Lo Spirito Santo crea l'unità fra i credenti

La Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Egli dà vita, suscita i differenti carismi che arricchiscono il popolo di Dio e, soprattutto, crea l’unità tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il corpo di Cristo. Tutta la vita e la missione della Chiesa dipendono dallo Spirito Santo; Lui realizza ogni cosa.


“All’uomo assetato di salvezza, Gesù nel Vangelo si presenta come la fonte a cui attingere, la roccia da cui il Padre fa scaturire fiumi di acqua viva per tutti coloro che credono in Lui (cfr Gv 7,38). Con questa profezia, proclamata pubblicamente a Gerusalemme, Gesù preannuncia il dono
dello Spirito Santo che riceveranno i suoi discepoli dopo la sua glorificazione, cioè la sua morte e risurrezione (cfr v. 39).
Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Egli dà la vita, suscita i differenti carismi che arricchiscono il popolo di Dio e, soprattutto, crea l’unità tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il corpo di Cristo. Tutta la vita e la missione della Chiesa dipendono dallo Spirito Santo; Lui realizza ogni cosa.
La stessa professione di fede, come ci ricorda san Paolo nella prima Lettura di oggi, è possibile solo perché suggerita dallo Spirito Santo: «Nessuno può dire: “Gesù è Signore!”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12,3b). Quando noi preghiamo, è perché lo Spirito Santo suscita in noi la preghiera nel cuore. Quando spezziamo il cerchio del nostro egoismo, usciamo da noi stessi e ci accostiamo agli altri per incontrarli, ascoltarli, aiutarli, è lo Spirito di Dio che ci ha spinti. Quando scopriamo in noi una sconosciuta capacità di perdonare, di amare chi non ci vuole bene, è lo Spirito che ci ha afferrati. Quando andiamo oltre le parole di convenienza e ci rivolgiamo ai fratelli con quella tenerezza che riscalda il cuore, siamo stati certamente toccati dallo Spirito Santo.
È vero, lo Spirito Santo suscita i differenti carismi nella Chiesa; apparentemente, questo sembra creare disordine, ma in realtà, sotto la sua guida, costituisce un’immensa ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità. Solo lo Spirito Santo può suscitare la diversità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità. Quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi ed esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità e l’omologazione. Se invece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa.
La moltitudine delle membra e dei carismi trova il suo principio armonizzatore nello Spirito di Cristo, che il Padre ha mandato e che continua a mandare, per compiere l’unità tra i credenti. Lo Spirito Santo fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella carità, unità nella coesione interiore. La Chiesa e le Chiese sono chiamate a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, ponendosi in un atteggiamento di apertura, di docilità e di obbedienza. E’ Lui che armonizza la Chiesa. Mi viene in mente quella bella parola di San Basilio il Grande: “Ipse harmonia est”, Lui stesso è l’armonia.
Si tratta di una prospettiva di speranza, ma al tempo stesso faticosa, in quanto è sempre presente in noi la tentazione di fare resistenza allo Spirito Santo, perché scombussola, perché smuove, fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. Ed è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo. E la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo anche quando lascia da parte la tentazione di guardare sé stessa. E noi cristiani diventiamo autentici discepoli missionari, capaci di interpellare le coscienze, se abbandoniamo uno stile difensivo per lasciarci condurre dallo Spirito. Egli è freschezza, fantasia, novità.
Le nostre difese possono manifestarsi con l’arroccamento eccessivo sulle nostre idee, sulle nostre forze – ma così scivoliamo nel pelagianesimo –, oppure con un atteggiamento di ambizione e di vanità. Questi meccanismi difensivi ci impediscono di comprendere veramente gli altri e di aprirci ad un dialogo sincero con loro. Ma la Chiesa, scaturita dalla Pentecoste, riceve in consegna il fuoco dello Spirito Santo, che non riempie tanto la mente di idee, ma incendia il cuore; è investita dal vento dello Spirito che non trasmette un potere, ma abilita ad un servizio di amore, un linguaggio che ciascuno è in grado di comprendere.
