La centralità di Dio nella creazione dell'uomo maschio-femmina

Riporto il testo da pagina 74° pagina 84

Siccome il Creatore e il Salvatore sono lo stesso Dio, fede e ragione si implicano a vicenda e il Logos di Dio incontra l'intelletto umano. La "questione antropologica" è collocata da Benedetto XVI dentro il quadro della creazione. I suoi interventi a proposito dell'ambiente e dell'ecologia non scivolano mai nell'ambientalismo e nell'ecologismo perché sono sempre condotti a partire non dalla natura ma dal Creatore: "Il mondo è frutto della creazione, esso viene dallo Spirito e non dal cieco caso; lo spirito, la ragione, la morale non sono nel mondo ospiti estranei, qualcosa che il Caso in qualche modo e accessoriamente ha prodotto e che sarebbe meglio non ci fosse". L'ecologia ambientale è sempre inserita nell'ecologia umana e questa nell'ecologia teologica. Di grande interesse l'impostazione mariana della creazione. "Maria si presenta nel suo essere di fronte all'appello di Dio come rappresentante della creazione" e come donna è "considerata l'autentica guardasigilli della creazione". Su questa base filosofico-teologica mariana, Ratzinger critica le esposizioni teologiche secondo cui maschio e femmina sarebbero solo determinazioni storiche o culturali perché l'uomo non sarebbe né maschio né femmina, e sostiene che "laddove all'umano viene sottratto il biologico, l'umano stesso viene negato".

Alla creazione è legato l'insegnamento di Benedetto XVI sulla legge morale naturale. I principi di questa legge sono "iscritti nella stessa natura umana". Essa è "iscritta nel cuore di ogni uomo", è "accessibile ad ogni creatura razionale" e "interpella la coscienza e la responsabilità dei legislatori". Le sue sono "norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore […] precedono qualsiasi legge umana: come tali non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno". Si tratta di "una legge morale di valore assoluto, vigente in ogni tempo e in ogni situazione". Il tema della legge naturale è strettamente legato alla centralità di Dio nella pubblica piazza. Essa nasce dall'idea che "l'universo possiede una logica interna" conoscibile alla ragione umana, da cui nasce appunto la legge naturale come "una lingua che ci permette di comprendere noi stessi e la verità del nostro essere, e di modellare in tal modo un modo più giusto e umano". Da qui la centralità di Dio Creatore: "Non esiste un regno di questioni terrene che possa essere sottratto al Creatore e al suo dominio". È di nuovo la negazione del naturalismo che proviene dal razionalismo. Si nega l'indipendenza del piano naturale (creato, uomo-donna) e si ribadisce un suo dovere verso il piano soprannaturale, a cui corrisponde un dovere della religione vera e della Chiesa nei suoi confronti: "Poiché la fede nel Creatore è una è parte essenziale del Credo cristiano, la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai suoi fedeli soltanto il messaggio della salvezza. Essa ha una responsabilità per il creato (anche maschio-femmina) e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico".

Benedetto XVI ha il merito di aver riproposto come irrinunciabile sia la legge morale naturale che il diritto naturale, fondandoli, come è avvenuto sempre nella filosofia cristiana, sull'ordine del creato e quindi del Creatore. Il suo discorso sulla legge morale naturale fonda quindi l'etica nell'ontologia e postula un approccio metafisico incentrato sul concetto di "natura", Questa impostazione, riproposta organicamente dalle encicliche di Giovanni Paolo II Evangelium vitae, Veritatis splendor, Fides et ratio, contraddice e implicitamente denuncia i percorsi principali della teologia morale contemporanea che invece rifiuta la legge morale naturale e il suo fondamento metafisico. Nelle Note scritte da papa emerito nell'aprile del 2019 a proposito della questione degli abusi sessuali nella Chiesa, Benedetto XVI parlò di "collasso della teologia morale" e di "dissoluzione della concezione cristiana della morale" proprio in quanto "l'opzione giusnaturalistica venne quasi completamente abbandonata". Senza il fondamento naturale della morale e del diritto la teologia morale non regge. Possiamo quindi dire che l'attestarsi del suo pensiero sulla concezione classica della legge morale naturale è stato di grande importanza e avrebbe potuto aprire strade efficaci di correzione di molte derive negative del magistero e della teologia contemporanea.

