La relazione uomo-donna
La Chiesa è donna cioè
sacramentalmente, simbolicamente “recettiva” dalla presenza del Crocefisso
risorto in lei e attraverso di lei per tutti e per tutto, la donna è la Chiesa,
non il Chiesa. In relazione all’uomo vale il modello della reciprocità nell’equivalenza
e nella differenza La relazione uomo-donna sono entrambi necessari in quanto
posseggono, sì, un’identica natura, ma con modalità proprie. L’una è necessaria
all’altro, e viceversa, perché si compia veramente la pienezza della persona.
Cari fratelli e sorelle,
vi accolgo con piacere al termine
della vostra Assemblea Plenaria, che vi ha visti impegnati nella riflessione e
nella ricerca sul tema Le
culture femminili: uguaglianza e differenza. Ringrazio il Cardinale Ravasi
per le parole rivolte anche a nome di tutti voi. Desidero esprimere la mia
riconoscenza in particolare alle donne presenti, ma anche a tutte quelle – e so che sono tante – che hanno contribuito in diversi modi alla preparazione e alla realizzazione di questo lavoro.
riconoscenza in particolare alle donne presenti, ma anche a tutte quelle – e so che sono tante – che hanno contribuito in diversi modi alla preparazione e alla realizzazione di questo lavoro.
L’argomento che è stato da voi scelto
mi sta molto a cuore, e già in diverse occasioni ho avuto modo di toccarlo e di
invitare ad approfondirlo. Si tratta di studiare criteri e modalità nuovi
affinché le donne si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi dei vari ambiti
della vita sociale ed ecclesiale. La Chiesa è donna, è la Chiesa, non il Chiesa. Questa è una sfida non più
rinviabile. Lo dico ai Pastori delle comunità cristiane, qui in rappresentanza
della Chiesa universale, ma anche alle laiche e ai laici in diversi modi
impegnati nella cultura, nell’educazione, nell’economia, nella politica, nel
mondo del lavoro, nelle famiglie, nelle istituzioni religiose.
L’ordine delle tematiche da voi
programmato per lo sviluppo del lavoro di questi giorni – lavoro che certamente
proseguirà anche in futuro – mi permette di indicarvi un itinerario, di
offrirvi alcune linee-guida per sviluppare tale impegno in ogni parte della
terra, nel cuore di tutte le culture, in dialogo con le varie appartenenze
religiose.
La prima tematica è: Tra uguaglianza e differenza: alla
ricerca di un equilibrio. Ma un equilibrio che sia armonico, non solo
bilanciato. Questo aspetto non va affrontato ideologicamente, perché la “lente”
dell’ideologia impedisce di vedere bene la realtà. L’uguaglianza e la differenza
delle donne – come del resto degli uomini – si percepiscono meglio nella
prospettiva del con, della
relazione, che in quella del contro.
Da tempo ci siamo lasciati alle spalle, almeno nelle società occidentali, il
modello della subordinazione
socialedella donna all’uomo, un modello secolare che, però, non ha mai
esaurito del tutto i suoi effetti negativi. Abbiamo superato anche un secondo
modello, quello della pura e sempliceparità, applicata meccanicamente, e
dell’uguaglianza assoluta.
Si è configurato così un nuovo paradigma, quello della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza.
La relazione uomo-donna, dunque, dovrebbe riconoscere che entrambi sono
necessari in quanto posseggono, sì, un’identica natura, ma con modalità
proprie. L’una è necessaria all’altro, e viceversa, perché si compia veramente
la pienezza della persona.
La seconda tematica: La “generatività” come codice
simbolico. Essa rivolge uno sguardo intenso a tutte le mamme, e allarga
l’orizzonte alla trasmissione e alla tutela della vita, non limitata alla sfera
biologica, che potremmo sintetizzare attorno a quattro verbi: desiderare, mettere al mondo, prendersi cura e lasciar
andare.
In questo ambito, ho presente e
incoraggio il contributo di tante donne che operano nella famiglia, nel campo
dell’educazione alla fede, nell’attività pastorale, nella formazione
scolastica, ma anche nelle strutture sociali, culturali ed economiche. Voi
donne sapete incarnare il volto tenero di Dio, la sua misericordia, che si
traduce in disponibilità a donare tempo più che a occupare spazi, ad accogliere
invece che ad escludere. In questo senso, mi piace descrivere la dimensione
femminile della Chiesa come grembo accogliente che rigenera alla vita.
