Ascensione

Ascensione
(proposta di omelia attingendo da Benedetto XVI)

Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su ciascuno di voi, rendendomi presente  in continuità da risorto nel vostro cuore (ecco cosa vuol dire essere in grazia di Dio), quando convenite insieme come mio corpo, mia Chiesa, di fronte a voi nella materialità dei segni sacramentali, Eucaristia e riconciliazione in particolare, vi lascerete assimilare a me, fino ad amarvi come io vi amo e così di me, della mia presenza, dell’incontro che salva, sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra che allora si riteneva fosse Roma, Gibilterra in Spagna e oggi in tutto il mondo. Con queste parole Gesù si congeda dagli Apostoli che lo avevano visto nella vita biologica fino alla morte come ci vediamo noi, da risorto nelle apparizioni e ora fino alla fine del mondo in continuità nella sua presenza sacramentale, Lui, Figlio dell’uomo crocifisso e risorto insediato nella regalità di Dio sul mondo.
Nella pagina degli Atti degli Apostoli si dice che “è stato assunto” (v. 11). Dio introduce l’umanità risorta di Gesù nella prossimità divina. Una nuvola lo sottrasse ai loro occhi richiama un’antichissima immagine della storia di Dio con Israele, dalla nube del Sinai e sopra la tenda dell’alleanza nel deserto all’annuncio dell’Angelo a Maria “dio ti adombrerà e ti renderà madre del Figlio di Dio, fino alla nube della Trasfigurazione. Presentare il Signore nella nube, dire che siede alla destra di Dio, ascendere in Cielo significa simbolicamente che l’essere umano è entrato in modo inaudito e nuovo nell’intimità di Dio; l’uomo, ognuno di noi è destinato per sempre nello spazio di Dio come figlio nel Figlio. Il “cielo”, questa parola cielo, non indica un luogo sopra le stelle, ma molto di più: indica Cristo stesso, la Persona divina del Figlio incarnato che accoglie pienamente e per sempre ogni io umano, il mio io. Cielo è Colui nel quale Dio dal volto umano chiama ognuno di noi ad unirsi nell’amore trinitario per l’eternità  Non anteporre nessuno e nulla a questa destinazione, al cielo, alla vita veramente vita significa non anteporre nulla a Cristo, allo stare con Lui nella preghiera, all’incontrarlo almeno la Domenica nell’Eucaristia, a non lasciar passare il mese senza riconciliarci nella confessione, a non tirarci indietro incontrando chi ha bisogno e possiamo aiutarlo. E noi, proseguendo negli anni, ci avviciniamo al cielo, anzi entriamo sempre più in cielo, nella misura in cui non è più il nostro io al centro ma Cristo nel noi della comunità, della famiglia, della parrocchia. Pertanto l’odierna solennità dell’Ascensione ci invita a una comunione profonda con Gesù morto e risorto, invisibilmente e sacramentalmente sempre presente di fronte a noi, tra noi per divenirlo dentro di noi, più intimo a noi che non noi a noi stessi.
Convertiti finalmente a questo orizzonte ecclesiale, fraterno comprendiamo perché l’evangelista Luca, a conclusione del Vangelo di Gesù e all’inizio del Vangelo della Chiesa, descritto negli Atti, affermi che, diversamente da quando appariva e scompariva nei quaranta giorni, dopo l’ultima apparizione pubblica dell’Ascensione, i discepoli tornarono “pieni di gioia” (24,52) a Gerusalemme nel Cenacolo in attesa dello Spirito santo che lo avrebbe così reso presente in ogni momento, di fronte a loro, tra loro e nel proprio io, nella propria anima, nel proprio cuore. Quanto era accaduto in quell’ultima apparizione visibile non era in verità un distacco, un’assenza permanente del Signore: anzi essi avevano ormai la certezza, da rafforzare annunciandola a tutti, che il crocifisso risorto era vivo, ed in Lui aperte per sempre, attraverso la Chiesa, ad ogni uomo le porte per incontrare Dio, toccati dalla sua santità cioè dalla verità, dall’amore, dalla bellezza e giungere alla vita veramente vita dell’anima e del copro, per sempre. L’Ascensione non comporta la temporanea assenza dal mondo di Gesù Cristo per incontrarlo dopo morte, ma piuttosto la preparazione alla nuova presenza che avverrà fin dalla prima Pentecoste e in ogni Pentecoste con il dono del Suo Spirito, presenza definitiva di Gesù Cristo che nella sua forma di risorto presente sacramentalmente nessuno potrà eliminare con il rifiuto o la persecuzione dei suoi, in virtù della potenza regale di Dio. Toccherà proprio a loro, ai discepoli, resi arditi, altri Cristi dalla potenza dello Spirito Santo, renderne percepibile nel vissuto questa presenza con la testimonianza di carità, la predicazione e l’impegno missionario: questa fede nella sua presenza si rafforza sempre donandola fino alla testimonianza suprema del martirio.
Ecco perché dono dell’Ascensione celebrata consapevolmente colma anche noi di serenità e di entusiasmo nell’attuale inverno della secolarizzazione, proprio come avvenne per gli Apostoli che dal monte degli Ulivi ripartirono pieni di gioia, ed erano pochi, sprovvisti di tutto, minacciati a morte, isolati.
Come loro, frutto del cammino di tutto quest’anno liturgico nei due momenti forti Avvento – Natale, Quaresima Pasqua, accogliendo l’invito dei “due uomini in bianche vesti” non dobbiamo rimanere a fissare chi non è più visibilmente presente nella fase terrena e nelle apparizioni, ma memorizzando questo momento storico di rivelazione, sotto la preminente e decisiva guida dello Spirito Santo cioè di Lui che ci conduce attraverso il dono del Suo Spirito, andare dappertutto, soprattutto negli ambienti dove non se ne parla e proclamare l’annuncio salvifico della sua morte e risurrezione, della sua presenza sacramentale nella Chiesa e nel dono del suo Spirito per amare come Lui ci ama cioè in modo divino. Ci accompagnano e ci sono di conforto le sue stesse parole, con le quali si chiude il vangelo secondo san Matteo: “Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19).
Il carattere storico del mistero della Resurrezione e Ascensione del Cristo ci aiuta a riconoscere e a comprendere la condizione trascendente della Chiesa, la quale non è nata e non vive per supplire all’assenza del suo Signore “scomparso”, ma al contrario trova la ragione del suo essere e della sua missione nella permanente anche se invisibile presenza sacramentale di Gesù, una presenza operante mediante la potenza del suo Spirito. In altri termini, potremo dire che la chiesa non svolge la funzione di preparare il ritorno di un Gesù “assente”, ma, al contrario, vive ed opera sempre per proclamarne la “presenza gloriosa” in maniera storica ed esistenziale. Dal giorno dell’Ascensione, ogni comunità cristiana avanza nel suo itinerario terreno verso il compimento delle promesse messianiche, alimentata dalla Parola di Dio e nutrita, almeno la domenica, dal Corpo e Sangue del suo Signore. Questa è la condizione di noi qui convenuti, della Chiesa – ricorda il Concilio Vaticano II – mentre “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, annunziando la passione e morte del Signore fino a che Egli venga” (Lumen Gentium 8).

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