L'atmosfera di Fatima

A cent’anni Fatima ci ricorda che Cristo, misericordia del Padre nel perdono dello Spirito, propone alla libertà di ognuno una scelta definitiva per l’eternità intera: o la salvezza o la dannazione 
Un mistero che inquieta e consola, parte della Prefazione di Vittorio Messori a Inchiesta su Fatima di Vincenzo Sansonetti
Misericordia e giustizia
L’atmosfera di Fatima appare soprattutto escatologica, apocalittica. Anche se, lo vedremo, con un finale che conforta e rasserena. Pare apocalittica quanto e forse più che a La Salette, nel 1846, dove ciò che caratterizza
l’apparizione è il pianto della Madonna. Celle qui pleure (Colei che piange) è il titolo dato dal convertito Léon Bloy a quell’evento misterioso di un solo giorno, sulle Alpi della diocesi di Grenoble. E’ evidente che la ragione principale dell’apparizione portoghese è richiamare gli uomini alla tremenda serietà di una vita terrena che altro non è che una breve preparazione alla vita vera, a un’eternità che può essere di gioia ma anche di tragedia. E’ un richiamo alla misericordia e, al contempo, alla giustizia di Dio.
L’insistenza unilaterale di oggi sulla sola misericordia dimentica l’et-et che presiede al cattolicesimo e che, qui, scorge in Dio il Padre amoroso che ci attende a braccia spalancate e, al contempo, il giudice che peserà sulla sua infallibile bilancia il bene e il male. Ci attende sì un paradiso, ma che occorre guadagnarsi, spendendo al meglio i talenti piccoli o grandi che ci sono stati affidati. Il Dio cattolico non è di certo quello sadico del calvinismo che, a suo insondabile piacimento, divide in due l’umanità: coloro che nascono predestinati al paradiso e coloro che ab aeterno sono attesi dall’inferno. Un destino insondabile e irremovibile, al quale non si può sfuggire, checché si faccia, anche accumulando meriti: per “quel” Dio non hanno alcun valore. E’ così, afferma Calvino, che Egli manifesta la gloria della sua potenza. No, il Dio cattolico non ha nulla a che fare con simili deformazioni. Ma non è neppure il bonario permissivista, lo zio tollerante che tutto accetta e tutti ugualmente accoglie, il Dio di cui parla soprattutto il lassismo dei teologi gesuiti ( che furono condannati dalla Chiesa) e contro i quali Blaise Pascal la sue indignate Lettres provinciales.
Anche se suona sgradevole alle orecchie di un certo “buonismo” attuale, così insidioso per la vita spirituale, Cristo propone alla nostra libertà una scelta definitiva per l’eternità intera: o la salvezza o la dannazione. Quindi potrebbe attenderci anche quell’inferno che abbiamo rimosso, però al prezzo di rimuovere anche i chiari, ripetuti avvertimenti del Vangelo. In esso c’è sì il commovente invito di Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete travagliati e oppressi e io vi darò ristoro”. E tante altre sono le parole e i gesti della sua tenerezza. Eppure, piaccia o no, nei Vangeli vi è anche ben altro. Vi è un Dio che è infinitamente buono e anche infinitamente giusto e ai cui occhi, dunque, un mascalzone impenitente non equivale a un credente in Lui che si è sforzato, pur con i limiti e le cadute di ogni essere umano, di prendere sul serio il Vangelo. E non solo nelle parole ma anche negli atti.
E’ una situazione di libertà lasciata alle creature che non è trascurato (né poteva farlo) il Catechismo della Chiesa cattolica, quello interamente rinnovato, redatto per volontà di san Giovanni Paolo II e sotto la direzione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger. Un testo che ha fatto del tutto suo lo spirito del Vaticano II. E’ da quel testo fondante per la fede e di certo non sospetto di anacronismi, che ricordo solo alcuni paragrafi: “Morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da Lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva autoesclusione dalla comunione con Dio che viene designato con la parola “inferno””. In effetti, ricorda il Catechismo, “Gesù parla ripetutamente della Geenna e del “fuoco inestinguibile” che è riservato alla fine della vita a chi rifiuta di credere e di convertirsi e dove periscono sia l’anima che il corpo”. Egli stesso annuncia, con parole esplicite e dure, che “manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente”. Ed è lo stesso che pronuncerà la terribile e irrevocabile: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!”.
L’inferno non è un’invenzione
Quel testo fondamentale dell’insegnamento della Chiesa – il Catechismo – aggiunge altre citazioni evangeliche scelte tra le molte possibili e altrettanto inquietanti. Per questo gli autori ammoniscono: “Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione”. Sono proprio questi appelli (alla responsabilità e alla conversione) che sonoal centro del messaggio di Fatima e che lo rendono più che mai urgente e attuale: certamente ancor di più di quando Maria apparve alla Cova da Iria.