La terza tematica: Il corpo femminile tra cultura e biologia,
ci richiama la bellezza e l’armonia del corpo che Dio ha donato alla donna, ma
anche le dolorose ferite inflitte, talvolta con efferata violenza, ad esse in
quanto donne. Simbolo di vita, il corpo femminile viene, purtroppo non di rado,
aggredito e deturpato anche da coloro che ne dovrebbero essere i custodi e
compagni di vita.
Le tante forme di schiavitù, di
mercificazione, di mutilazione del corpo delle donne, ci impegnano dunque a
lavorare per sconfiggere questa forma di degrado che lo riduce a puro oggetto
da svendere sui vari mercati. Desidero richiamare l’attenzione, in questo
contesto, sulla dolorosa situazione di tante donne povere, costrette a vivere
in condizioni di pericolo, di sfruttamento, relegate ai margini delle società e
rese vittime di una cultura dello scarto.
Quarta tematica: Le donne e la religione: fuga o
ricerca di partecipazione alla vita della Chiesa? Qui i credenti sono interpellati in
modo particolare. Sono convinto dell’urgenza di offrire spazi alle donne nella
vita della Chiesa e di accoglierle, tenendo conto delle specifiche e mutate
sensibilità culturali e sociali. È auspicabile, pertanto, una presenza
femminile più capillare ed incisiva nelle Comunità, così che possiamo
vedere molte donne coinvolte nelle responsabilità pastorali,
nell’accompagnamento di persone, famiglie e gruppi, così come nella riflessione
teologica.
Non si può dimenticare il ruolo
insostituibile della donna nella
famiglia. Le doti di delicatezza, peculiare sensibilità e tenerezza,
di cui è ricco l’animo femminile, rappresentano non solo una genuina forza per
la vita delle famiglie, per l’irradiazione di un clima di serenità e di
armonia, ma anche una realtà senza la quale la vocazione umana sarebbe
irrealizzabile.
Si tratta, inoltre, di incoraggiare e
promuovere la presenza efficace delle donne in tanti ambiti della sfera pubblica, nel mondo del
lavoro e nei luoghi dove vengono adottate le decisioni più importanti, e
al tempo stesso mantenere la loro presenza e attenzione preferenziale
e del tutto speciale nella e per la famiglia. Non bisogna lasciare sole le
donne a portare questo peso e a prendere decisioni, ma tutte le istituzioni,
compresa la comunità ecclesiale, sono chiamate a garantire la libertà di scelta
per le donne, affinché abbiano la possibilità di assumere responsabilità
sociali ed ecclesiali, in un modo armonico con la vita familiare.
Cari amici e care amiche, vi
incoraggio a portare avanti questo impegno, che affido all’intercessione della
Beata Vergine Maria, esempio concreto e sublime di donna e di madre. E per
favore vi chiedo di pregare per me e di cuore vi benedico. Grazie” (Papa Francesco, Discorso ai Partecipanti alal Plenaria del Pontificio Consiglio della
Cultura, 7 febbraio 2015).
Penso che per comprendere teologicamente quanto ha affermato
Papa Francesco sia veramente di aiuto quanto ha scritto Benedetto XVI nella sua
prima Enciclica Deus caritas est dai nn. 4 al 7.
4. “Il cristianesimo ha davvero distrutto l’eros (Federico Nietzsche ha affermato
che il cristianesimo avrebbe dato da bere del veleno all’eros)? Guardiamo al mondo
pre-cristiano. I greci – senz’altro in analogia con altre culture – hanno visto
nell’eros innanzitutto l’ebbrezza, la
sopraffazione della ragione da parte di una “pazzia divina” che strappa l’uomo
alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto, (costretto)
da una potenza divina, gli fa esperimentare la più alta beatitudine. Tutte le
altre potenze tra il cielo e la terra appaiono, così, d’importanza secondaria: “Omnia vincit amor”, afferma Virgilio
nelle Bucoliche – l’amore vince tutto
– e aggiunge: “et nos cedimus amoris”
- cediamo anche noi all’amore. Nelle
religioni questo atteggiamento si è tradotto nei culti della fertilità, ai
quali appartiene la prostituzione “sacra” che fioriva in molti templi. L’eros venne quindi celebrato come forza
divina (l’attività sessuale è completamente scissa dalla libertà, dalla
responsabilità e quindi dall’amore erotico perché senza la libertà di poter
astenersi dal sesso non c’è amore nemmeno erotico ), come comunione col divino.
