenza. La vita naturale, di per sé – lo ripetiamo – non è sinonimo di peccato; tuttavia è un fatto che la vita naturale non può mantenersi pura, ma prima o poi scivola nel peccato, senza il soccorso della grazia. Se l'uomo potesse rimanere puro con le sue sole forze, non avrebbe bisogno della grazia divina. Ecco l'eresia di Pelagio. E in tal caso vorrebbe dire che egli è buono, originariamente buono, vale a dire che in lui non si manifesterebbero le conseguenze del peccato di Adamo: ecco l'errore pestifero di Rousseau. Gli uomini moderni sono discepoli di Rousseau, come i cristiani "adulti" sono seguaci di Pelagio: gli uni e gli altri negano la realtà del Peccato originale, negano la fragilità costituzionale dell'uomo, perciò negano l'assoluta necessità della vita di grazia. Un cristiano che non abbia compreso questo, non ha compreso nulla. La vita di grazia  è la stessa cosa della vita di Dio in noi: chi è in stato di grazia, partecipa già alla vita divina. Ed è per questo che Gesù è venuto nel mondo: non per lodare il mondo (io non prego per il mondo: Gv 17,9), non per benedire ogni cosa che si trova nel mondo, ma tutto al contrario per innalzare l'uomo dalla dimensione terrena alla dimensione soprannaturale, come Egli dice alla fine della similitudine del pastore e del recinto delle pecore (Gv 10,1-10):

 

 1 «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

 

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.

 

Un concetto così semplice, ma al tempo stesso così abissale: Gesù è venuto affinché viviamo pienamente lo stato di grazia!

Perfino gli Apostoli dunque, sul momento, non capirono le Parole di Gesù: perché si tratta di un concetto così semplice, ma al tempo stesso così abissale, che passa facilmente inosservato, specie se confrontato con discorsi enfatici come quelli che oggi sono tanto di moda nel clero apostatico che adora la Pachamama e magnifica il peccato di Sodoma, e che arriva al punto di paragonare Greta Thunberg a Gesù Cristo, come ha fatto l'arcivescovo di Berlino. Meditiamo queste Parole: Io sono venuto perché abbiate la vita e l'abbiate in abbondanza. Non la vita eterna, dunque, che è riservata alle anime buone dopo la morte; ma la vita di grazia. Altrimenti non direbbe perché l'abbiate in abbondanza, il che implica un grado maggiore o minore d'intensità. Gesù è venuto affinché viviamo pienamente lo stato di grazia. Non arde forse il cuore nel petto ad un tale pensiero?

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