L'inno all'amore di Dio nell'amore al prossimo sotto la guida tenera e umile della Regina dell'amore
L’inno di san Paolo alla carità nell’essere amati da Dio amando il prossimo e tutto il creato sotto la guida della Regina dell’Amore
Nel Concistoro del 14 febbraio 2015 per la creazione di
venti cardinali (due gli italiani: l’Arcivescovo di Agrigento, Francesco
Montenegro, e quello di Ancona, Edoardo Menichelli), Papa Francesco ha proposto
il magistero sulla “romanità” che deve contraddistinguere ogni porporato nel
servizio franco, entusiasta alla Verità cioè a Cristo nella
Carità, dono dello
Spirito Santo cioè amare come Dio ci ama.
“Quella cardinalizia è certamente una dignità, ma non è
onorifica. Lo dice già il nome –“cardinale” – che evoca il “cardine”; dunque
non qualcosa di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una
onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per
la vita della comunità. Voi siete “cardini” e siete incardinati nella Chiesa di
Roma, che “presiede alla comunione universale della carità” (Lumen gentium,
13).
Per Papa Francesco non è un mero simbolo. La fedeltà di ogni
cardinale alla Chiesa in quanto vive nella comunicazione del vero e del bene
nella vita della Chiesa Cattolica è la
sua stessa continuità. Si chiama Tradizione
cioè la coscienza incardinata nella comunità di Roma, guidata da 266 Papi, che
vive ora, ricca della memoria di tutta la sua vicenda storica presiedendo la
comunione universale nella carità: Papa Francesco che abbraccia Benedetto e con lui tutti i precedenti 255 papi
successori di Pietro come Vicari di Cristo.
“Nella Chiesa – Papa
Francesco ogni presidenza proviene dalla carità, deve esercitarsi nella carità
e ha come fine la carità. Anche in questo la Chiesa che è in Roma svolge un
ruolo esemplare: come essa presiede nella carità, così ogni Chiesa particolare
è chiamata, nel suo ambito, a presiedere nella carità”.
E qui Papa Francesco ha proposto, come suo magistero, un
commento dell’inno di San Paolo nella “Prima Lettera ai Corinzi” invitando a
leggere il brano sotto la “guida umile e tenera” della Madonna, della Regina
dell’Amore. Perché “possa essere la parola – guida per questa celebrazione e
per il vostro ministero, in particolare per quelli tra voi che oggi entrano a
far parte del Collegio cardinalizio. E ci farà bene lasciarci guidare, io per
primo e voi con me, dalle parole ispirate dell’apostolo Paolo, in particolare là
dove egli elenca le caratteristiche della carità. Ci aiuti in questo ascolto la
nostra Madre Maria. Lei ha dato al mondo Colui che è “la Via migliore di tutte”
(1 Cor 12,31): Gesù, Carità incarnata; ci aiuti ad accogliere questa Parola e a
camminare sempre su questa Via. Ci aiuti come suo atteggiamento umile e tenero
di madre, perché la carità, dono di Dio, cresce dove ci sono umiltà e
tenerezza”.
“Anzitutto san Paolo
ci dice che la carità è “magnanima” e “benevola”. Quanto più si allarga la
responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore,
dilatarsi secondo la misura del cuore di Cristo. Magnanimità è, in un certo
senso, sinonimo di cattolicità: è saper amare senza confini, ma nello stesso
tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti. Amare ciò che è
grande senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose nell’orizzonte
delle grandi, perché “Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum
est”. Saper amare con gesti benevoli.
Benevolenza è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per
tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene”.
Qui Papa Francesco ritorna, con altre parole,
sull’accentuazione pastorale conciliare con cui ha iniziato il suo ministero
petrino rifacendosi anche al carisma di Sant’Ignazio. Chi guida come pastore,
come educatore alla fede, alla speranza, alla carità deve avere sempre davanti
l’orizzonte grande del patrimonio di fede ma per guardare ogni persona in ogni
circostanza nella possibilità di mettere in cammino chi è piccolo, il bene per
tutti. Mettere in cammino è l’anima della carità pastorale senza lassismi e
senza modalità agguerrite per finalità vere.
