Domenica dell'Ottava di Pasqua

La gioia di tanti confessori, come il Curato d’Ars, san Pio, san Leopoldo, attraverso i quali il male perdonato nel Sacramento Dio non lo ricorda più  ed è tentazione ricordarlo

L’odierna domenica conclude l’Ottava di pasqua, come un unico giorno “fatto dal Signore”, contrassegnato con il distintivo della Risurrezione, soprattutto dalla gioia dei discepoli nel vedere di nuovo Gesù con il suo corpo definitovo trasfigurato e nel sapere che lui risorto fuori dello
spazio e del tempo si fa presente continuamente nella Celebrazione eucaristica e  opera nei sacramenti, nel Sacramento del Battesimo e della Riconciliazione rendendoci già partecipi della vita da risorti con l’assoluta certezza della sua Divina Misericordia.
Fin dall’antichità questa domenica era detta “in albis”, dal nome “alba”, dato alla, veste bianca che i neofiti indossavano nel battesimo la notte di pasqua come segno visibile della vita nuova da fratelli e deponevano dopo otto giorni, cioè oggi. San Giovanni Paolo II ha intitolato questa stessa domenica alla Divina Misericordia, in occasione della canonizzazione di Suor Maria Faustina Kowalska, il 30 aprile del 2000, le cui visioni in vario modo riflettono in profondità l’immagine di Dio propria dell’uomo di oggi e il suo desiderio della bontà divina. Papa san Giovanni Paolo II era profondamente impregnato da tale impulso. A partire dalle esperienze nelle quali fin dai primi anni di vita egli ebbe a constatare tutta la crudeltà degli uomini, egli afferma che la misericordia è l’unica vera e ultima reazione efficace contro la potenza del male: senza misericordia avvengono delitti. Solo là dove c’è misericordia anziché il delitto finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza. E la direttiva pastorale di Papa Francesco si esprime proprio nel fatto che egli in continuità ci parla continuamente, in questo momento storico drammatico, della misericordia di Dio e quindi tra noi. E’ la misericordia quello che ci muove verso Dio e quindi verso la fraternità mentre la giustizia ci spaventa.   Sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza della sue ferite, della sua indegnità di fronte a Dio e soprattutto il disagio di un cuore pietrificato dalla attuale cultura tecnicizzata e secolarizzata indifferente alle grandi miserie. Come abbiamo constato anche dalla crescita delle Confessioni pasquali e da gesti di carità l’uomo è in attesa della misericordia, del bisogno di grazia e perdono. E’ “un segno dei tempi” che al centro del rapporto tra l’uomo e Dio e degli uomini tra loro non si ponga il peccato, il male ma la misericordia cioè l’amore del Padre più grande di ogni peccato per cui mai nessuno può essere definito dal male che fa. E’ significativo che la parabola cioè l’immagine di Dio più attraente per i contemporanei sia la parabola del buon samaritano. Oggi gli uomini nel loro intimo aspettano Dio come samaritano attraverso il volto di fratelli che venga in loro aiuto, si curvi su di essi, versi olio sulle loro ferite, si prenda cura di loro aumentando la solidarietà e li porti al riparo anche dal Maligno cioè sanno di aver bisogno della misericordia di Dio e della sua delicatezza. Nella durezza del mondo tecnicizzato nel quale i sentimenti anche tra uomo e donna non contano più niente, aumenta però l’attesa di un amore salvifico, solidale che venga donato gratuitamente.
Di misericordia e di bontà divina è ricca la pagina del Vangelo di Giovanni (20,19-31) di questa Domenica. Vi si narra di Gesù, dopo la Risurrezione, visitò i suoi discepoli iniziando il ritmo settimanale della Domenica, varcando le porte chiuse del Cenacolo. Le porte chiuse non hanno impedito l’entrata di quel corpo trasformato dalla nuova vita cui siamo destinati anche noi, in germe ricevuto fin dal Battesimo, alimentato dalla Eucarestia di ogni Domenica e dalla carità. Gesù mostra i segni di amore della passione, fino a concedere all’incredulo Tommaso di toccarli. Come è possibile, però, che un discepolo formato da Gesù in tre anni possa dubitare ancora? In realtà, Dio non costringe, attende, tenta e ritenta e permette a noi di trarre profitto dalla memoria della sua incredulità  e dalla sua fede “Mio Signore e mio Dio” toccando le ferite del Signore, cioè l’amore misericordioso del Padre attraverso la sua morte e risurrezione con il dono dello Spirito che ricrea ciò che il peccato ha rovinato. “Mio Signore e mio Dio”: un’espressione da ripetere nell’intimo al momento della Consacrazione. E quindi: “come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Detto questo, soffiò su di loro, dicendo: “Ricevete lo Spirito santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati, a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. E’ questa la missione della Chiesa attraverso confessori come il Santo Curato d’Ars, San Pio e san Leopoldo: trasformare il cuore e la vita di tante persone riuscendo a far percepire nel cuore e  nella vita di tante persone sia l’amore misericordioso di Dio, della Madre della Divina Misericordia, ma anche il nostro.  

Commenti

Post popolari in questo blog

Anglicani

I peccati che mandano più anime all'inferno

Sulla bellezza della Messa “Tridentina”