Nel nostro cammino di fede e di vita fraterna, più ci lasceremo guidare con umiltà dallo Spirito del Signore, più supereremo le incomprensioni, le divisioni e le controversie e saremo segno credibile di unità e di pace. Segno credibile che il nostro Signore è risorto, è vivo.
Con questa gioiosa certezza, abbraccio tutti voi, cari fratelli e sorelle: il Patriarca Siro-Cattolico, il Presidente della Conferenza Episcopale, il Vicario Apostolico Mons. Pelâtre, gli altri Vescovi ed Esarchi, i presbiteri e i diaconi, le persone consacrate e i fedeli laici, appartenenti alle differenti comunità e ai diversi riti della Chiesa Cattolica. Desidero salutare con fraterno affetto il Patriarca di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I, il Metropolita Siro-Ortodosso, il Vicario Patriarcale Armeno Apostolico e gli esponenti delle Comunità Protestanti, che hanno voluto pregare con noi durante questa celebrazione. Esprimo loro la mia riconoscenza per questo gesto fraterno. Un pensiero affettuoso invio al Patriarca Armeno Apostolico Mesrob II, assicurandogli la mia preghiera.
Fratelli e sorelle, rivolgiamo il nostro pensiero alla Vergine Maria, la Santa Madre di Dio. Insieme a Lei, che ha pregato nel cenacolo con gli Apostoli in attesa della Pentecoste, preghiamo il Signore perché mandi il suo Santo Spirito nei nostri cuori e ci renda testimoni del suo Vangelo in tutto il mondo. Amen!”  

Incontrarci, guardare il volto l’uno dell’altro, scambiare l’abbraccio di pace, pregare l’uno per l’altro sono dimensioni essenziali di quel cammino verso il ristabilimento della piena comunione alla quale tendiamo. Tutto ciò precede e accompagna costantemente il dialogo teologico. Un autentico dialogo è sempre un incontro tra persone con un nome, un volto, una storia, e non soltanto un confronto tra idee.
Santità, carissimo fratello Bartolomeo,
molte volte, come arcivescovo di Buenos Aires, ho partecipato alla Divina Liturgia delle comunità ortodosse presenti in quella città, ma trovarmi oggi in questa Chiesa Patriarcale di San Giorgio per la celebrazione del santo Apostolo Andrea, primo dei chiamati e fratello di san Pietro, patrono del Patriarcato Ecumenico, è davvero una grazia singolare che il Signore mi dona.
Incontrarci, guardare il volto l’uno dell’altro, scambiare l’abbraccio di pace, pregare l’uno per l’altro sono dimensioni essenziali di quel cammino verso il ristabilimento della piena comunione alla quale tendiamo. Tutto ciò precede e accompagna costantemente quell’altra dimensione essenziale di tale cammino che è il dialogo teologico. Un autentico dialogo è sempre un incontro tra persone con un nome, un volto, una storia, e non soltanto un confronto di idee.
Questo vale soprattutto per noi cristiani, perché per noi la verità è la persona di Gesù Cristo. L’esempio di sant’Andrea, il quale insieme con un altro discepolo accolse l’invito del Divino Maestro: «Venite e vedrete», e «quel giorno rimasero con lui» (Gv 1,39), ci mostra con chiarezza che la vita cristiana è un’esperienza personale, un incontro trasformante con Colui che ci ama e ci vuole salvare. Anche l’annuncio cristiano si diffonde grazie a persone che, innamorate di Cristo, non possono non trasmettere la gioia di essere amate e salvate. Ancora una volta l’esempio dell’apostolo Andrea è illuminante. Egli, dopo avere seguito Gesù là dove abitava ed essersi intrattenuto con Lui, «incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù» (Gv 1,40-42). È chiaro, pertanto, che neanche il dialogo tra cristiani può sottrarsi a questa logica dell’incontro personale.
