L'ira catto-dem contro il cattolico Fontana
Stefano Fontana, in "La Nuova Bussola" – 18 ottobre 2022
In casa cattolica si scatena l'attacco ai neopresidenti di Camera e Senato. La loro elezione ha rivelato l'esistenza di filoni culturali non allineati e non graditi a quei cattolici "adulti" che li consideravano estinti. Ma sono questi ultimi ad estinguersi favorendo la secolarizzazione.
Per cercare di capire il becero livore espresso contro i due neoeletti alla presidenza di Senato e Camera, di cui grondano purtroppo anche bocche e penne cattoliche, occorre sollevarsi a considerare dall'alto le dinamiche della cultura italiana. Lasciamo stare per un momento i significati politici – che possono essere più di uno – della svolta costituita dalle elezioni di La Russa al Senato e di Fontana alla camera, e cerchiamo di concentrarci solo su quelli culturali.
Quelle elezioni hanno fatto gridare allo scandalo e hanno riempito molti cuori di rabbia perché hanno mostrato l'esistenza di una cultura a lungo costretta alla clandestinità e che ora improvvisamente dà segno di esistere. Più che una cultura compatta, si tratta di filoni culturali, di famiglie culturali diverse ma comunque alternative a quella dominante. Si voleva far pensare che non esistessero più, si è fatto ogni sforzo per ostracizzarle, le si è dipinte con colori che alla fine si è visto non essere i loro, le si è presentate come pericolose, retrograde, reazionarie, autoritarie.
La svolta ha invece rivelato che in Italia c'è anche chi non è mai entrato in una libreria Feltrinelli, che non segue le indicazioni di vita di Ezio Mauro o di Corrado Augias, che non ride delle vignette di Vauro perché non le guarda, che non compera Micromega o Il Mulino, che alla sera, dal suo divano, non assiste a Piazzapulita di Corrado Formigli. Gente che di Saviano conosce a malapena il nome, che non ha mai riso per le performance della Litizzetto, corrosive in apparenza ma perfettamente conformiste nella sostanza, che non si interessa delle opinioni sull'aborto della Ferragni. Questo ha provocato, nei comparti della cultura ufficiale italiana, come un impatto da panico.Gli insulti senza ritegno hanno quindi un significato "culturale", sono i sussulti scomposti di una cultura che riteneva di essere ormai la sola. Nascono dalla sorprendente esperienza che esistono in Italia anche altre culture oltre a quella di Repubblica e della RAI. Ci si preoccupa, poi, che queste culture "rozze e primitive" ora abbiano cinque anni di tempo per uscire ancora di più allo scoperto, che nascano centri culturali nuovi, nuove riviste, nuovi quotidiani, nuove catene librarie oltre l'universo Feltrinelli.
La cultura egemone non è riuscita ad esserlo completamente e questo, per i seguaci di Gramsci e Gobetti, risulta una catastrofe inaccettabile, dato che essi ritenevano di essere dalla parte del senso della storia. La fusione tra la rivoluzione liberale e la rivoluzione gramsciana ha prodotto – diceva Del Noce – la fine della rivoluzione nel senso leninista del termine. Era finito il significato violento della rivoluzione, quello strettamente politico e addirittura "religioso" (palingenetico direbbero gli amanti del bel dire), ma non era finito il suo significato culturale che anzi prese ancora più piede, perché considerato innocuo e capace di passare tramite il consenso piuttosto che tramite la lotta. Negli ultimi decenni quella cultura si è estesa, come un ampio manto coprente, su tutto il Paese. Contrastarla era molto difficile, richiedeva coraggio e il rischio della proscrizione. I partiti che la promuovevano fondavano il loro potere su quella cultura diffusa e, tramite il potere, la confermavano e la alimentavano in un circolo ritenuto indefinitamente virtuoso.
Però, sotto la coltre del conformismo imposto, molti continuavano a pensare che il fascismo non fosse il "male assoluto", se non altro perché il comunismo era peggio, che la storia italiana non veniva raccontata bene da chi si arrogava il compito autoritativo di raccontarla, che il narcisistico principio di autodeterminazione distruggeva la famiglia e ogni convivenza sociale, che una repubblica atea non era perciò una repubblica migliore, che prima dello Stato c'erano molte società naturali che lo Stato doveva rispettare, che la libertà diventa totalitaria separata dalle verità, che le azioni orrende non cessano di esserlo perché votate da una maggioranza e decretate dagli "illuminati". Le elezioni dei due presidenti delle Camere non hanno espresso queste culture sotterranee, ma le hanno adombrate, hanno fatto la spia, hanno fatto capire che esistono e che se sono state finora sotterranee è perché vi sono state costrette con la forza.
Ormai anche la cultura cattolica era stata cooptata all'interno della coltre egemone del gramscismo. Il cattolicesimo democratico ha transitato il popolo cattolico verso le culture secolarizzate, ha insegnato ai cattolici a frequentare le librerie Feltrinelli e alle editrici e librerie cattoliche a diventare delle piccole Feltrinelli. Hanno insegnato a fare le Bonino e le Cirinnà pur senza esserlo. Anche per i cattolici adulti la sorpresa è stata quindi grande, perché anche loro pensavano che una cultura cattolica diversa dalla loro si fosse ormai estinta, superata dalla ideologia postconciliarista. Parlo di una cultura cattolica che non affidi alla sola coscienza personale il rapporto tra la fede e la politica. Perché per fare questo sono sufficienti i protestanti, non servono i cattolici. È così che anche Avvenire, stupito e contrariato, prende le distanze dal cattolico Fontana, e con Avvenire perfino intellettuali e docenti cattolici di alto bordo.
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