Buon grano e zizzania

L’accantonare la speranza nella vita eterna porta all’avidità per una vita qui e ora, che diventa quasi inevitabilmente egoistica e, alla fine, rimane irrealizzabile

Affinché abbiate speranza”: con questo motto vi (secondo Kirchentag ecumenico) siete riuniti a Monaco. In un tempo difficile, volete inviare un segnale di speranza alla Chiesa e alla società. Per questo vi ringrazio molto. Infatti, il nostro mondo ha bisogno di speranza,il nostro tempo ha bisogno di speranza. Ma la Chiesa è un luogo di speranza? Negli ultimi mesi ci siamo dovuti confrontare ripetutamente con notizie che ci vogliono togliere la gioia nella Chiesa, che la oscurano come luogo di speranza. Come i servi del padrone di casa nella parabola evangelica del regno di Dio, anche noi vogliamo chiedere al Signore: “Signore, non hai seminato del buon grano nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?” (Mt 13,27). Sì, con la sua Parola e con il sacrificio della sua vita il Signore ha davvero seminato del buon seme nel campo della terra. E’ germogliato e germoglia. Non dobbiamo pensare solo alle grandi figure luminose della storia, alle quali la Chiesa ha riconosciuto il titolo di “santi”, ovvero completamente permeati da Dio, risplendenti a partire da Lui. Ognuno di noi  conosce anche le persone comuni, non menzionate in alcun giornale e non citate in alcun cronaca, che a partire dalla fede sono maturate raggiungendo una grande umanità e bontà. Abramo, nella sua appassionata disputa con Dio per risparmiare la città di Sodoma ha ottenuto dal Signore dell’Universo la rassicurazione che se ci saranno dieci giusti non distruggerà la città (Gn 18, 22 – 33). Grazie a Dio, nelle nostre città ci sono molto di più di dieci giusti! Se oggi siamo un po’ attenti, se non percepiamo solo il buio, ma anche ciò che è chiaro e buono nel nostro tempo, vediamo come la fede rende gli uomini puri e generosi e li educa all’amore. Di nuovo: La zizzania esiste anche in seno alla Chiesa e tra coloro che il Signore ha accolto al suo servizio in modo particolare. Ma la luce di Dio non è tramontata, il grano buono non è stato soffocato dalla semina del male.
“Affinché abbiate speranza”: Questa frase vuole prima di tutto invitarci a non perdere di vista il bene e i buoni. Vuole invitarci a essere noi stessi buoni e a ridiventare buoni sempre, vuole invitarci a discutere con Dio per il mondo, come Abramo, cercando noi stessi, di vivere della giustizia di Dio.
La Chiesa è dunque luogo di speranza? Sì, poiché da essa il Signore continua a donarci se stesso, nella grazia dei sacramenti, nella parola della riconciliazione, nei molteplici doni della sua consolazione. Nulla può oscurare o distruggere tutto ciò. Di questo dovremmo essere lieti in mezzo a tutte le tribolazioni. Se parliamo della Chiesa come luogo della speranza che viene da Dio, allora ciò comporta, allo stesso tempo, un esame di coscienza: Che cosa faccio io della speranza che il Signore ci ha donato? Davvero mi lascio modellare dalla sua Parola? Mi lascio cambiare e guarire da Lui? Quanta zizzania in realtà cresce dentro di me? Sono disposto a sradicarla? Sono grato del dono del perdono e disposto a perdonare e a guarire a mia volta invece che a condannare?
Domandiamo ancora una volta: che cos’è veramente la “speranza”? Le cose che possiamo fare da soli non sono oggetto della speranza, bensì un compito che dobbiamo svolgere con la forza della ragione, della nostra volontà e del nostro cuore. Ma se riflettiamo su tutto ciò che possiamo e dobbiamo fare, allora notiamo che non possiamo fare le cose più grandi, le quali ci giungono solo come dono: l’amicizia, l’amore, la gioia, la felicità. Vorrei osservare anche una cosa: tutti noi vogliamo vivere, e anche la vita non ce la possiamo dare  da soli. Quasi nessuno, però, oggi parla ancora della vita eterna,  che in passato era il vero oggetto della speranza. Poiché non si osa credere in essa, bisogna sperare di ottenere tutto dalla vita presente. L’accantonare la speranza nella vita eterna porta all’avidità per una vita qui e ora, che diventa quasi inevitabilmente egoistica e, alla fine, rimane irrealizzabile. Proprio quando vogliamo impossessarci della vita come di una sorta di bene, essa ci sfugge. Ma torniamo indietro, Le cose grandi della vita non possiamo realizzarle noi, possiamo sperarle. La buona novella della fede consiste proprio in questo: esiste Colui che può donarcele. Non veniamo lasciati soli. Dio vive. Dio ci ama. In Gesù Cristo è diventato uno di noi. Mi posso rivolgere a lui e lui mi ascolta. Per questo, come Pietro, nella confusione dei nostri tempi, che ci persuadono a credere in tante altre vie, gli diciamo: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68s).
Cari amici, auguro a tutti voi, che siete riuniti sulla Theresienwese a Monaco, di essere di nuovo sopraffatti dalla gioia di poter conoscere Dio, di conoscere Cristo e che Egli ci conosce. E’ questa la nostra speranza e la nostra gioia in mezzo alle confusioni del tempo presente” (Benedetto XVI, Messaggio al Kirchentag Ecumenico di Monaco, 10 maggio 2010).

Noi abbiamo bisogno di cose che possiamo fare da soli con un compito che dobbiamo svolgere con la forza della ragione, della nostra volontà e del nostro cuore: abbiamo bisogno delle speranze – piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma riflettendo su tutto ciò che possiamo e dobbiamo fare, allora notiamo che non possiamo fare le cose più grandi, le quali ci giungono solo come dono: l’amicizia, l’amore, la gioia, la felicità, la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è per l’anima e per il corpo “veramente” vita cioè con la risurrezione la più grande “mutazione” mai accaduta, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso che è avvenuto in Gesù di Nazareth, ma con Lui interessa anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo. Questa la speranza affidabile in virtù della quale possiamo affrontare il presente, che da soli non possiamo raggiungere. Dio solo è il fondamento di questa speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Risorto è presente e agisce sacramentalmente attraverso la Chiesa e ogni uomo, con il dono del Suo Spirito lo può incontrare e aprirsi ad un orizzonte nuovo e a una direttiva definitiva.

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