Tuttavia, non sempre si trova in Benedetto XVI il chiaro riconoscimento che senza il sostegno della religione nella sfera pubblica, la dimensione della natura subisce necessariamente una degenerazione. Staccando la legge naturale dal suo fondamento religioso trascendente, ossia dal Dio della religione cattolica, si finisce per erodere la stessa consistenza autonoma della legge naturale. Non è infatti sufficiente che la Chiesa difenda la legge morale naturale nella vita pubblica solo con interventi di tipo morale, senza la dimensione anche religiosa del suo ruolo pubblico. Questo punto deriva da quanto si è più volte detto circa l'impossibilità del piano naturale di essere sè stesso senza quello soprannaturale. La legge morale naturale, che pure gode della propria autonomia essendo la ragione, almeno teoricamente (ma non storicamente per il peccato originale), in grado di conoscerla con le proprie forze, non regge e non si mantiene senza il sostegno della religione vera che però, a questo punto, deve avere un ruolo pubblico in quanto tale, e non solo in quanto animatrice di un'etica pubblica. Questa saldatura finale non risulta in Benedetto XVI, pur essendo adombrata e implicitamente richiesta da molte sue affermazioni.  La politica ha bisogno della garanzia religiosa da parte della Chiesa cattolica della conservazione della legge morale naturale che, abbandonata a se stessa, inevitabilmente conoscerebbe  i riduzionismi razionalistici, come per esempio quello di John Locke, però questo, secondo Benedetto XVI, dovrebbe avvenire solo mediante una azione culturale e morale da parte della Chiesa nella società civile, senza un rapporto propriamente politico/religioso, che viene negato da lui in quanto ingerenza dell'"ecclesiastico" nel politico.

Nel già citato discorso del 2010 alla Wesminster Hall, Benedetto XVI ha condotto una trattazione piuttosto ampia del ruolo della religione nel dibattito pubblico, sostenendo che esso consiste nell'"aiutare nel purificare e gettare luce sull'applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi". È una applicazione della visione già ampiamente vista secondo cui la fede aiuta la ragione ad essere maggiormente ragione senza con ciò farla diventare fede. E questo è giusto, però ci si chiede se sia sufficiente una animazione della ragione politica di tipo culturale e spirituale senza che tra l'organizzazione della comunità politica e la religione vera ci sia un rapporto di natura essenziale ed unica. La religione cattolica non deve dare né leggi né le ricette pratiche, ma non può nemmeno limitarsi a dare un sostegno morale alle coscienze.

Una variante molto interessante del magistero di Benedetto XVI sulla centralità di Dio, sulle conseguenze della creazione (anche maschio-femmina) e sulla legge morale naturale è la sua esposizione della dottrina dei "principi non negoziabili". Questa dottrina è stata tra le più contestate durante il suo pontificato e nel pontificato successivo è stata tra le prime a venire non solo abbandonata ma anche direttamente negata. Valutando gli orientamenti del nuovo pontificato espressi nella Evangelii gaudium, Giuseppe Angelini parlava con disprezzo dei principi non negoziabili come di una "goffa espressione" in quanto contrastavano con la tendenza pastoralista della nuova teologia. Quella dottrina presupponeva un retroterra filosofico e teologico che i suoi numerosi critici non condividevano ormai più. I principi non negoziabili prevedono una visione metafisica e non ermeneutica della conoscenza umana, la metafisica e la teologia della creazione, il concetto di natura e di natura umana (maschio-femmina), l'ordine del creato visto come eticamente normativo, i dieci comandamenti come "lingua del mondo tradotta, quindi logica di Dio tradotta, che questo mondo aspetta" e quindi una teologia morale a fondamento oggettivo. Mentre Benedetto XVI piangeva il "collasso" di questa teologia morale nel testo visto sopra, l'Esortazione apostolica Amoris laetitia confermava le ragioni opposte. La dottrina dei principi non negoziabili andava controcorrente rispetto alle tendenze della teologia avanzata e avrebbe potuto rappresentare una diga nei suoi confronti.

Avremo modo di tornare sul significato politico dei principi non negoziabili nel prossimo capitolo. Qui sottolineiamo che anche questa dottrina, come quella della legge morale naturale, fa emergere una questione che Benedetto XVI coraggiosamente pone ma non risolve fino in fondo. Se il piano naturale ha bisogno essenziale e non accidentale della religione vera per essere sè stesso, senza della quale degenera, la centralità di Dio può essere solo di animazione di un'etica pubblica dentro la società civile oppure va intesa nel significato di respubblica christiana? La non negoziabilità si fonda sulla indisponibilità, ma il solo piano naturale non è in grado di fondare adeguatamente questa indisponibilità (perché pur giungendo teoricamente storicamente ci sono le conseguenze del peccato originale che solo la grazia può superare). Ora, il piano soprannaturale deve limitarsi ad animare le coscienze dal punto di vista morale? O dovrà intendersi come fondamento pubblico dell'autorità in quanto detentore delle chiavi per la soluzione della questione sociale? A questo proposito dovremo esaminare nel prossimo capitolo come Benedetto XVI consideri il rapporto tra religione vera e politica al fine di capire fino a che punto viene spinta questo principio della centralità di Dio.