Non è un caso, dunque, che il cammino di riconciliazione e di pace tra cattolici ed ortodossi sia stato, in qualche modo, inaugurato da un incontro, da un abbraccio tra i nostri venerati predecessori, il Patriarca Ecumenico Atenagora e Papa Paolo VI, cinquant’anni fa, a Gerusalemme, evento che Vostra Santità ed io abbiamo voluto recentemente commemorare incontrandoci di nuovo nella città dove il Signore Gesù Cristo è morto e risorto.
Per una felice coincidenza, questa mia visita avviene qualche giorno dopo la celebrazione del cinquantesimo anniversario della promulgazione del Decreto del Concilio Vaticano II sulla ricerca dell’unità di tutti i cristiani, Unitatis redintegratio. Si tratta di un documento fondamentale con il quale è stata aperta una nuova strada per l’incontro tra i cattolici e i fratelli di altre Chiese e Comunità ecclesiali.
In particolare, con quel Decreto la Chiesa cattolica riconosce che le Chiese ortodosse «hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli» (n. 15). Conseguentemente, si afferma che per custodire fedelmente la pienezza della tradizione cristiana e per condurre a termine la riconciliazione dei cristiani di oriente e occidente è di somma importanza conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio delle Chiese d’Oriente, non solo per quello che riguarda le tradizioni liturgiche e spirituali, ma anche le discipline canoniche, sancite dai santi padri e dai concili, che regolano la vita di tali Chiese (cfr nn. 15-16).
Ritengo importante ribadire il rispetto di questo principio come condizione essenziale e reciproca per il ristabilimento della piena comunione, che non significa né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo. Voglio assicurare a ciascuno di voi che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e della esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze: l’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse. Tale comunione sarà sempre frutto dell’amore «che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5), amore fraterno che dà espressione al legame spirituale e trascendente che ci unisce in quanto discepoli del Signore.
Nel mondo d‘oggi si levano con forza voci che non possiamo non sentire e che domandano alle nostre Chiese di vivere fino in fondo l’essere discepoli del Signore Gesù Cristo.
La prima di queste voci è quella dei poveri. Nel mondo, ci sono troppe donne e troppi uomini che soffrono per grave malnutrizione, per la crescente disoccupazione, per l’alta percentuale di giovani senza lavoro e per l’aumento dell’esclusione sociale, che può indurre ad attività criminali e perfino al reclutamento dei terroristi. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle voci di questi fratelli e sorelle. Essi ci chiedono non solo di dare loro un aiuto materiale, necessario in tante circostanze, ma soprattutto che li aiutiamo a difendere la loro dignità di persone umane, in modo che possano ritrovare le energie spirituali per risollevarsi e tornare ad essere protagonisti delle loro storie. Ci chiedono inoltre di lottare, alla luce del Vangelo, contro le cause strutturali della povertà: la disuguaglianza, la mancanza di un lavoro degno, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. Come cristiani siamo chiamati a sconfiggere insieme quella globalizzazione dell’indifferenza che oggi sembra avere la supremazia e a costruire una nuova civiltà dell’amore e della solidarietà.
Una seconda voce che grida forte è quella delle vittime dei conflitti in tante parti del mondo. Questa voce la sentiamo risuonare molto bene da qui, perché alcune nazioni vicine sono segnate da una guerra atroce e disumana. Penso con profondo dolore alle tante vittime del disumano e insensato attentato, che in questi giorni ha colpito i fedeli musulmani, che pregavano nella moschea di Kano, in Nigeria. Turbare la pace di un popolo, commettere o consentire ogni genere di violenza, specialmente su persone deboli e indifese, è un peccato gravissimo contro Dio, perché significa non rispettare l’immagine di Dio che è nell’uomo. La voce delle vittime dei conflitti ci spinge a procedere speditamente nel cammino di riconciliazione e di comunione tra i cattolici ed ortodossi. Del resto, come possiamo annunciare credibilmente il Vangelo di pace che viene dal Cristo, se tra noi continuano ad esistere rivalità e contese? (cfr Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 77).
