Dono di sè

Si è “pietre vive” del Corpo di Cristo, della Chiesa, con il dono completo di sé al Signore e al prossimo

“Cari amici! A partire da questa icona evangelica (la vedova del Vangelo, come anche quella dell’Antico Testamento, dà tutto, dà se stessa, e si mette nelle mani di Dio, per gli altri), desidero meditare brevemente sul Mistero della Chiesa, del Tempio vivo di Dio, e così rendere omaggio alla memoria del grande Papa Paolo VI, che alla Chiesa ha consacrato tutta la sua vita. La Chiesa è un organismo spirituale concreto che prolunga nello spazio e nel tempo l’oblazione del Figlio di Dio, un sacrificio apparentemente insignificante rispetto alle dimensioni del mondo e della storia, ma decisivo agli occhi di Dio. Come dice la Lettera agli Ebrei a Dio è bastato il sacrificio di Gesù, offerto “una volta sola”, per salvare il mondo intero (Eb 9,26.28), perché in quell’unica oblazione è condensato tutto l’Amore del Figlio di Dio fattosi uomo, come nel gesto della vedova è concentrato tutto l’amore di quella donna per Dio e per i fratelli: non manca niente e niente vi si potrebbe aggiungere. La Chiesa, che incessantemente nasce dall’Eucaristia, nell’autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento. E’ il Corpo di Cristo che si dona interamente. Corpo spezzato e condiviso, in costante adesione alla volontà del suo Capo…
E’ questa la Chiesa che il servo di Dio Paolo VI ha amato di amore appassionato e ha cercato con tutte le forze di far comprendere e amare. Rileggiamo il suo Pensiero alla morte, là dove, nella parte conclusiva, parla della Chiesa. “Potrei dire – scrive – che l’ho sempre amata…e che per essa, non per altro, mi pare d’avere vissuto. Ma vorrei che lo Chiesa lo sapesse”. Sono gli accenti di un cuore palpitante, che così prosegue: “Vorrei finalmente comprenderla tutta, nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei – continua il Papa – abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che l’assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla”. E le ultime parole sono per lei, come alla sposa di tutta la vita: “E’ alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità; e cammina povera, cioè libera, forte e amorosa verso Cristo” (Benedetto XVI,Omelia a Brescia, Domenica 8 novembre 2009).

“Povera e libera”, così dev’essere la Comunità ecclesiale, per riuscire a parlare all’umanità contemporanea. L’incontro e il dialogo della Chiesa con l’umanità di questo nostro tempo stavano particolarmente a cuore a Giovanni Battista Montini in tutte le stagioni della sua vita, dai primi anni del sacerdozio fino al Pontificato. Egli ha dedicato tutte le sue energie al servizio di una chiesa il più possibile conforme al suo Signore Gesù Cristo, così che, incontrando lei, l’uomo contemporaneo possa incontrare Lui, Cristo, perché di Lui ha assoluto bisogno. Questo è l’anelito di fondo del Concilio Vaticano II, a cui corrisponde la riflessione del Papa Paolo VI sulla Chiesa. Egli volle esporne programmaticamente alcuni punti salienti nella sua prima Enciclica Ecclesiam suam, del 6 agosto 1964, quando ancora non avevano visto la luce le Costituzioni conciliari Gaudium et spes e soprattutto Lumen gentium che al n. 8, 1 afferma nella “logica dell’Incarnazione o via umana al Dio vivente, Padre Figlio, Spirito Santo””: “come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a Lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del Corpo”. Questa profonda visione ci difende da un duplice errore e ci mostra la verità della Chiesa. La Chiesa non deve essere né identificata né separata dal Signore risorto (ecco i due errori), ma unita a Lui che, in essa è presente, ed attraverso di essa porta ogni uomo alla salvezza: né identica, né separata, ma unita nella distinzione. Proprio come lo sono due sposi (Ef 5,25-31): complementari nella loro diversità. Dobbiamo ora vedere in che modo il Risorto è è presente “qui e ora” nella Chiesa e quindi come attraverso essa incontra ogni uomo che a Lui si converte. Paolo VI fa una precisazione. Quando parliamo di mistero della Chiesa, popolo – sposa di Cristo, non pensiamo a chissà quale realtà. Stiamo parlando della Chiesa in ogni sua realtà pascolare, unita nella persona del suo Vescovo, che è membro del Collegio episcopale presieduta dalla autorità del Vescovo di Roma; stiamo parlando di questa Chiesa che si incontra nell’ultima localizzazione delle parrocchie o in movimenti, comunità ecclesiali riconosciuti. Stiamo parlando di una realtà di cui noi facciamo quotidianamente esperienza.

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