Domenica XXXII anno A

Se togliamo Dio, se togliamo  il Figlio di Dio che ha assunto un volto umano e che risorto è presente e operante nella Chiesa, il mondo ripiomba nel vuoto e nel buio del nichilismo contemporaneo, un nichilismo spesso inconsapevole che ci contagia e ci secolarizza nella polvere
Le letture bibliche dell’odierna liturgia domenicale ci invitano a prolungare la riflessione sulla vita eterna, iniziata in occasione della Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Su questo punto è netta la differenza tra chi crede e chi non crede, o, si potrebbe ugualmente dire, tra chi spera e chi non spera. Scrive infatti san Paolo ai Tessalonicesi: “Non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza” (1 Ts 4,13). La fede nella morte
e nella risurrezione e quindi nella continua presenza e azione ecclesiale di Gesù Cristo segna, anche in questo campo, uno spartiacque decisivo tra credenti e non credenti. Infatti, la religione dei greci, i culti  e i miti pagani, non erano in grado di gettare luce sul mistero della morte, tanto che un’antica iscrizione diceva: “Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo”. Se togliamo Dio, se togliamo la presenza ecclesiale di Cristo cioè del Dio che possiede un volto umano, morto e risorto, ecclesialmente presente e operante, il mondo ripiomba nel vuoto e nel buio. E questo trova riscontro anche nelle espressioni del nichilismo contemporaneo, un nichilismo spesso inconsapevole che secolarizza, contagia un po’ tutti, soprattutto tanti giovani.
Il Vangelo di oggi è una celebre parabola, che parla di dieci ragazze invitate ad una festa di nozze, simbolo del Regno dei cieli, della vita eterna (Mt 25,1-13).  Un’immagine felice, con cui però Gesù insegna una verità che ci mette tutti in discussione; infatti, di quelle dieci ragazze: cinque entrano alla festa, perché, all’arrivo dello sposo, hanno l’olio per accendere le loro lampade; mentre le altrecinque rimangono fuori, perché, stolte, non hanno portato l’olio. Che cosa rappresenta questo “olio”, indispensabile per essere ammessi al banchetto nuziale della vita veramente vita con ogni bene senza più alcun male? Sant’Agostino (Discorsi 93,4) e altri autori vi leggono un simbolo di quell’amore divino, che non si può comperare, ma si riceve come dono, si conserva nell’intimo non anteponendo nessuno e niente a Lui e si pratica nelle opere, mai indifferenti ad ogni bisogno. Vera sapienza è approfittare  di questa vita mortale per compiere opere di misericordia, perché, dopo la morte, ciò non sarà più possibile. Quando saremo risvegliati per l’ultimo giudizio, questo avverrà sulla base dell’amore praticato nella vita terrena (Mt 25,31-46). E questo amore è dono di Cristo accolto responsabilmente, effuso in noi dallo Spirito santo. Chi si affida totalmente, chi crede in Dio-Amore porta in sé una speranza invincibile in tutte le tribolazioni, come una lampada con cui attraversare la notte oltre la morte, e giungere alla grande festa della vita veramente vita che tutti originariamente nell’intimo attendiamo con il rischio di idolatrare beni temporali.
A Maria, Sede della Sapienza e Porta del Cielo, chiediamo di insegnarci la vera Sapienza, quella che si è fatta carne in Gesù, Dio che ha assunto un volto umano, che ci ha amato sino alla fine vincendo la morte morendo. Lui è la Via che conduce da questo vita di amore a Dio, all’Eterno. Lui ci ha fatto conoscere il volto del Padre, e così ci ha donato l’olio di una speranza piena di amore. Per questo, alla Vergine e Madre del Signore la Chiesa si rivolge con queste paroleVita, dolcezza, e speranza nostra”. Impariamo da lei a vivere e morire nella speranza affidabile che non delude la cui certezza ci fa affrontare il presente, anche un presente difficile.

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