Una terza voce che ci interpella è quella dei giovani. Oggi purtroppo sono tanti i giovani che vivono senza speranza, vinti dalla sfiducia e dalla rassegnazione. Molti giovani, poi, influenzati dalla cultura dominante, cercano la gioia soltanto nel possedere beni materiali e nel soddisfare le emozioni del momento. Le nuove generazioni non potranno mai acquisire la vera saggezza e mantenere viva la speranza se noi non saremo capaci di valorizzare e trasmettere l’autentico umanesimo, che sgorga dal Vangelo e dall’esperienza millenaria della Chiesa. Sono proprio i giovani – penso ad esempio alle moltitudini di giovani ortodossi, cattolici e protestanti che si incontrano nei raduni internazionali organizzati dalla comunità di Taizé – sono loro che oggi ci sollecitano a fare passi in avanti verso la piena comunione. E ciò non perché essi ignorino il significato delle differenze che ancora ci separano, ma perché sanno vedere oltre – sanno vedere oltre - sono capaci di cogliere l’essenziale che già ci unisce, che è tanto Santità.
Caro fratello, carissimo fratello, siamo già in cammino, in cammino verso la piena comunione e già possiamo vivere segni eloquenti di un’unità reale, anche se ancora parziale. Questo ci conforta e ci sostiene nel proseguire questo cammino. Siamo sicuri che lungo questa strada siamo sorretti dall’intercessione dell’Apostolo Andrea e di suo fratello Pietro, considerati dalla tradizione i fondatori delle Chiese di Costantinopoli e di Roma. Invochiamo da Dio il grande dono della piena unità e la capacità di accoglierlo nelle nostre vite. E non dimentichiamoci mai di pregare gli uni per gli altri”.

Noi, Papa Francesco e il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I riconosciamo l’importanza della promozione di un dialogo costruttivo con l’Islam, basato sul mutuo rispetto e sull’amicizia. Ispirati da un genuino sentimento fraterno, musulmani e cristiani sono chiamati a lavorare insieme per amore della giustizia, della pace  e del rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona, specialmente nelle regioni dove essi, un tempo, vissero per secoli in una coesistenza pacifica e adesso soffrono insieme tragicamente per gli orrori della guerra. Non possiamo rassegnarci a un Medio Oriente  senza i cristiani, che lì hanno professato il nome di Gesù per duemila anni.

Noi, Papa Francesco e il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, esprimiamo la nostra profonda gratitudine a Dio per il dono di questo nuovo incontro che ci consente, in presenza dei membri del Santo Sinodo, del clero e dei fedeli del Patriarcato Ecumenico, di celebrare insieme la festa di Sant’Andrea, il primo chiamato ed il fratello dell’Apostolo Pietro. Il nostro ricordo degli Apostoli, che proclamarono la buona novella del Vangelo al mondo, attraverso la loro predicazione e la testimonianza del martirio, rafforza in noi il desiderio di continuare a camminare insieme al fine di superare, con amore e fiducia, gli ostacoli che ci dividono.
In occasione dell’incontro a Gerusalemme dello scorso maggio, nel quale abbiamo ricordato lo storico abbraccio tra i nostri venerabili predecessori Papa Paolo VI ed il Patriarca Ecumenico Atenagora, abbiamo firmato una dichiarazione congiunta. Oggi, nella felice occasione di un ulteriore fraterno incontro, vogliamo riaffermare insieme le nostre comuni intenzioni e preoccupazioni.
