Il tratto trasgressivo dell'amore di Gesù

Il tratto “trasgressivo” dell’amore di Gesù, che fuoriesce dal moralismo delle convenzioni sociali del tempo, non è finalizzato ad abolire la legge morale per fare dell’arbitrio di ciascuno il criterio dell’amore buono o molesto, ma a manifestare l’amore di Dio quale criterio del bene e del male: condanna il peccato ma non il peccatore che si lascia riconciliare, ricreare dalla sua onnipotenza nel perdono

Commentando il passo evangelico dell’adultera perdonata Papa Francesco, nella terza meditazione al Giubileo dei sacerdoti, ha detto  a riguardo del rapporto tra legge e misericordia: “Mi commuove sempre il passo del Signore con
la donna adultera, come, quando non la condannò, il Signore mancò rispetto alla legge; in quel punto nel quale gli chiedono di pronunciarsi – ‘bisogna lapidarla o no?’-. Non si pronunciò, non applicò la legge. Fece finta di non capire…”. Un giudizio che va approfondito  in continuità con Sant’Agostino come Benedetto XVI ricorda: “Il Signore, rispondendo (ai farisei), rispetto la legge (“chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”) e nello stesso tempo non abbandona la sua mansuetudine”. Richiamò anche gli accusatori al loro peccato facendo capire che sarebbero stati tutti meritevoli di quella pena (cioè della condanna di Dio). Ma Dio – che è giustizia e condanna per i peccati di tutti . è anche, soprattutto misericordia, quindi perdona i peccatori. Gesù ama e perdona il peccatore, condannando però il peccato, non abolendolo. Per questo chiede alla donna che non condanna di cercare di ‘non peccare più d’ora in poi’”.
Come valutare questi due commenti alla pagina evangelica dell’adultera perdonata nel rapporto tra legge e misericordia? Benedetto XVI cita Agostino  sintetizzandolo: “Il Signore condanna il peccato, non il peccatore. Infatti, se avesse tollerato il peccato avrebbe detto: Neppure io ti condanno, vivi come vuoi…per quanto grandi siano i tuoi peccati, io ti libererò da ogni pena e da ogni sofferenza. Ma non disse così”.
L’incontro di Gesù con la Samaritana, pur fugando la diffidenza e il sospetto iniziali della donna, si conclude con la corrispondenza di quest’ultima, conquistata da un amore più grande del proprio peccato, cogliendo che Gesù non la definisce dal male compiuto, ma dal lasciarsi riconciliare.
Nel rapporto tra la legge di Mosè, cui  Egli è fedele fino allo iota, e la misericordia, quale atteggiamento assume Gesù nei confronti degli adulteri che la legge vuole lapidati senza misericordia? Gesù è nel tempio, impegnato nell’insegnamento. La sacralità del luogo e l’affluenza dell’uditorio – “Tutto il popolo andava da lui” – danno a quanto segue il tono di un pronunciamento solenne, fondamentale, analogo a quello del papa ex cathedra. Un’occasione propizia per gli avversari di Gesù, che vorrebbero approfittare dell’ufficialità e della pubblicità per smentire i suoi insegnamenti  di connubio tra legge e misericordia, di centralità della misericordia nel rapporto con Dio. Il testo osserva l’intenzione degli scribi e farisei che assolutizzano la legge senza misericordia e quindi l’intenzione di “metterlo alla prova” e “avere motivo di accusarlo” di non osservare la legge che chiedeva la lapidazione degli adulteri.
Gli scribi e i farisei non solo gli conducono una donna sorpresa in adulterio, ma la pongono “in mezzo” pubblicamente. Presentandola a Gesù, al cospetto della folla, calcano la mano sulla sua trasgressione rispetto alla legge: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio”. La legge di Mosè, cui Gesù dice di essere fedele fino allo iota, ha una risposta chiara, senza misericordia: il male va estirpato eliminando chi lo commette. “Mosè, nella legge ci ha comandato di lapidare donne come queste”. In effetti, in Levitico 20,10 si legge che: “Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte”. Deuteronomio 22,22 conferma questo verdetto, stabilendo che “quando un uomo viene trovato a giacere con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l’uomo che è giaciuto con la donna e la donna. Così – conclude la norma – estirperai il male da Israele”.
L’attesa raggiunge il suo apice con l’assolutizzazione delle legge senza la misericordia  con la domanda diretta a Gesù: “Tu che ne dici?”. Ora Gesù sembra posto davanti a una alternativa inevitabile: obbedire alla legge eliminando la donna senza misericordia; oppure mancare rispetto alla legge non applicandola, trasgredendola.
I due termini di confronto sono la donna e la legge. A lui, come ai suoi avversari, viene richiesto di emettere la sentenza come un giudice imparziale, mantenendosi neutro, non coinvolto rispetto alla accusata assolutizzando la legge senza alcuna misericordia. La relazione con la donna passa in secondo piano, sopravanzata dall’esigenza impersonale della legge.
Gesù, volto della misericordia del Padre, prende tempo: “Si chinò a scrivere col dito per terra”. Gesù sembra distrarre gli avversari, la folla e anche se stesso dall’equivalenza apparentemente ineccepibile: trasgressione del peccato – eliminazione del peccatore, definito una volta per sempre dal male fatto. La furia dottrinale e legalistica  può giungere sino a oscurare la differenza che corre tra il peccato e il peccatore ed è questa la preoccupazione di Papa Francesco di tutte e tre le meditazioni fatte  nel ritiro giubilare ai sacerdoti. 
