Andare contro corrente trasmettendo gioia e speranza

La nostra vocazione cristiana ed episcopale è quella di andare contro corrente: ossia di essere testimoni gioiosi del Cristo risorto per trasmettere gioia e speranza agli altri
Cari fratelli, buon pomeriggio!
Saluto tutti e saluto i nuovi nominati dopo l’ultima Assemblea, e anche i due nuovi Cardinali, creati dopo l’ultima Assemblea.
Quando io sento questo passo del Vangelo di Marco, io penso: ma questo Marco ce l’ha con la Maddalena! Perché fino all’ultimo momento ci ricorda che lei aveva ospitato sette demoni. Ma poi penso: e io quanti ne ho ospitati? E rimango zitto.
Vorrei innanzitutto esprimervi il mio ringraziamento per questo incontro, per il tema che avete scelto: l’Esortazione
apostolica Is 40,1). Infatti, a noi viene chiesto di consolare, di aiutare, di incoraggiare, senza alcuna distinzione, tutti i nostri fratelli oppressi sotto il peso delle loro croci, accompagnandoli, senza mai stancarci di operare per risollevarli con la forza che viene solo da Dio.
Anche Gesù ci dice: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null'altro serve che a essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5,13). È assai brutto incontrare un consacrato abbattuto, demotivato o spento: egli è come un pozzo secco dove la gente non trova acqua per dissetarsi. 
Oggi perciò, sapendo che avete scelto, quale argomento di questo incontro, l’Esortazione Evangelii gaudium, vorrei ascoltare le vostre idee, le vostre domande, e condividere con voi alcune mie domande e riflessioni.
I miei interrogativi e le mie preoccupazioni nascono da una visione globale -  non solo dell’Italia, globale - e soprattutto dagli innumerevoli incontri che ho avuto in questi due anni con le Conferenze Episcopali, ove ho notato l’importanza di quello che si può definire la sensibilità ecclesiale: ossia appropriarsi degli stessi sentimenti di Cristo, di umiltà, di compassione, di misericordia, di concretezza – la carità di Cristo è concreta - e di saggezza.
La sensibilità ecclesiale che comporta anche di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi. Sensibilità ecclesiale che, come buoni pastori, ci fa uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la degnità umana.  
La sensibilità ecclesiale si manifesta anche nelle scelte pastorali e nella elaborazione dei Documenti – i nostri -, ove non deve prevalere l'aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro Popolo o al nostro Paese - ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti - invece dobbiamo perseguire lo sforzo di tradurle in proposte concrete e comprensibili.
La sensibilità ecclesiale e pastorale si concretizza anche nel rinforzare l’indispensabile ruolo di laici disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono. In realtà, i laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del Vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità del Vescovo Pastore!
Infine, la sensibilità ecclesiale si rivela concretamente nella collegialità e nella comunione tra i Vescovi e i loro Sacerdoti; nella comunione tra i Vescovi stessi; tra le Diocesi ricche - materialmente e vocazionalmente - e quelle in difficoltà; tra le periferie e il centro; tra le conferenze episcopali e i Vescovi con il successore di Pietro.
Si nota in alcune parti del mondo un diffuso indebolimento della collegialità, sia nella determinazione dei piani pastorali, sia nella condivisione degli impegni programmatici economico-finanziari. Manca l'abitudine di verificare la recezione di programmi e l'attuazione dei progetti, ad esempio, si organizza un convegno o un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le Comunità, omologando scelte, opinioni e persone. Invece di lasciarci trasportare verso quegli orizzonti dove lo Spirito Santo ci chiede di andare.
Un altro esempio di mancanza di sensibilità ecclesiale: perché si lasciano invecchiare così tanto gli Istituti religiosi, Monasteri, Congregazioni, tanto da non essere quasi più testimonianze evangeliche fedeli al carisma fondativo? Perché non si provvede ad accorparli prima che sia tardi sotto tanti punti di vista? E questo è un problema mondiale.
Mi fermo qui, dopo aver voluto offrire soltanto alcuni esempi sulla sensibilità ecclesiale indebolita a causa del continuo confronto con gli enormi problemi mondiali e dalla crisi che non risparmia nemmeno la stessa identità cristiana ed ecclesiale.
Possa il Signore - durante il Giubileo della Misericordia che avrà inizio il prossimo otto dicembre - concederci «la gioia di riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione a ogni uomo e a ogni donna del nostro tempo ... Affidiamo fin d’ora questo Anno Santo alla Madre della Misericordia, perché rivolga a noi il suo sguardo e vegli sul nostro cammino» (Omelia 13 marzo 2015).
Questa è stata soltanto una introduzione. Adesso lascio a voi il tempo per proporre le vostre riflessioni, le vostre idee, le vostre domande sulla Evangelii gaudium e su tutto quello che volete domandare e vi ringrazio tanto”! (Papa Francesco, Assemblea C.E.I., 18 maggio 2015).


