Dialogo interreligioso che rifugge dal relativismo

La pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile, ma concretamente possibile come l’Albania testimonia oggi in Europa. Rifuggendo dal relativismo e tenendo conto delle identità di ciascuno aperte, però, all’amore rispettoso ed efficace verso il prossimo; ogni comunità  si esprime con l’amore e non con la violenza, non ci si vergogna della bontà! Il bene è premio a se stesso e ci avvicina a Dio, Sommo Bene.
“Oggi vorrei parlare del Viaggio Apostolico che ho compiuto in Albania domenica scorsa…Questa Visita è nata dal desiderio di recarmi in un Paese che, dopo essere stato a lungo oppresso da un regime ateo e disumano, sta vivendo un’esperienza di pacifica convivenza tra le sue diverse componenti religiose. Mi sembrava importante incoraggiarlo su questa strada, perché la prosegua con tenacia e ne approfondisca tutti i risvolti a vantaggio del bene comune. Per questo al centro del Viaggio c’è stato un incontro interreligioso dove ho potuto constatare, con viva soddisfazione, che la pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile, ma concretamente possibile e praticabile. Loro la praticano! Si tratta di un dialogo autentico e fruttuoso che rifugge dal relativismo e tiene conto delle identità di ciascuno. Ciò che accomuna le varie espressioni religiose, infatti, è il cammino della vita, la buona volontà di fare del bene al prossimo, non rinnegando o sminuendo le rispettive identità.
L’incontro con i sacerdoti, le persone consacrate, i seminaristi e i movimenti laicali è stata l’occasione per fare grata memoria, con accenti di particolare commozione, dei numerosi martiri della fede. Grazie alla presenza di alcuni anziani, che hanno vissuto sulla loro carne le terribili persecuzioni, è riecheggiata la fede di tanti eroici testimoni del passato, i quali hanno seguito Cristo fino alle estreme conseguenze. È proprio dall’unione intima con Gesù, dal rapporto d’amore con Lui che è scaturita per questi martiri – come per ogni martire – la forza di affrontare gli avvenimenti dolorosi che li hanno condotti al martirio. Anche oggi, come ieri, la forza della Chiesa non è data tanto dalle capacità organizzative o dalle strutture, che pure sono necessarie: la sua forza la Chiesa non la trova lì. La nostra forza è l’amore di Cristo! Una forza che ci sostiene nei momenti di difficoltà e che ispira l’odierna azione apostolica per offrire a tutti bontà e perdono, testimoniando così la misericordia di Dio.
Percorrendo il viale principale di Tirana che dall’aeroporto porta alla grande piazza centrale, ho potuto scorgere i ritratti dei quaranta sacerdoti assassinati durante la dittatura comunista e per i quali è stata avviata la causa di beatificazione. Questi si sommano alle centinaia di religiosi cristiani e musulmani assassinati, torturati, incarcerati e deportati solo perché credevano in Dio. Sono stati anni bui, durante i quali è stata rasa al suolo la libertà religiosa ed era proibito credere in Dio, migliaia di chiese e moschee furono distrutte, trasformate in magazzini e cinema che propagavano l’ideologia marxista, i libri religiosi furono bruciati e ai genitori si proibì di mettere ai figli i nomi religiosi degli antenati. Il ricordo di questi eventi drammatici è essenziale per il futuro di un popolo. La memoria dei martiri che hanno resistito nella fede è garanzia per il destino dell’Albania; perché il loro sangue non è stato versato invano, ma è un seme che porterà frutti di pace e di collaborazione fraterna. Oggi, infatti, l’Albania è un esempio non solo di rinascita della Chiesa, ma anche di pacifica convivenza tra le religioni. Pertanto, i martiri non sono degli sconfitti, ma dei vincitori: nella loro eroica testimonianza risplende l’onnipotenza di Dio che sempre consola il suo popolo, aprendo strade nuove e orizzonti di speranza.
Questo messaggio di speranza, fondato sulla fede in Cristo e sulla memoria del passato, l’ho affidato all’intera popolazione albanese che ho visto entusiasta e gioiosa nei luoghi degli incontri e delle celebrazioni, come pure nelle vie di Tirana. Ho incoraggiato tutti ad attingere energie sempre nuove dal Signore risorto, per poter essere lievito evangelico nella società e impegnarsi, come già avviene, in attività caritative ed educative.
Ringrazio ancora una volta il Signore perché, con questo Viaggio, mi ha dato di incontrare un popolo coraggioso e forte, che non si è lasciato piegare dal dolore. Ai fratelli e sorelle dell’Albania rinnovo l’invito al coraggio del bene, per costruire il presente e il domani del loro Paese e dell’Europa. Affido i frutti della mia visita alla Madonna del Buon Consiglio, venerata nell’omonimo Santuario di Scutari, affinché Lei continui a guidare il cammino di questo popolo-martire. La dura esperienza del passato lo radichi sempre più nell’apertura verso i fratelli, specialmente i più deboli, e lo renda protagonista di quel dinamismo della carità tanto necessario nell’odierno contesto socio culturale. Io vorrei che tutti noi oggi facessimo un saluto a questo popolo coraggioso, lavoratore, e che in pace cerca l’unità”.
Parlando a Betania e constatandolo concretamente nel Centro ha indicato che è possibile una convivenza pacifica e fraterna tra persone appartenenti a differenti etnie (pensiamo quanto questo è importante e urgente in Africa anche ecumenicamente tra cristiani) e a diverse confessioni religiose. Nel Centro di Betania le differenze non impediscono l’armonia, la gioia e la pace, anzi diventano occasione per una più profonda conoscenza e comprensione reciproca. Le diverse esperienze religiose si aprono all’amore rispettoso ed efficace verso il prossimo; Ogni comunità religiosa si esprime con l’amore e non ci si vergona della bontà! A chi la fa crescere dentro di sé, la bontà dona una coscienza tranquilla, una gioia profonda anche in mezzo a difficoltà e incomprensioni. Perfino di fronte alle offese subite, la bontà non è debolezza, ma vera forza, capace di rinunciare alla vendetta cui pure gli albanesi sono tentati. Il bene è premio a se stesso e avvicina a Dio, Sommo Bene. Certo la cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale, generando un nuovo costume di vita escludendo dalla cultura e dalla vita pubblica Dio, non è in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, soprattutto con quella islamica nella quale la dimensione religiosa è fortemente presente. La fede ci fa pensare come Lui, ci fa vedere la realtà della nostra vita alla luce del suo disegno di amore su ciascuno di noi al di sopra di tutte le differenze confessionali, ci fa assaporare le piccole gioie di ogni giorno e ci sostiene nelle difficoltà e nelle prove. Il bene paga  infinitamente di più del denaro idolatrato perché siamo tutti creati per accogliere l’amore di Dio  e donarlo a nostra volta realizzando già il Regno di Dio, e non per misurare ogni cosa sulla base del potere, che è il pericolo che ci uccide tutti. Anche l’Occidente dove è in crisi il donarsi per amore di Gesù che suscita gioia e speranza, come il servire i fratelli si trasformi nel regnare insieme a Dio. Anche a noi occidentali questi valori necessari per dialogare con i musulmani possono sembrare paradossali, affannati nella ricerca delle ricchezze terrene, nel possesso, nel divertimento fine a se stesso, facendone chiave della propria esistenza, trovando invece alienazione e stordimento. 

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