Da decenni, ormai, dalla predicazione cattolica sono scomparsi i Novissimi, come li chiama la teologia:morte, giudizio, inferno, paradiso. Una reticenza clericale che ha rimosso, anzi, in fondo rinnegato, il vecchio, salutare adagio che ha salvato tante generazioni di credenti: l’inizio della sapienza è il timor di Dio. Nella storia dei santi, questa consapevolezza di un possibile fallimento eterno ha costituito un pungolo costante per la pratica sino in fondo delle virtù.Sapevano che l’esistenza dell’inferno non è un segno di crudeltà divina bensì di rispetto radicale: il rispetto del Creatore per la libertà concessa alle sue creature, fino al punto di permettere loro di scegliere la separazione definitiva.
Sia nella teologia che nella pastorale di oggi il doveroso annuncio della misericordia non è unito all’annuncio altrettanto doveroso della giustizia. Ma se in Dio convivono in dimensione infinita tutte le virtù, può mancare in Lui quella virtù della giustizia che la Chiesa – ispirata dallo Spirito santo, ma seguendo anche il senso comune – ha messo tra quelle cardinali? Non mancano teologi, anche rispettati e noti, che vorrebbero amputare una parte essenziale della Scrittura, rimuovendo ciò che infastidisce coloro che si credono più generosi e buoni di Dio. Dicono, dunque: “L’inferno non esiste. Ma se, esiste, è vuoto”.
Peccato che la Vergine Maria non sia di questo parere…E’ vero che la Chiesa ha sempre affermato la salvezza certa di alcuni suoi figli, proclamandoli beati e santi. Ma la stessa Chiesa non ha mai voluto proclamare la dannazione di alcuno, lasciando giustamente a Dio l’ultimo giudizio. Chi dicesse tuttavia che un inferno potrebbe anche esistere ma che sarebbe vuoto, meriterebbe la replica: “Vuoto? Ma ciò non esclude la terribile possibilità che siamo tu e io a inaugurarlo”.Qualcun altro ha ipotizzato che la dannazione sia solo temporanea, non eterna: ma pure questo si scontra con le nette parole del Cristo, che parla più volte di pena senza fine. Dunque, a vari concili non è stato difficile respingere una simile possibilità, senza alcun appoggio nella Scrittura.
Pregate, pregate molto”
Torniamo ancora una volta a Fatima. Come si sa (o come si dovrebbe sapere, vista la reticenza che dicevamo e che spesso dedica solo un cenno a ciò che potrebbe inquietare la sensibilità dell’uomo seducente “adulto”, in realtà così immaturo da non sopportare realtà sgradevoli), come si sa, dunque, nell’apparizione più importante, quella del 13 luglio 1917, avvenne ciò che suor Lucia narrerà così, nel 1941, nella famosa lettera al suo vescovo:
Il segreto affidatoci dalla Vergine consta di tre parti distinte, due delle quali sto per rivelare. La prima, dunque, fu la visione dell’inferno. La Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel fuoco i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana fluttuavano nell’incendio, portate dallefiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti simili al cadere delle scintille nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione, che mettevano orrore e facevano tremare dalla paura …”
Continua Lucia, dopo altri particolari terribili: “Questa visione durò un momento. E grazie alla nostra buona Madre del Cielo, che prima ci aveva prevenuti con la promessa di portarci in Cielo, nella prima apparizione, altrimenti credo che saremmo morti di spavento e di terrore”. Giacinta, spirando tre anni dopo, ancora bambina di 10 anni e ancor sconvolta per quello che aveva visto in quei pochi istanti, dirà sul letto di morte: “Se solo potessi mostrare l’inferno ai peccatori, farebbero di tutto per evitarlo cambiando vita”.
A coloro, magari anche credenti, che cercassero di rassicurarsi alzando con sufficienza le spalle e parlando di fantasie esaltate di fanciulli ignoranti e denutriti, va precisato che simili visioni dell’inferno non sono affatto isolate nella storia della Chiesa. Scorgere questa terribile realtà è un’esperienza che hanno vissuto molti beate e sante. E la loro credibilità anche psicologica e mentale è stata vagliata con rigore nei processi canonici. Per limitarci alle più note e venerate delle sante ecco, tra le altre, santa Teresa d’Avila, santa Veronica Giuliani, santa Faustina Kowalska. E, tar gli uomini, poteva forse mancare quel san Pio da Pietralcina, lo stigmatizzato che visse nel soprannaturale come fosse la condizione più naturale, al punto di stupirsi che gli altri non vedessero quel che lui vedeva?