Facendo attendere la sua parola, Gesù invita, senza trasgredire la legge, a ritrovare la priorità della persona mettendo al centro nel rapporto tra l’uomo e Dio non la legge e il peccato, che vanno colti, ma il perdono, la misericordia fino al momento terminale della vita. Perché questo avvenga occorre che le voci si spengano e gli occhi smettano lo sguardo ideologico di chi non vede il volto di una donna, ma solo il suo adulterio, il suo peccato. Gesù vuole condurre i suoi avversari a distinguere tra il male da condannare  e la persona da guadagnare sempre all’amore misericordioso. Volto della misericordia del Padre, che pure ha donato la legge, Gesù non può accettare, in nome dell’eliminazione del male, di eliminare chi lo ha commesso, definendolo una volta per sempre.
L’esplicitazione di questa sua disposizione amorosa, che è il cuore della rivelazione portata da Lui a compimento, informa tutta la missione redentrice di Gesù tra gli uomini. La completezza della Rivelazione di Dio tra gli uomini: “Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12,49), “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13).
Chinandosi a terra e mettendosi a scrivere vuole distogliere gli occhi alla donna che nel frattempo rimane in mezzo, inerme nell’attesa solo della condanna. Ma agli interlocutori di Gesù non basta il suo gesto di distensione, di distrazione dal loro furore di fare giustizia, cosicché essi lo incalzano esigendo la sua risposta. Spiazzando allora gli insistenti astanti, li invita a far rientrare se stessi nel vivo del giudizio, non più come spettatori di un caso che non li riguarda direttamente, non li coinvolge ma come giudici di se stessi nell’applicare la legge: “chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”, e così applichi la legge. Gesù non è contro la legge. 
Nella legislazione penale del Deuteronomio, i primi a gettare la pietra erano i testimoni, cui seguiva tutto il popolo (Dt 17,7). Gesù costringe gli accusatori a non chiamarsi fuori dalla sentenza di morte riparandosi dietro la legge impersonale, ma ad assumere di persona la responsabilità del male nei confronti della donna. Costretti a riconoscere come la differenza tra il peccato (la legge) e il peccatore (mai definibile nel suo essere fino al momento terminale dal male che fa) riguarda non solo l’adultera ma loro stessi, nella realtà della loro coscienza non certo innocente. Finalmente scribi e farisei recedono dalla loro convinzione di essere giusti nel loro giudizio e quindi pure bisognosi di misericordia.
Ma Gesù, a questo punto, si comporta anche nei loro confronti non condannandoli per i loro peccati, ma esattamente come aveva fatto nei confronti della donna adultera. Distogliendo da loro lo sguardo, affinché anche loro non si sentano condannati, definiti dal male fatto alla luce della legge e quindi bisognosi pure di misericordia. La morale che Gesù propone non è la morale della riuscita ma del tentare e ritentare con fiducia e speranza lasciandosi perdonare e perdonando, con la fede che solo Cristo porterà a compimento: “E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra”. Nemmeno nei confronti degli ingiusti accusatori  Gesù fa giustizia condannandoli, perché anche loro sono tra coloro che il suo desiderio di non esclusione come vuole il Padre vuole riconquistare alla misericordia. Il suo silenzio, così eloquente, il dono del suo Spirito induce alla ritirata personalmente “uno per uno”, a cominciare dai più anziani – i più accesi probabilmente nella polemica sull’assolutezza della legge senza misericordia – trae espressione nell’insegnamento, in connubio con la Legge del Sinai, formulato nel Discorso della Montagna,  la magna charta della nuova legge del Regno di Dio: “Non giudicate per non essere giudicati, perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi” (Mt 7,1-2). Nel 2008, in Germania, nell’incontro con i giovani  Benedetto XVI: il Padre non guarda quante volte cadiamo, ma quante volte ci lasciamo riconciliare. Non escludendo abbiamo la certezza di non essere esclusi.
Ora che finalmente è lasciato solo, con la donna ancora pubblicamente “là in mezzo”, Gesù può pronunciarsi al riguardo con il connubio tra legge e misericordia. Ora che l’incontro si fa a tu per tu, non più intralciato dal modo impersonale di rifarsi alla legge e dalla preoccupazione solo dottrinale e legale, Gesù può emettere il suo giudizio, l’unico che può scaturire dall’amore più grande di ogni peccato che la legge fa cogliere: “Donna dove sono? Nessuno ti ha condannata? Ed ella rispose: “Nessuno, Signore” e Gesù disse: “Neanch’io ti condanno, va’ ed ora in poi non peccare più”, tenta e ritenta di osservare la legge data pure da Dio.
Gesù come volto della misericordia del Padre non accetta alcun compromesso con forme adulterate dell’amore: non la donna non viene condonata del suo male, non viene definita, ma perdonata. Gesù non la tratta come se niente fosse successo, ma in modo di ispirare fiducia di tentare e ritentare con Lui perché non succeda più.
Nessuna condizione dell’altro, neanche il suo peccato, sono una diga sufficiente per limitare l’amore misericordioso del Padre in Cristo con il dono dello Spirito.
La passione amorosa di Cristo sormonta ogni ostacolo. Per contemplarla, occorre rifarsi allora della pasqua, allorquando Gesù, “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”, quando l’altro non è più solo una donna adultera, ma addirittura l’amico intimo che lo tradisce a morte rivelando l’altezza dell’amore divino, non esclude nessuno, la lunghezza, è perseverante e nessuna difficoltà lo vince, l’altezza, portare ogni uomo a figlio nel Figlio, la profondità, condivide fino in fondo le miserie di ogni uomo, e dell’umanità nel suo insieme.

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