Alla stessa conclusione aperta si arriva anche esaminando il concetto di "questione antropologica" decisiva nel pensiero di Benedetto XVI come abbiamo già notato. In realtà questa nozione si colloca a metà strada tra la posizione del personalismo, che rimane in fondo una forma di naturalismo, e la posizione tradizionale della respubblica christiana, secondo la quale il rapporto della politica con la religione vera è essenziale e quindi comprende dei doveri politici inderogabili nei suoi confronti compreso il culto pubblico a Dio. In realtà la così detta questione è piuttosto la questione teologica, la questione non dell'uomo ma di Dio. Benedetto XVI ripropone con decisione e intelligenza il problema della centralità di Dio in vari modi ma non scioglie l'ultimo modo: la legge naturale e i principi non negoziabili necessitano essenzialmente di un ruolo pubblico essenziale della Chiesa?, un ruolo che vada oltre la formazione delle coscienze e che si ponga  come il fondamento ultimo trascendente dell'autorità politica? Come difesa di ultima istanza della legge morale?

Soddisfare una simile esigenza richiederebbe di riconoscere un dovere della politica non solo verso una generica dimensione trascendente e religiosa tra tutte le religioni alla pari, ma anche un dovere specifico ed unico nei confronti dell'unica religione vera, la religione cattolica. Rimandando il tema al prossimo capitolo, facciamo notare  che nel dettato di Benedetto XVI spesso ci si riferisce ad un generico mondo della religione, ossia delle religioni piuttosto che alla religione cattolica. Per esempio il n. 56 della Caritas in veritate dice che "La religione cristiana e le altre religioni possono dare un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica". Qui il posto di Dio nella sfera pubblica non riguarda il Dio della religione cattolica, ma un generico mondo del divino (una spersonalizzazione di Dio come afferma soprattutto la cabala ebraica  da ottocento anni dominante nella cultura luterana, islamica, laica). Non si può negare, come abbiamo visto nel primo capitolo, che Benedetto XVI non proponga con sicurezza (nella triplice personalizzazione dell'unico Dio) l'unicità della vera religione e nella stessa Caritas in veritate, al n.55, egli contesta il sincretismo (di un generico mondo del divino). In molti altri testi è deciso a proporre non un dio qualsiasi (un divino spersonalizzato): "la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'acceso a Dio. Non ad un qualsia dio (spersonalizzato), ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai, (a Mosè "Io sono quello che sono"); a quel Dio il cui volto umano riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine (Gv 13,1)". In altri passi il riferimento al trascendente è generico: "Senza l'apertura al trascendente (personale), che permette di trovare delle risposte agli interrogativi sul senso della vita e sulla maniera di vivere in modo morale, senza questa apertura l'uomo diventa incapace di agire secondo giustizia e di impegnarsi per la pace". In passaggi come questo la centralità di Dio sembra essere propria di un generico mondo divino e non dell'unica religione vera.

Benedetto XVI ha avuto il merito di impostare un serio dialogo con il mondo così detto laico, basandolo proprio sulla verità e sulla ragione. La religione del Logos lo esige. Sulla creazione si basa l'idea di un substrato, una grammatica comune, una lingua e una sintassi naturali che permettono il dialogo: "questo dialogo tra gli uomini è possibile solamente nella consapevolezza che esistono valori comuni a tutte le grandi culture, perché sono radicate nella cultura della persona umana". Però nel discorso di Regensburg egli ha messo in evidenza che le religioni possono inquinare il retto senso della verità e della ragione, e ci sono religioni che negano la dimensione naturale correttamente intesa. Il substrato comune quindi c'è, ma non tutte le religioni lo conservano e lo garantiscono, solo la religione cattolica lo fa. Ma allora solo essa ha un diritto, basato sulla natura e sulla verità, ad un rapporto con la politica di tipo particolare. Questo, però, come vedremo meglio in seguito è negato da Benedetto XVI. Con ciò l'esigenza di un posto per Dio nel mondo e l'insistenza sulla centralità di Dio conoscono qualche incertezza e una certa inconclusione.

 

 

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