Ucraina, vescovi nei bunker

Nico Spuntoni, in "La Nuova Bussola" – 28 Febbraio 2022

Monsignor Svjatoslav Ševčuk, arcivescovo maggiore di Kiev-Halyč,

«Questa domenica gli abitanti di Kiev non potranno andare in chiesa a causa del coprifuoco imposto dal governo e tutti dovrebbero rimanere a casa a causa della minaccia alla loro vita, ma in questo caso la Chiesa verrà al popolo: i nostri sacerdoti scenderanno nei sotterranei, scenderanno nei rifugi antiatomici, e lì celebreranno la Divina Liturgia». Così monsignor Svjatoslav Ševčuk, arcivescovo maggiore di Kiev-Halyč, ha fatto arrivare la sua voce attraverso un videomessaggio da un bunker della capitale.

Nella cattedrale di Sant'Alessandro, invece, principale luogo di culto per i cattolici di rito latino dell'Ucraina, si è celebrata la Santa Messa con pochi fedeli presenti (probabilmente lavoratori che hanno trovato rifugio nella chiesa), pregando per la pace e per la salvezza dei connazionali impegnati nei combattimenti.

 

L'anima cattolica della capitale in guerra ha così trascorso questa prima domenica di guerra durante la quale Papa Francesco ha parlato di nuovo di Ucraina nel corso dell'Angelus. Il Pontefice ha invitato tutti a partecipare alla giornata di digiuno e preghiera per il Paese da lui promossa il 2 marzo, nel primo giorno di Quaresima. Da piazza San Pietro, Bergoglio ha detto che «chi fa la guerra dimentica l'umanità» perché «mette davanti a tutto gli interessi di parte del potere, si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio e si distanzia dalla gente comune che vuole la pace».

 

«Tacciano le armi - ha continuato il Papa - Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza». Un concetto ribadito anche citando la Costituzione italiana ed il passaggio sul ripudio della guerra «come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». La sua preoccupazione è rivolta a «quanti in queste ore cercano rifugio» ed in particolare alle «mamme in fuga con i loro bambini» per le quali ha chiesto di aprire con urgenza corridori umanitari per l'accoglienza. Dopo la visita di venerdì mattina all'ambasciatore Aleksandr Avdeev, nessuna menzione per la Russia all'Angelus. Una scelta che manifesta la volontà di non compromettere del tutto i canali diplomatici con Mosca, dal momento che la Segreteria di Stato aveva espresso giovedì scorso per bocca del cardinale Pietro Parolin la convinzione che ci sia «ancora spazio per il negoziato». Non è escluso che la Santa Sede, considerato il suo carattere speciale nel panorama del diritto internazionale, possa svolgere in futuro un ruolo di mediazione tra le due parti in causa. Non sarebbe la prima volta dal momento che è già successo in tempi abbastanza recenti su teatri complicati quali il Libano, l'Iran, l'Etiopia e l'Irlanda del Nord.

 

I toni dei vescovi cattolici ucraini, invece, sono ben diversi da quelli più morbidi scelti da Roma: monsignor Leon Dubrawski, titolare della diocesi di Kamianets-Podilsky, ha dichiarato che «la Russia è venuta da noi con intenzioni diaboliche», chiedendosi «con quale diritto Putin vuole toglierci la libertà». Mentre monsignor Jan Sobilo, vescovo ausiliare di Kharkiv-Zaporizhia, ha elogiato le forze armate ucraine che «stanno facendo miracoli», prevedendo che ci sarà «una grande vittoria di Dio sul suolo ucraino» e che «sarà la distruzione finale del nemico».

 

Questa differenza di approccio sulle tensioni russo-ucraine non è una novità, ma si ripete da anni. Non a caso, qualche anno fa proprio monsignor Ševčuk aveva manifestato la sua insofferenza, chiedendo che l'ecumenismo venisse tolto «dalle mani dei diplomatici». D'altra parte, la diplomazia vaticana ha faticato non poco nell'ultimo trentennio a costruire un rapporto con Mosca, superando le accuse di proselitismo all'indomani del crollo dell'Urss e i sospetti su un Pontefice polacco come Giovanni Paolo II che non piaceva a chi, come l'allora patriarca Alessio II, era cresciuto ritenendo Roma «un nido di serpenti».

 

Nonostante nel dialogo teologico non si siano fatto grossi passi in avanti, tra cattolici ed ortodossi russi si è registrato negli ultimi quindici anni un miglioramento dei rapporti ecumenici favorito anche dall'instaurazione di piene relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Federazione Russa. Non a caso, uno dei più grandi successi ecumenici dell'attuale pontificato è stato lo storico incontro a Cuba tra Francesco e il patriarca Kirill. Un'impresa sognata da Wojtyla, sfiorata da Ratzinger ma riuscita soltanto a Bergoglio che si apprestava a fare il bis proprio in questi mesi come confermato lo scorso 6 dicembre sul volo di ritorno dopo il viaggio in Grecia.

 

I venti di guerra ad est rischiano di spazzare via tutto il lavoro sotterraneo fatto in questi mesi per organizzare un secondo faccia a faccia tra i due leader religiosi. E ieri è stato proprio uno dei cardinali che siede nel Consiglio incaricato di coadiuvare il Papa nel governo della Chiesa cattolica, il tedesco Reinhard Marx, a tirare per la giacchetta il patriarca russo rivolgendogli un appello affinché «influenzi» Putin a ritirarsi dall'Ucraina e mettere fine alla guerra. Peccato che proprio ieri, durante il suo sermone domenicale, Kirill abbia definito «forze del male» coloro i quali «combattono l'unità» della Chiesa ortodossa russa in Ucraina, aggiungendo che gli ortodossi russi non devono «permettere che forze esterne oscure e ostili ridano di noi».

 

Parole che sembrano confermare, al contrario di quanto auspicato dall'arcivescovo cattolico di Monaco, una blindatura della cosiddetta "sinfonia" tra trono ed altare in Russia. Una circostanza che non rende la vita facile al Papa e alla diplomazia vaticana che dovranno districarsi tra la posizione di condanna sulla guerra in Ucraina, il sostegno alle comunità cattoliche del Paese e, al tempo stesso, la prosecuzione delle relazioni ecumeniche con il Patriarcato più potente del mondo ortodosso.

Nico Spuntoni

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