Vorrei rifarmi a due momenti dell’intervento di Papa Francesco: il rapporto tra dottrina e teologia nella sensibilità ecclesiale che si manifesta anche nelle scelte pastorali e l’indispensabile ruolo dei laici disposti ad assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo, c senza aver bisogno del Vescovo-pilota, o del monsignore pilota o di un input clericale ma hanno invece tutti la necessità del Vescovo Pastore!
1.    Non è certo la dottrina fonte di divisione, lo può essere la teologia quando nelle scelte pastorali e nella elaborazione de Documenti prevale l’aspetto teoretico-dottrinale astratto. Non è certo la dottrina della Chiesa che impedisce alla pastorale il più urgente e immediato compito oggi di migliorare il mondo nel quale viviamo. In realtà la storia della Chiesa dimostra che la praxis cioè la pastorale non solo è inseparabile dalla Didachè, ma anzi ne promana. Quanto più assiduamente ci dedichiamo a raggiungere con il nostro popolo o il nostro Paese alla comprensione dei divini misteri, tanto più le nostre opere di carità concrete e comprensibili parleranno dell’immensa bontà di Dio e del nostro amore verso tutti (2 Tm 1,8-10) cioè evangelizzano. San Paolo insegna che è nella koinonia della Chiesa che noi abbiamo la facoltà di proporre e difendere la verità del Vangelo e i mezzi di tale difesa, perché la Chiesa in continuità dinamica è edificata “sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti”, avendo il farsi (sacramentalmente presente) lo stesso Gesù (Crocifisso-risorto) quale pietra angolare” (Ef 2,20).

2.    Papa Francesco, invitando i laici ad assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo, ha richiamato una formazione cristiana autentica senza aver bisogno del Vescovo-pilota, del monsignore pilota o di un imput clericale. Il compito immediato di agire nell’ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è dunque della Chiesa come tale, ma attraverso l’azione storico-contingente di fedeli laici, che operano come cittadini sotto la propria responsabilità: si tratta di un compito della più grande responsabilità, al quale i cristiani laici, i giovani sono chiamati a dedicarsi con generosità e coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa animati dalla carità di Cristo cioè del Vescovo pastore con tutti i ministeri. Così Benedetto XVI in piazza Yenne a Cagliari nell’Omelia del 7 settembre del 2008 ha descritto la necessaria formazione del Vescovo Pastore con tutti i presbiteri, i genitori, gli educatori: “Voi ragazzi e ragazze costituite il futuro pieno di speranza per questa Regione, nonostante le difficoltà che conosciamo tutti. Conosco il vostro entusiasmo, i desideri che nutrite e l’impegno che ponete per realizzarli. E non ignoro le difficoltà e i problemi che incontrate. Penso, ad esempio – e abbiamo sentito di questo -,penso alla piaga della disoccupazione e della precarietà del lavoro, che mettono a rischio i vostri progetti; penso all’emigrazione, all’esodo delle forze più fresche ed intraprendenti, con il connesso sradicamento dall’ambiente, che talvolta comporta danni psicologici e morali, prima ancora che sociali. Cosa dire poi del fatto che nell’attuale società consumistica, il guadagno e il successo sono diventati i nuovi idoli di fronte ai quali tanti si prostrano? La conseguenza è che si è portati a dar valore solo a chi –come si suole dire –‘ha fatto fortuna’ ed ha una ‘notorietà’, non certo a chi con al vita deve faticosamente combattere ogni girono. Il possesso di beni materiali e l’applauso della gente hanno sostituito quel lavoro su se stessi che serve a stemperare lo spirito e a formare una personalità autentica nel privato e nel pubblico, nell’economia e nella politica. Si rischia di essere superficiali, di percorrere pericolose scorciatoie alla ricerca del successo, consegnando così la vita ad esperienze che suscitano soddisfazioni immediate, ma sono in se stesse precarie e fallaci? La crisi di una società inizia quando essa non sa tramandare il suo patrimonio culturale e i suoi valori fondamentali alle nuove generazioni (emergenza educativa). Non mi riferisco solo e semplicemente al sistema scolastico. La questione è più ampia. C’è, lo sappiamo, un’emergenza educativa, che per essere affrontata richiede genitori e formatori capaci di condividere quanto di buono e di vero essi hanno sperimentato e approfondito in prima persona. Richiede giovani interiormente aperti, curiosi di imparare e di riportare tutto alle originarie  esigenze ed evidenze del cuore. Siate davvero liberi, ossia appassionati della verità. Il Signore ha detto: “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32). IL nichilismo moderno invece predica l’opposto, che cioè è la libertà a rendervi veri. C’è anche chi sostiene che non esiste nessuna verità, aprendo così la strada allo svuotamento dei concetti di bene e di male, rendendoli addirittura intercambiabili. Mi hanno detto che nella cultura sarda c’è questo proverbio: “Meglio che manchi il pane piuttosto che la giustizia”. Un uomo infatti può sopportare e superare i morsi della fame, ma non può vivere laddove la giustizia e la verità sono bandite. Il pane materiale non basta, non è sufficiente per vivere umanamente in modo pieno; occorre un altro cibo del quale essere sempre affamati, del quale nutrirsi per la propria crescita personale e per quella della famiglia e della società”. E papa Francesco: “La sensibilità  ecclesiale che comporta anche di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi. Sensibilità ecclesiale che, come buoni pastori, ci fa uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la dignità umana”.

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