Celestino V

Il segreto della fecondità pastorale sta proprio nel “rimanere” con il Signore

“Pietro Angelerio (san Pietro Celestino V)  sin dalla giovinezza è stato un “cercatore di Dio”, un uomo desideroso di trovare risposte ai grandi interrogativi della nostra esistenza: chi sono, da dove vengo, perché vivo, per chi vivo? Egli si mette in viaggio alla ricerca della verità e della
felicità, si mette alla ricerca di Dio e, per ascoltarne la voce, decide di separarsi dal mondo e di vivere da eremita. Il silenzio diventa così l’elemento che caratterizza il suo vivere quotidiano. Ed è proprio nel silenzio esteriore, ma soprattutto in quello interiore, che egli riesce a percepire la voce di Dio, capace di orientare la sua vita. C’è qui un primo aspetto importante per noi: viviamo in una società in cui ogni spazio, ogni momento sembra debba essere “riempito” da iniziative, da attività, da suoni; spesso non c’è il tempo neppure per ascoltare e dialogare. Cari fratelli e sorelle!Non abbiamo paura di fare silenzio fuori e dentro di noi, se vogliamo essere capaci non solo di percepire la voce di Dio, ma anche la voce di chi ci sta accanto, la voce degli altri.
Ma è importante sottolineare anche un secondo elemento: la scoperta del Signore che fa Pietro Angelerio non è il risultato di uno sforzo, ma è resa possibile dalla Grazia stessa di Dio, che lo previene. Ciò che egli aveva, ciò che egli era, non gli veniva da sé: gli era stato donato, era grazia, ed era perciò anche responsabilità davanti a Dio e davanti agli altri. Sebbene la nostra vita sia molto diversa, anche per noi vale la stessa cosa: tutto l’essenziale della nostra esistenza ci è stato donato senza nostro apporto. Il fatto che io viva non dipende da me; il fatto che ci siano state persone che mi hanno introdotto nella vita, che mi hanno insegnato cosa sia amare ed essere amati, che mi hanno trasmesso la fede e mi hanno aperto lo sguardo a Dio: tutto ciò è grazia e non è “fatto da me”. Da noi stessi non avremmo potuto fare nulla se non ci fosse stato donato: Dio ci anticipa sempre e in ogni singola vita c’è del bello e del buono che noi possiamo riconoscere facilmente come sua grazia, come raggio di luce della sua bontà. Per questo dobbiamo essere attenti, tenere aperti gli “occhi interiori”, quelli del nostro cuore. E se noi impariamo a conoscere Dio nella sua bontà infinita, allora saremo capaci anche di vedere, con stupore, nella nostra vita – come i Santi – i segni di quel Dio, che ci è sempre vicino, che è sempre buono con noi, che ci dice: “Abbi fede in me!”.
Nel silenzio interiore, nella percezione della presenza del Signore, Pietro del Morrone aveva maturato, inoltre, un’esperienza viva della bellezza del creato, opera delle mani di Dio: ne sapeva cogliere il senso profondo, ne rispettava i segni e i ritmi, ne faceva uso per ciò che è essenziale alla vita. So che questa Chiesa locale, come pure le altre dell’Abruzzo e del Molise, sono attivamente impegnate in una campagna di sensibilizzazione per la promozione del bene comune e della salvaguardia del creato: vi incoraggio in questo sforzo, esortando tutti a sentirsi responsabili del proprio futuro, come di quello degli altri, anche rispettando e custodendo la creazione, frutto e segno dell’amore di Dio.
Nella Lettera ai Galati c’è una bellissima espressione di san Paolo, che è anche un perfetto ritratto spirituale di san Pietro Celestino: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (6,14). Davvero la Croce costituì il centro della sua vita, gli diede la forza per affrontare le aspre penitenze e i momenti più impegnativi, dalla giovinezza all’ultima ora: egli fu sempre consapevole che da essa viene la salvezza. La Croce diede a san Pietro Celestino anche una chiara coscienza del peccato, sempre accompagnata da un’altrettanta coscienza dell’infinita misericordia di Dio versa la creatura. Vedendo le braccia aperte e spalancate del suo Dio crocifisso, egli si è sentito portare nel mare infinito dell’amore di Dio. Come sacerdote, ha fatto esperienza della bellezza di essere amministratore di questa misericordia assolvendo i penitenti dal peccato, e quando fu eletto alla Sede dell’Apostolo Pietro, volle, concedere una particolare indulgenza, denominata “La Perdonanza”. Desidero esortare i sacerdoti a farsi testimoni chiari e credibili della buona notizia della riconciliazione con Dio, aiutando l’uomo d’oggi a recuperare il senso del peccato e del perdono di Dio, per sperimentare quella gioia sovrabbondante descritta dal profeta Isaia (Is 66, 10 – 14).
Infine, un ultimo elemento: san Pietro celestino, pur conducendo vita eremitica, non era “chiuso in se stesso”, ma era preso dalla passione di portare la buona notizia del Vangelo ai fratelli. E il segreto della sua fecondità pastorale stava proprio nel “rimanere” con il Signore, nella preghiera: l’annuncio sereno, chiaro e coraggioso del messaggio evangelico – anche nei momenti di persecuzione – senza cedere né al fascino della moda, né a quello della violenza o dell’imposizione: il distacco dalle preoccupazioni per le cose – il denaro e il vestito – confidando nella Provvidenza del Padre: l’attenzione e cura in particolare verso i malati nel copro e nello spirito  (Lc 10,5 – 9).Queste furono anche le caratteristiche del breve e sofferto pontificato di Celestino V e queste sono le caratteristiche dell’attività missionaria della Chiesa in ogni epoca” (Benedetto XVI, Omelia a Sulmona del 4 luglio 2010).

Senza un minimo contatto personale con Dio verità, bontà, amore, bellezza, purezza, l’uomo non può vivere e operare. Verità, bontà, amore sono le condizioni fondamentali del suo stesso essere dono del Donatore divino, in relazione con Dio, con se stesso, con gli altri. Come esserne coscienti percependo quegli interrogativi originari in noi: chi sono, da dove vengo, perché vivo, per chi vivo? Scegliere un eremita come Papa esprime la sete di tutti di mettersi in viaggio alla ricerca della verità e della felicità Il silenzio diventa così una necessità quotidiana per tutti e la preghiera liturgica non può mancare di adeguati momenti di silenzio. Ed è proprio nel silenzio esteriore, ma soprattutto in quello interiore che si percepisce personalmente la voce di Dio, con l’occhio della fede il Dio che possiede un volto umano, Gesù risorto. Non dobbiamo aver paura di fare silenzio fuori e dentro di noi, se vogliamo essere capaci non solo di percepire la voce di Dio, ma anche la voce di chi ci sta accanto nel proprio essere dono, come di tutto il cosmo che ci circonda.

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