A questa forma di religione, che contrasta come potentissima
tentazione con la fede nell’unico Dio, l’Antico Testamento si è opposto con la
massima fermezza, combattendola come perversione della religione. Con ciò però
non ha per nulla rifiutato l’eros
come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, perché la
falsa divinizzazione dell’eros, che
qui avviene, lo priva della sua dignità, lo disumanizza. Infatti, nel tempio,
le prostitute, che devono donare l’ebbrezza del Divino, non vengono trattate come
esseri umani e persone, ma servono soltanto come strumenti per suscitare la
“pazzia divina”: in realtà, esse non sono dee, ma persone umane di cui si
abusa. Per questo l’eros ebbro e indisciplinato non è ascesa, “estasi” verso
il Divino, ma caduta, degradazione dell’uomo. Così diventa evidente che l’eros ha bisogno di disciplina, di purificazione
per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del
vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere
tende.
5. Due cose
emergono chiaramente da questo rapido sguardo alla concezione dell’eros nella storia e nel presente. Innanzitutto che
tra l’amore e il Divino esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità,
eternità – una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità
del nostro esistere. Ma al contempo è apparso che la via per tale traguardo non sta semplicemente
nel lasciarsi sopraffare dall’istinto. Sono necessarie purificazioni e
maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Questo non
rifiuto dell’eros, non è il suo
“avvelenamento”, ma la sua guarigione in vista della vera grandezza.
Ciò dipende innanzitutto dalla costituzione dell’essere
umano, che è composto di corpo e di anima. L’uomo diventa veramente se stesso,
quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell’eros può dirsi veramente superata,
quando questa unificazione è riuscita. Se l’uomo ambisce di essere solamente
spirito e vuol rifiutare la carne come eredità soltanto animalesca, allora
spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d’altra parte, egli rinnega lo
spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde
ugualmente la sua grandezza. L’epicureo Gassendi, scherzando, si rivolgeva a
Cartesio col saluto: “O Anima!”. E Cartesio replicava dicendo: “O Carne!”. Ma
non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l’uomo, la persona che
ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue
si fondono veramente in unità, l’uomo diventa pienamente se stesso. Solo in
questo modo l’amore – l’eros (nella
modalità completamente verginale o verginale- coniugale) – può maturare
fino alla sua vera grandezza.
Oggi non di rado si rimprovera al cristianesimo del passato
di essere stato avversario della corporeità; di fatto, tendenze in questo senso
ci sono sempre state. Ma il modo di esaltare il corpo, a cui oggi assistiamo, è
ingannevole. L’eros degradato a puro
“sesso” diventa merce, una semplice “cosa” che si può comprare e vendere, anzi,
l’uomo stesso diventa merce. In realtà, questo non è proprio il grande sì dell’uomo
al suo corpo. Al contrario, egli ora considera il corpo e la sessualità come la
parte soltanto materiale di sé da adoperare e sfruttare come calcolo. Una
parte, peraltro, che egli non vede come ambito della sua libertà, bensì come un
qualcosa che, a modo suo, tenta di rendere insieme piacevole ed innocuo. In realtà,
ci troviamo di fronte ad una degradazione del corpo umano, che non è più
integrato nel tutto della libertà della nostra esistenza, non è più espressione
viva della totalità del nostro essere,
ma viene come respinto nel campo puramente biologico. L’apparente esaltazione
del corpo può ben presto convertirsi in odio
verso la corporeità. La fede cristiana, al contrario, ha considerato l’uomo
sempre come essere uni-duale, nel quale spirito e materia si compenetrano a
vicenda esperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà. Sì, l’eros vuole sollevarci “in estasi” verso
il Divino, per condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede
un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni.
6. Come dobbiamo
configurarci concretamente questo cammino di ascesi e di purificazione? Come
deve essere vissuto l’amore, perché si realizzi pienamente la sua promessa umana
e divina? Una prima applicazione importante la possiamo trovare nel Cantico dei Cantici, uno die libri
dell’Antico Testamento ben noto ai mistici. Secondo l’interpretazione oggi prevalente,
le poesie contenute in questo libro sono originariamente canti d’amore, forse
previsti pe runa festa di nozze israelitica, nella quale dovevano esaltare l’amore
coniugale.. In tale contesto è molto istruttivo il fatto che, nel corso del
libro, si trovano due parole diverse per indicare l’”amore”. Dapprima vi è la
parola “dodim” - un plurale che esprime l’amore ancora
insicuro, in una situazione di ricerca indeterminata. Questa parola viene poi
sostituita dalla parola “ahabà”, che
nella traduzione dell’Antico Testamento è resa col termine di simile suono “agape” che, come abbiamo visto, diventò
l’espressione caratteristica per la concezione biblica dell’amore. In
opposizione all’amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo
esprime l’esperienza dell’amore che diventa ora veramente scoperta dell’altro,
superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l’amore
diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione
nell’ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell’amato: diventa
rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.
