Domenica XXXIII anno A

In questa penultima domenica dell’anno liturgico la Chiesa ci prepara alla venuta del giorno del Signore

Nella seconda lettura ne parla esplicitamente, e il Vangelo implicitamente con la parabola dei talenti.
San Paolo ripropone ai Tessalonicesi l’insegnamento che proviene da Gesù stesso: nessuno sa quando verrà il giorno del Signore; esso verrà come un ladro di notte. Gli apostoli avevano chiesto a Gesù quando sarebbe venuto il suo
giorno, ed egli aveva risposto non indicando una data determinata, ma dicendo che bisogna essere sempre pronti (Mt 24). E Paolo dice: “Quando si dirà: Pace e sicurezza, allora d’improvviso verrà la rovina”.
L’Apostolo poi incoraggia i Tessalonicesi, affermando che essi non sono nelle tenebre. Anche se viene la notte, i cristiani non sono nelle tenebre e non possono essere sorpresi dal giorno del Signore come da un ladro, perché sono già figli della luce e figli del giorno che attendono. Però non devono dormire come chi non vive di fede, ma restare svegli e sobri, non oziosi e non troppo indaffarati ma pregare e lavorare con impegno. Così saranno pronti per la venuta del Signore alla fine dei tempi.
La pagina evangelica ne parla implicitamente con la celebre parabola dei talenti, riportata da san Matteo (25,14-30). Il “talento” era un’antica moneta romana, di grande valore, e proprio a causa della popolarità di questa parabola è diventata sinonimo di dote personale, che ciascuno è chiamato a far fruttificare. In realtà, il testo parla di “un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni” (Mt 25,14). L’uomo della parabola rappresenta Cristo stesso, i servi sono i discepoli e i talenti sono i doni che Gesù affida loro. Perciò tali doni, oltre alle qualità naturali, rappresentano le ricchezze che il Signore Gesù ci ha lasciato in eredità, perché le facciamo fruttificare: la sua Parola, depositata nel santo Vangelo e fatta comprendere nella Tradizione della Chiesa; il Battesimo, che ci ricrea nello Spirito Santo; la preghiera – il “Padre nostro” – che eleviamo a Dio come figli fraternamente uniti nel Figlio; il suo perdono, che ha comandato di portare a tutti; il sacramento del suo Corpo immolato e del suo Sangue versato che la Messa almeno della Domenica attualizza. In una parola il Regno di Dio, che è Lui stesso, presente e operante con il suo amore.
Questo è il tesoro che Gesù ha affidato ai suoi amici, al termine della sua breve esistenza terrena. La parabola odierna insiste sull’atteggiamento interiore con cui accogliere e valorizzare questo dono. L’atteggiamento sbagliato è quello di aver paura: il servo che ha paura del suo padrone e ne teme il ritorno, nasconde la moneta sotto terra ed essa non produce alcun frutto. Questo accade, per esempio, a chi avendo ricevuto il Battesimo, la Cresima, la Comunione, l’Ordine, il Matrimonio seppellisce poi tali doni sotto una coltre di pregiudizi, sotto una falsa immagine di Dio che paralizza la fede e le opere, così da tradire le attese del Signore. Ma la parabola mette in maggior risalto i buoni frutti portati dai discepoli che, felici per il dono ricevuto, non l’hanno tenuto nascosto con timore e gelosia, ma l’hanno fatto fruttificare, condividendolo, partecipandolo. Sì, ciò che Cristo ci ha  donato si moltiplica donandolo! La fede si rafforza donandola! E’ un tesoro fatto per essere speso, investito, condiviso con tutti anche rischiando nell’attuale clima di secolarizzazione e di persecuzione, come ci insegna quel grande amministratore dei talenti di Gesù che è l’apostolo Paolo.
L’insegnamento evangelico, che oggi la liturgia ci offre, ha inciso anche sul piano storico – sociale, promovendo nelle popolazioni cristiane una mentalità attiva e intraprendente. Ma il messaggio centrale riguarda lo spirito di responsabilità con cui accogliere il regno di Dio cioè il dono del suo amore: responsabilità verso questo amore e verso l’umanità che Dio ama fino al perdono. Incarna perfettamente quest’atteggiamento del cuore la Vergine Maria che, ricevendo il più prezioso tra i doni, Gesù stesso, lo ha offerto e in ogni Messa che attualizza il sacrificio della Croce lo offre al mondo con immenso amore. A Lei chiediamo di aiutarci ad essere “servi buoni e fedeli”, perché possiamo prendere parte un giorno “alla gioia del nostro Signore”.

Commenti

Post popolari in questo blog

Anglicani

I peccati che mandano più anime all'inferno

Sulla bellezza della Messa “Tridentina”