A Fatima, a conferma della centralità nel messaggio del pericolo di perdersi, sta anche il fatto che l’Apparsa insegna ai veggenti una preghiera da ripetere nel rosario dopo ogni decina di Ave Maria. Preghiera che ha avuto una straordinaria accoglienza nel mondo cattolico, tanto che è recitata ovunque si preghi con la corona mariana e che dice: “Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservacidal fuoco dell’inferno e porta in Cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia”. Parole, come si vede, tutte centrate sui Novissimi e dettate ai bambini dalla Vergine stessa. Ciò che soprattutto il cristiano deve implorare è la salvezza dal “fuoco dell’inferno”, oltre a chiedere alla misericordia divina una sorta di sconto di pena per chi soffre in purgatorio. Dirà la Madonna, “con aria assai addolorata”, come annota suor Lucia: “Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori. Molte anime vanno infatti all’inferno, perché non c’è nessuno che preghi e si sacrifichi per loro”.
Sotto il suo mantello
Ma torniamo alle ultime righe del resoconto della testimone Lucia, dopo la visione della sorte terribile dei peccatori impenitenti: “Alzammo gli occhi allaMadonna, che ci disse con bontà e tristezza: “Avete visto l’inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarli, Dio vuole istituire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. Se faranno quel che vi dirò, molte anime si salveranno”. Ecco, dunque, il consolante tocco tutto cristiano, anzi cattolico: per certo cristianesimo (ne abbiamo accennato) che predica una versione estrema e crudele della predestinazione, non c’è nulla da fare per coloro che ab aeterno sono destinati alla perdizione, senz’altra ragione che una presunta “gloria di Dio”. Non possono aiutare se stessi neppure con la vita più devota, né possono essere aiutati dallepreghiere di chiunque altro. Disperante situazione, che spinge a cercare in ogni modo il successo umano, come “segno” della benedizione di Dio e dunque dell’esclusione dalla “lista” dei predestinati alladannazione.
Non così per quella Madre di Dio cui va la speranza fiduciosa del cattolico. Al quale è detto dalla Signora stessa che la verità impone di ricordare che corrono un grave rischio gli uomini immemori della serietà del Vangelo. Ma la misericordia del Cielo è subito pronta a proporre un rimedio: rifugiarsi sotto il mantello di lei, Maria, confidare nel suo Cuore Immacolato, aperto a chiunque chieda la sua materna intercessione. Ai tre bambini scelti come portavoce (risibili, per il mondo, manon per Dio) è mostrato sì l’inferno, parole gravi sono sì pronunciate, ma sono indicati i rimedi per la salvezza. Se accompagnati dalla recitazione del rosario e da penitenze anche piccole, simboliche, per i peccatori, basterà accostarsi per cinque sabati di seguito ai sacramenti della confessione e, soprattutto, dell’eucaristia per ottenere dalla misericordia divina l’aiuto prezioso per una buona morte. L’inferno c’è, ma c’è anche un Dio che vuole tutti si salvino e giunge a indicare addirittura dei “modi” per scampare al pericolo. Ingenuità? Bambinate? Sciocchezze di cui sorridere? Certo, per lo spirito del mondo, non per il paradosso evangelico: “Se non vi farete come bambini non entrerete nel Regno die cieli”.
Il peso crescente del peccato è grave, ma sono indicati i rimedi e, soprattutto l’Apparsa ha in serbo un happy end, con le parole giustamente famose e giustamente fonte di speranza per i credenti. Infatti, dopo aver profetizzato le molte tribolazioni del futuro, Maria annuncia, a nome del figlio: “Alla fine, il mio Cuore Immacolato trionferà”. Perciò la salvezza personale è possibile – ed è sorretta dal Cielo stesso – pur nel dilagare dell’iniquità. Ma possiamo anche sperare nellaconversione del mondo, in un futuro imprecisato e che Dio solo conosce, confidando  nel cuore della Madre di Cristo, potente avvocata della causa dell’umanità.
A che “servono” le apparizioni? Ci chiedevamo all’inizio. Fatima è tra le risposte maggiori, per un mondo che sempre più dimenticava, e oggi ancor più dimentica, il significato vero della vita sulla terra e la sua continuazione
nell’eternità. Fatima è un messaggio “duro” che, nel linguaggio odierno, diremmo “politicamente scorretto”: proprio per questo è evangelico, nella sua rivelazione della verità e nel suo rifiuto di ipocrisie, eufemismi, rimozioni. Ma, come sempre in ciò che è davvero cattolico, dove tutti gli opposti convivono in una sintesi vitale, la “durezza” convive con la tenerezza, la giustizia con la misericordia, la minaccia con la speranza. Così, l’avviso che ci è giunto dal Portogallo è, al contempo, inquietante e consolante. E proprio per questo ci confermano, con chiarezza e con ottima preparazione storica e teologica le pagine di questo libro (Inchiesta su Fatima di Vincenzo Sansonetti) del Centenario dalla visita della Madre di Dio. 

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