Fa parte degli sviluppi dell’amore verso livelli più alti,
verso le due intime purificazioni, che esso cerchi ora la definitività, e ciò
in duplice senso: nel senso dell’esclusività – “solo quest’unica persona” – e
nel senso del “per sempre”. L’amore comprende la totalità dell’esistenza in
ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere
diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l’amore mira
all’eternità. Sì, amore è “estasi”, ma estasi non nel senso di un momento di
ebbrezza, estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se
stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il
rinnovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio: “Chi cercherà di salvare la
propria vita la perderà, chi invece la
perde la salverà” (Lc 17,33), dice Gesù – una sua affermazione che si ritrova nei
Vangeli in diverse varianti ( Mt 10,39; 16,25; Mc 8,35; Lc 9,24; Gv 12,25).
Gesù con ciò descrive il suo personale cammino, che attraverso la croce lo
conduce alla risurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra
e muore e così porta molto frutto. Partendo dal centro del suo sacrificio
personale e dall’amore che in esso giunge al suo compimento, egli con queste
parole descrive anche l’essenza dell’amore e dell’esistenza umana in genere.
7. Le nostre
riflessioni, inizialmente piuttosto filosofiche, sull’essenza dell’amore ci
hanno ora condotto per interiore dinamica fino alla fede biblica. All’inizio si
è posta la questione se i diversi, anzi opposti significati della parola amore
sottintendessero una qualche unità profonda o se invece dovessero restare
slegati, l’uno accanto all’altro. Soprattutto è emersa la questione se il messaggio
sull’amore, a noi annunciato dalla Bibbia e dalla Tradizione della Chiesa,
avesse qualcosa a che afre con la comune esperienza umana dell’amore o non si
opponesse piuttosto ad essa. A tal proposito, ci siamo imbattuti nelle due parole
fondamentali: eros come termine per
significare l’amore “mondano” e agape come
espressione per l’amore fondato sulla fede e da essa plasmato. Le due
concezioni vengono spesso contrapposte come amore “ascendente” e amore
“discendente”. Vi sono altre classificazioni affini, come per esempio la
distinzione tra amore possessivo e amore oblativo (amor concupiscentiae – amor benevolentiae), alla quale a volte
viene aggiunto anche l’amore che mira al proprio tornaconto.
Nel dibattito filosofico e teologico queste distinzioni spesso
sono state radicalizzate fino al punto di porle tra loro in contrapposizione:
tipicamente cristiano sarebbe l’amore discendente, oblativo, l’agape appunto; la cultura non cristiana, invece, soprattutto quella
greca, sarebbe caratterizzata dall’amore ascendente, bramoso e possessivo, cioè
dall’eros. Se si volesse portare
all’estremo questa antitesi, l’essenza del cristianesimo risulterebbe
disarticolata dalle fondamentali relazioni vitali dell’esistere umano e
costituirebbe un mondo a sé, da ritener forse ammirevole, ma decisamente
tagliato fuori dal complesso dell’esistenza umana. In realtà eros e agape – amore ascendente e amore
discendente – non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro.
Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell’unica
realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura dell’amore in genere.
Anche se l’eros inizialmente è
soprattutto bramoso, ascendente – fascinazione per la grande promessa di
felicità nell’avvicinarsi poi all’altro si porrà sempre meno domande su di sé,
cercherà sempre di più la felicità dell’altro, si preoccuperà sempre di più di
lui, si donerà e desidererà “esserci per” l’altro. Così il momento dell’agape si inserisce in esso; altrimenti
l’eros decade e perde la sua stessa
natura. D’altra parte, l’uomo non può neanche vivere esclusivamente nell’amore
oblativo, discendente. Non può sempre donare, deve anche ricevere. Chi vuol
donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l’uomo può – come ci dice il Signore –
diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva (Gv 7,37-38). Ma
per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a
quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto
scaturisce l’amore di Dio (Gv 19,34)”.
A monte dell’intervento essenziale, immediato, popolare di
Papa Francesco c’è tutta questa base filosofico-teologico- culturale di
Benedetto XVI.
Commenti
Posta un commento