Esprimiamo la nostra sincera e ferma intenzione, in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, di intensificare i nostri sforzi per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici e ortodossi. Vogliamo inoltre sostenere il dialogo teologico promosso dalla Commissione Mista Internazionale, che, istituita esattamente trentacinque anni fa dal Patriarca Ecumenico Dimitrios e da Papa Giovanni Paolo II qui al Fanar, sta trattando attualmente le questioni più difficili che hanno segnato la storia della nostra divisione e che richiedono uno studio attento e approfondito. A tal fine, assicuriamo la nostra fervente preghiera come Pastori della Chiesa, chiedendo ai fedeli di unirsi a noi nella comune invocazione che «tutti siano una sola cosa … perché il mondo creda» (Gv  17,21).
Esprimiamo la nostra comune preoccupazione per la situazione in Iraq, in Siria e in tutto il Medio Oriente. Siamo uniti nel desiderio di pace e di stabilità e nella volontà di promuovere la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo e la riconciliazione. Riconoscendo gli sforzi già fatti per offrire assistenza alla regione, ci appelliamo al contempo a tutti coloro che hanno la responsabilità del destino dei popoli affinché intensifichino il loro impegno per le comunità che soffrono e consentano loro, comprese quelle cristiane, di rimanere nella loro terra natia. Non possiamo rassegnarci a un Medio Oriente senza i cristiani, che lì hanno professato il nome di Gesù per duemila anni. Molti nostri fratelli e sorelle sono perseguitati e sono stati costretti con la violenza a lasciare le loro case. Sembra addirittura che si sia perduto il valore della vita umana e che la persona umana non abbia più importanza e possa essere sacrificata ad altri interessi. E tutto questo, tragicamente, incontra l’indifferenza di molti. Come San Paolo ci ricorda: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26). Questa è la legge della vita cristiana e in questo senso noi possiamo dire che c’è anche un ecumenismo della sofferenza. Come il sangue dei martiri è stato seme di forza e di fertilità per la Chiesa, così anche la condivisione delle sofferenze quotidiane può essere uno strumento efficace di unità. La terribile situazione dei cristiani e di tutti coloro che soffrono in Medio Oriente richiede non solo una costante preghiera, ma anche una risposta appropriata da parte della comunità internazionale.
Le grandi sfide che ha di fronte il mondo nella situazione attuale, richiedono la solidarietà di tutte le persone di buona volontà. Pertanto, riconosciamo l’importanza anche della promozione di un dialogo costruttivo con l’Islam, basato sul mutuo rispetto e sull’amicizia. Ispirati da comuni valori e rafforzati da un genuino sentimento fraterno, musulmani e cristiani sono chiamati a lavorare insieme per amore della giustizia, della pace e del rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona, specialmente nelle regioni dove essi, un tempo, vissero per secoli in una coesistenza pacifica e adesso soffrono insieme tragicamente per gli orrori della guerra. Inoltre, come leader cristiani, esortiamo tutti i leader religiosi a proseguire e a rafforzare il dialogo interreligioso e a compiere ogni sforzo per costruire una cultura di pace e di solidarietà fra le persone e fra i popoli.
Ricordiamo anche tutti i popoli che soffrono a causa della guerra. In particolare, preghiamo per la pace in Ucraina, un Paese con un’antica tradizione cristiana, e facciamo appello alle parti coinvolte nel conflitto a ricercare il cammino del dialogo e del rispetto del diritto internazionale per mettere fine al conflitto e permettere a tutti gli Ucraini di vivere in armonia. 
I nostri pensieri sono rivolti a tutti i fedeli delle nostre Chiese nel mondo, che salutiamo, affidandoli a Cristo nostro Salvatore, perché possano essere testimoni instancabili dell’amore di Dio. Innalziamo la nostra fervente preghiera a Dio affinché conceda il dono della pace, nell’amore e nell’unità, a tutta la famiglia umana.
«Il Signore della pace vi dia la pace sempre e in ogni modo. Il Signore sia con tutti voi» (2 Ts 3,16).

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