Di conseguenza l’apostolo dice che “la carità “non è
invidiosa, non si vanta, non si gonfia di orgoglio”. Questo è davvero un
miracolo della carità, perché noi esseri umani – tutti, e in ogni età della
vita – siamo inclinati all’invidia e all’orgoglio dalla nostra natura ferita
dal peccato. E ancora le dignità ecclesiastiche non sono immuni da questa
tentazione. Ma proprio per questo, cari Fratelli, può risaltare ancora di più
in noi la forza divina della carità, che trasforma il cuore, così che non sei
più tu che vivi, ma Cristo vive in te. E Gesù è tutto amore”.
Inoltre, “la carità “non manca di rispetto, non cerca il
proprio interesse”. Questi due tratti rivelano che chi vive nella carità è
de-centrato da sé. Chi è auto – centrato manca inevitabilmente di rispetto, e
spesso se ne accorge, perché il “rispetto” è proprio la capacità di tenere
conto dell’altro, di tenere conto della sua dignità, della sua condizione, dei
suoi bisogni. Chi è auto – centrato cerca inevitabilmente il proprio interesse,
e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso. Tale “interesse” può anche
essere ammantato di nobili sentimenti, ma sotto sotto è sempre il “proprio
interesse”. Invece la carità ti de – centra e ti pone nel vero centro che è
solo Cristo. Allora sì, può essere una persona rispettosa e attenta al bene degli
altri”.
“La carità, dice Paolo, “non si adira, non tiene conto del
male ricevuto”. Al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni
di arrabbiarsi. E forse ancora di più rischiamo di adirarci nei rapporti tra
noi confratelli, perché in effetti noi
siamo meno scusabili. Anche in questo è la carità, e solo la carità, che ci libera.
Ci libera dal pericolo di reagire impulsivamente, di dire e fare cose
sbagliate; e soprattutto ci libera dal rischio mortale dell’ira trattenuta,
“covata” dentro, che ti porta a tenere conto dei mali che ricevi. No. Questo
non è accettabile nell’uomo di Chiesa. Se pure si può scusare un’arrabbiatura
momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi
e liberi!”.
“La carità – aggiunge Paolo –“non gode dell’ingiustizia ma
si rallegra della verità”. Chi è chiamato nella Chiesa al servizio del governo deve
avere un forte senso della giustizia, così che qualunque ingiustizia gli
risulti inaccettabile, anche se potesse essere vantaggiosa per lui o per la
Chiesa. E nello stesso tempo “si rallegra della verità”: che bella questa
espressione! L’uomo di Dio è uno che è affascinato dalla verità e che la trova
pienamente nella Parola e nella Carne di Gesù Cristo. Lui è la sorgente
inesauribile della nostra gioia”.
Per chi governa qualunque ingiustizia, fosse pure
dell’opinione prevalente, maggioritaria, è inaccettabile anche se vantaggiosa
per la Chiesa: è un’affermazione che toglie ogni ideologia del maggioritario
democratico.
Infine, la carità “tutto scusa, tutto crede, tutto spera,
tutto sopporta”. Qui c’è, in quattro parole, un programma di vita spirituale e
pastorale. L’amore di Cristo, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo,
ci permette di vivere così, di essere così: persone capaci di perdonare sempre;
di dare sempre fiducia, perché piene di fede in Dio; capaci di infondere sempre
speranza, perché piene di speranza in Dio; persone che sanno sopportare con
pazienza ogni situazione e ogni fratello e sorella, in unione con Gesù, che ha
sopportato con amore il peso di tutti i nostri peccati.
Cari Fratelli, tutto questo non viene da noi, ma da Dio. Dio
è amore e compie tutto questo, se siamo docili all’azione del suo Santo Spirito.
Ecco allora come dobbiamo essere: incardinati e docili. Più veniamo incardinati
nella Chiesa che è in Roma e più dobbiamo diventare docili allo Spirito, perché
la carità possa dare forma e senso a tutto ciò che siamo e che facciamo.
Incardinati nella Chiesa che presiede nella carità, docili allo Spirito santo
che riversa nei nostri cuori l’amore di Dio (Rm 5,5). Così sia” (Papa Francesco,
Omelia con i nuovi Cardinali, 15
febbraio 2015).
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